Michael Sweerts. Realtà e misteri nella Roma del Seicento. La mostra all’Accademia Nazionale di San Luca a Palazzo Carpegna- Roma
La mostra “Michael Sweerts. Realtà e misteri nella Roma del Seicento”, ospitata presso l’Accademia Nazionale di San Luca a Palazzo Carpegna, e visitabile fino al 18 gennaio 2025, rappresenta una rara opportunità di esplorare la produzione di un artista enigmatico come Michael Sweerts, la cui vicenda umana e artistica si colloca tra la Bruxelles fiamminga e la Roma seicentesca, fino a giungere alle coste lontane di Goa. L’esposizione, curata da Andrea G. De Marchi e Claudio Seccaroni, intende svelare la complessità e l’unicità della figura di Sweerts, il cui lavoro si è arricchito recentemente di nuove letture e importanti scoperte archivistiche e di restauro, che hanno permesso collegamenti fra opere e tracce documentali, nonché riesami tecnici. Michael Sweerts è uno dei pittori fiamminghi più enigmatici, complessi e intimamente internazionali, il cui percorso biografico sembra costantemente avvolto dal mistero, quasi come se la storia avesse voluto lasciarci solo frammenti di una vicenda complessa, fatta di sfide e di ambizioni. Nato a Bruxelles intorno al 1624, Sweerts è stato ignorato dagli storici della sua epoca, ma riscoperto dai critici nordeuropei attorno al 1900 e, a metà del secolo, da italiani come Giuliano Briganti e Roberto Longhi. Le ricerche hanno rivelato che Sweerts era di origini aristocratiche e che non seguì le maggiori correnti artistiche del suo tempo, grazie anche a un’indipendenza economica e intellettuale che lo ha reso libero dai capricci della committenza. Sweerts si forma artisticamente in un contesto in cui l’influenza della pittura fiamminga, con la sua attenzione al dettaglio e alla rappresentazione del reale, si mescola alla tradizione italiana del chiaroscuro e della teatralità. Soggiornò a Roma dal 1643 al 1653, vivendo in via Margutta dal 1646 al 1651 e sicuramente venne a contatto con l’indisciplinata comunità dei pittori olandesi e fiamminghi. Aprì uno studio dove raccolse calchi in gesso di frammenti scultorei antichi e moderni, ricorrenti nelle sue tele quali tracce classiciste di Roma e strumenti di una rivendicata pratica d’artista, contrapposta ai consueti approcci astratti e teoretici. La sua arte si è sviluppata in un’epoca in cui Roma — centro pulsante dell’arte e della cultura barocca — accoglieva artisti provenienti da ogni angolo d’Europa, in un fervente scambio di idee e tecniche. Influenzato dai Bamboccianti e dallo studio diretto dei dipinti del giovane Caravaggio, in particolare quelli Pamphilj, Sweerts conquistò in breve una chiara autonomia poetica, dedicandosi a pungenti rappresentazioni di atelier in cui è frequente la presenza di giovani allievi dediti alla copia dei modelli antichi. La Roma da lui narrata riunisce tutte le classi sociali, soprattutto quelle popolari, con giovani prostitute e vecchi bevitori situati in scorci urbani tra miseria e nobiltà. Sempre al periodo romano si può ricondurre l’interesse di Sweerts per le rappresentazioni del cielo, tema che svilupperà anche dopo il ritorno in patria. La mostra, allestita nelle sale storiche di Palazzo Carpegna, si sviluppa come un percorso di scoperta e riflessione sulla dualità del reale e del mistero, temi centrali nell’opera di Sweerts. Le sue tele sono caratterizzate da un’attenzione quasi ossessiva ai dettagli del quotidiano, ai volti di uomini e donne catturati nella loro realtà più autentica, e allo stesso tempo da un velo di ambiguità che lascia spazio all’invisibile, al non detto. Questa tensione tra realtà e mistero, tra chiarezza e opacità, emerge in ogni pennellata, trasformando le sue opere in un continuo dialogo tra il mondo tangibile e quello enigmatico, tra ciò che vediamo e ciò che resta celato. Uno degli aspetti più affascinanti della mostra è la possibilità di osservare da vicino il lavoro di restauro e le recenti scoperte archivistiche che hanno gettato nuova luce su Sweerts e la sua
attività. Tali scoperte hanno permesso di delineare con maggior precisione alcuni aspetti della sua produzione artistica e della sua vita, rivelando nuove connessioni tra la sua pittura e il contesto culturale e sociale del suo tempo. Le sue opere testimoniano una capacità unica di cogliere la dignità del quotidiano, con una sensibilità che sfida le convenzioni del tempo e anticipa una visione più intima e personale della realtà. La curatela di Andrea G. De Marchi e Claudio Seccaroni ha mirato a esaltare proprio questa tensione tra l’apparente semplicità della rappresentazione e la complessità del significato sottostante. Le opere di Sweerts sono disposte in un modo che invita il visitatore a riflettere sul dualismo che caratterizza il suo stile: scene di vita quotidiana, ritratti di giovani apprendisti, uomini al lavoro, ma anche momenti di raccoglimento spirituale, con figure avvolte in una luce che sembra provenire dall’interno piuttosto che dall’esterno. Questo contrasto è amplificato dall’allestimento, che utilizza la luce naturale filtrata dalle grandi finestre del Palazzo Carpegna per creare un’atmosfera di sospensione e introspezione. La scelta di ospitare la mostra all’Accademia Nazionale di San Luca — istituzione secolare che ha giocato un ruolo fondamentale nella formazione e promozione degli artisti — non è casuale, ma vuole sottolineare il legame profondo tra la ricerca artistica di Sweerts e l’ambiente romano in cui operò. Roma non è solo lo scenario fisico delle sue opere, ma anche un luogo di trasformazione spirituale e intellettuale, dove l’artista ha potuto confrontarsi con i grandi maestri del passato e con la complessità culturale del Seicento. Divenuto profondamente religioso, Sweerts si imbarcò nel 1661 da Marsiglia verso l’Oriente, per seguire una missione lazzarista francese, trovando la morte probabilmente a Goa. La mostra è un’occasione straordinaria per scoprire e approfondire la sua assoluta singolarità e chiarire alcuni dei misteri che aleggiavano sul suo conto, tra cui la sua vocazione all’insegnamento e all’avvio professionale dei giovani artisti. Questo aspetto del suo lavoro, spesso ignorato, viene ora rivalutato come una vera e propria scuola di formazione, in cui non sembra aver imposto il proprio linguaggio. La mostra “Michael Sweerts. Realtà e misteri nella Roma del Seicento” si presenta dunque come un viaggio attraverso il visibile e l’invisibile, in cui il visitatore è chiamato a interrogarsi sulla natura stessa della rappresentazione e sul ruolo dell’artista come mediatore tra realtà e immaginazione.
Carlo Franza