I tempi del Bello. Tra mondo classico, Guido Reni e Magritte. La preziosa mostra ai Musei Civici di Domodossola
I tempi del Bello. Tra mondo classico, Guido Reni e Magritte è il titolo della nuova grande mostra ospitata dai Musei civici “Gian Giacomo Galletti” in Palazzo San Francesco a Domodossola. Con Rubens, Carracci e Guido Reni, passando per Pompeo Batoni e Canova, fino ai contemporanei Funi, Sironi, De Chirico e Magritte, le opere in mostra evidenziano il costante riferimento, attraverso i secoli, ai modelli e ai valori formali e spirituali della classicità. Punto nevralgico di riferimento, infatti, è la statuaria classica d’età romana del Museo Nazionale Romano e delle Terme di Diocleziano che verrà esposta per la prima volta nel capoluogo ossolano. I tempi del Bello. Tra mondo classico, Guido Reni e Magritte è il titolo della mostra che i Musei civici “Gian Giacomo Galletti” al Museo di Palazzo San Francesco di Domodossola, ideata e curata da Antonio D’Amico, Stefano Papetti e Federico Troletti e realizzata dal Comune di Domodossola in partnership con il Museo Bagatti Valsecchi di Milano e la Fondazione Angela Paola Ruminelli, con il patrocinio della Regione Piemonte e con il fondamentale sostegno di Morgran Italia S.r.l., Findomo S.r.l., Ultravox S.r.l., Punta Est S.r.l..
Leopardi individua il “Tempo de Bello” nella Grecia del V secolo a.C., quando artisti come Fidia, Mirone e Policleto interpretavano il concetto di bellezza come frutto di un equilibrio di valori estetici ed etici, espresso dal termine kalokagathìa. All’interno della suggestiva cornice di Palazzo San Francesco, le oltre quaranta opere, tra dipinti e sculture in marmo e bronzo, provenienti da importanti musei italiani e prestigiose collezioni private, raccontano i vari “Tempi del Bello”, ovvero la ricerca, sulla scorta dei modelli classici, di un connubio di bellezza formale e valori spirituali, che attraversa la storia dell’arte, adattandosi alle esigenze culturali di ogni epoca.
Tra i grandi protagonisti della mostra di Domodossola, che torna a produrre e proporre al grande pubblico un percorso di ricerca e studio trasversale tra i secoli, si potrà ammirare il “divino” Guido Reni, che nell’arte europea del Seicento rappresenta il paladino della classicità, in contrapposizione alla teatralità dell’arte barocca e al naturalismo caravaggesco. Per questa occasione arrivano a Domodossola l’Annunciazione della Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno, uno dei capolavori del grande maestro bolognese, e il San Sebastiano di collezione privata. L’eleganza formale della Vergine e dell’angelo nell’imponente pala d’altare, e la torsione scultorea del busto nel giovane santo, testimoniano come nella Bologna del Seicento la conoscenza della statuaria classica e il mito di Raffaello, che aveva fatto rivivere la bellezza antica, trovino una perfetta declinazione in linea con la cultura del tempo. È questa un’eredità che Guido Reni raccoglie dai Carracci. Infatti, in mostra si potrà ammirare eccezionalmente lo straordinario capolavoro proveniente dalla Pinacoteca della Fondazione Ettore Pomarici Santomasi di Gravina di Puglia, che Ludovico Carracci dipinge sul finire del Cinquecento, mostrando l’immagine del San Sebastiano come un moderno Apollo, un danzatore che si muove leggiadro nel pieno vigore della sua bellezza fisica.
Nessun artista è insensibile al fascino della classicità, come dimostra l’attenzione con cui Rubens, giunto a Roma da Mantova agli albori del Seicento, adatta i modelli scultori studiati nelle raccolte principesche romane alle esigenze iconografiche imposte dalla committenza. Nell’impaginare la grandiosa Madonna del Rosario, documentata in mostra da un raro bozzetto in collezione privata, l’artista fiammingo aggiorna in chiave barocca atteggiamenti e gesti che possono ricondursi ai modelli classici.
In seguito allo scalpore suscitato tra il 1730 e il 1740 dall’inatteso ritrovamento dei resti di Ercolano e Pompei, i teorici dell’arte neoclassica recuperano il concetto della kalokagathìa tornando nuovamente ad associare i principi di ordine, armonia, compostezza e “quieta grandezza”, come afferma Winckelmann, con i più elevati valori morali. Leopardi stesso riconosce in Antonio Canova l’artista che meglio incarna nelle proprie opere questo connubio di bellezza e nobili sentimenti che mira a raggiungere il bello ideale. Il Ritratto di Paolina Bonaparte, che arriva in mostra dal Museo Napoleonico di Roma, raffigura il viso perfetto della sorella di Napoleone come Venere Vincitrice, esempio di come la celebrazione del passato e l’uso dei temi della mitologia classica si pongano, in questo caso, al servizio del potere, assumendo intenti celebrativi e educativi.
L’impronta ecclettica che caratterizza l’arte italiana nel periodo post-unitario non esclude né in campo architettonico, né nell’ambito figurativo episodi di spiccato richiamo alla tradizione greco romana: lo dimostra lo scultore genovese Demetrio Paernio, autore di numerosi monumenti funerari nel cimitero di Staglieno, che celebra l’arte alessandrina modellando una delle figure più leziose della classicità, come il Puttino dormiente. Cambia il soggetto ma non la formulazione dell’immagine ispirata nella tela del genovese Domenico Piola che raffigura Gesù Bambino addormentato sulla Croce. Sono inoltre esposte varie sculture rinascimentali di piccolo formato che documentano il gusto del collezionismo e la passione per l’Antico sviluppatisi in particolare dopo le scoperte archeologiche di primo Cinquecento.
Dopo l’esperienza rivoluzionaria delle Avanguardie che avevano decretato la fine della classicità, nei primi due decenni del Novecento, in seguito ai traumi causati dalla prima guerra mondiale, nel 1924 il critico francese Maurice Rejnal auspicava un ripensamento rispetto alle posizioni anti classiche, sostenendo la necessità di un “Ritorno all’Ordine” che si ravvisa nelle opere di Funi, Campigli, Sironi, De Chirico e Magritte che esprimono il desiderio di riaffermare il perenne valore della classicità sulla scorta dell’indirizzo teorico di Margherita Sarfatti. Di questi artisti la mostra offre significativi esempi accostati tra loro e in dialogo con le opere rinascimentali e classiche. Tra tutti si potrà ammirare eccezionalmente l’affascinante capolavoro di Renè Magritte, Rena à la fenệtre del 1937, di collezione privata.
Ogni epoca declina un tempo del Bello e la mostra di Domodossola tenta di presentare anche con un intento didattico, particolarmente adatto alle scuole, alcuni eloquenti esempi che rendono immortale la bellezza classica, dal tardo Rinascimento al Novecento, evidenziando modelli che gli artisti fanno propri, ma adeguandoli alle esigenze culturali in auge nei diversi momenti storici.
L’allestimento della mostra è stato progettato da Studio Lys con il coordinamento di Matteo Fiorini, il progetto illuminotecnico è di LightScene Studio con Riccardo Rocco e Luca Moreni, mentre l’illuminazione è stata aggiornata e realizzata in collaborazione con Viabizzuno. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Sagep Editori d’Arte.
Carlo Franza