La Post-Street Art di Stefano Alvino da Bergamo sbarca a New York. Il Cavaliere Berlusconi troneggia a New York.
Ha il viso del ragazzone pulito, del ragazzo che vuol cambiare il mondo, di chi è cresciuto prima come writer, poi come street-artist e oggi come post-street artist, maturando un’esperienza non comune e non banale. Tant’è che oggi dall’Italia e da Bergamo sbarca anche a New York. Non è poco per un trentenne. E fa sbarcare persino il Cavaliere Berlusconi. Nell’arte contemporanea la Street Art fa invece riferimento ad una precisa corrente artistica che nasce negli anni Settanta e Ottanta e segue proprie regole e un proprio sviluppo. “Independent public art”, “post-graffiti”, “neo-graffiti” e “guerrilla art”: sono questi alcuni dei termini che con accezioni diverse indicano la Street Art. E se oggi in parte la Street Art è un po’ superata, per meglio comprenderla occorre parlare di sua evoluzione, e quindi possiamo parlare della nascita di una “Post-Street Art.”
Parallelamente in America e in Europa una serie di artisti di formazione tradizionale comincia a realizzare le proprie opere sui muri delle strade senza un’autorizzazione, cercando un confronto diretto con il passante e spesso trasmettendo messaggi di protesta e denuncia sociale.
Jean Michael Basquiat e Keit Haring sono i più noti di questa prima fase ed entrambi risentono dell’influsso della Pop Art di Andy Warhol. Scomparsi prematuramente sul finire degli anni Ottanta hanno gettato le basi per la Street Art successiva e sono tutt’ora un punto di riferimento per molti artisti. Se la loro tecnica prediligeva l’uso del pennello è dagli anni Ottanta che lo stencil è diventato un’icona dell’arte di strada. Blek Le Rat è l’artista francese tra i primi ad utilizzare questo medium, adoperato da altri street artist tra cui proprio Banksy, oggi il più noto a livello mondiale. Se la caratteristica principale della Street Art era il suo collocarsi su muri cittadini, qualcosa oggi è cambiato. Street artist tra i più celebri tra cui lo stesso Bansky, Mr. Brainwah, Invader e Obey ormai da anni sono passati dal muro alla tela o hanno preferito la collaborazione con istituzioni.
Sempre di più lo street artist del XXI secolo lavora in studio e le sue opere sono ora serigrafie, tele, sculture. È rappresentato da una galleria e i suoi lavori possono venire esposti in musei e istituzioni. Con la Post-Street Art è nato un qualcosa di nuovo che nei prossimi anni si definirà sempre più. I Post-Street Artist sono tutti quegli artisti che a partire da Mr. Brainwash in poi mantengono estetica e valori della Street Art ma senza rispettarne i vincoli più stretti, non operano più nell’illegalità, collaborano con pubbliche amministrazioni, sono rappresentati da gallerie d’arte e fanno parte del sistema. In quest’ambito troviamo oggi Stefano Alvino. La sua formazione e il suo percorso artistico sono stati multiformi, dalla musica all’arte figurativa, in diverse espressioni. Ma da ormai diversi anni Stefano Alvino, trentatreenne originario di Alzano Lombardo, si dedica alla pittura di opere di arte contemporanea, che in questi giorni sono arrivate a New York, alla Galeria Azur, e nelle prossime settimane saranno anche alla Biennale dell’Arte e del Design di Firenze.
“Ho sempre fatto arte – inizia a raccontare Alvino -. Dal 2006 mi dedico alla pittura facendo graffiti: ne ho realizzati per diversi Comuni e oratori, ho collaborato a lungo anche con il Progetto giovani di Alzano”.
Dal muro Alvino è poi passato alla tela: “C’è voluto qualche anno – ammette -, ma mi sono sempre più convinto che il disegno sul muro si deteriora troppo presto, per gli agenti atmosferici ma anche per le scritte lasciate a caso dalla gente che passa. Ero un po’ abbattuto, ho pensato di lasciar perdere, finché ho pensato di lasciare la bomboletta per prendere in mano il pennello”.
Nel 2023 ha partecipato per la prima volta alla Biennale di Firenze, portando l’opera che attualmente è esposta nella hall di ingresso della biblioteca di Alzano, “Elefante Filippo”. “Porto avanti due linee di soggetti: una è quella degli animali arrabbiati con l’uomo, in combutta con lui, l’altra è quella dei personaggi fantastici o mitologici, tratti dal folklore”.
Oggi in vetta al suo percorso artistico c’è lo sbarco a New York -per volontà del collezionista imprenditore Francesco Bombelli-, nella galleria situata a due passi dalle Torri gemelle, dove Alvino espone fino al 7 giugno 2025 il “Godzilla pop” e una nuova versione di una delle sue prime opere, “Il Silvione”, un ritratto pop del volto di Silvio Berlusconi. “Lo avevo realizzato la prima volta per l’imprenditore milanese che mi ha sempre sostenuto, Francesco Bombelli – spiega Alvino -. Siamo rimasti al telefono per giorni ogni sera, scambiandoci idee e foto per rendere unico il suo dipinto. Lui stesso mi ha suggerito di portare quest’opera a New York, così ne ho dipinta una seconda versione, su sfondo oro”.
Dietro la scelta del Godzilla, invece, c’è il fatto che “è uno tra i miei film preferiti dell’infanzia, oltre ad essere legato alla città di New York”.
Nel prossimo mese di ottobre Alvino tornerà alla Biennale di Firenze, dedicata quest’anno alla dualità tra luce e oscurità. “Realizzerò per questa occasione un’opera che sarà un tributo a Bergamo e ai Bergamaschi”, anticipa, senza poter ancora svelare con precisione il soggetto.
Ora mi è sembrato utile coinvolgere l’artista Stefano Alvino con una serie di domande. Ecco l’intervista.
Quali sono stati i tuoi inizi nella street art? “I miei primi passi nella street art risalgono alla seconda media, quando durante le lezioni scolastiche provavo a disegnare su carta graffiti semplici, quasi elementari. Mi affascinava quel mondo capace di dare vita e colore ai muri grigi e spenti delle città. Il graffitismo mi ha sempre accompagnato, influenzando il mio stile di vita, il mio modo di vestire e anche il lavoro da grafico che ho svolto per anni. All’inizio ho collaborato con i miei amici, la “crew”, per il “Progetto Giovani” di Alzano Lombardo, dipingendo varie murate legali. Contemporaneamente amavo fotografare i graffiti più belli di Bergamo, scovandoli in angoli sempre nuovi e suggestivi, per poi montarli in veri e propri video musicali accompagnati dalla mia musica preferita, che pubblicavo sul mio canale YouTube”.
Come vivi il capitolo dei temi della street art in correlazione con la pop art di ascendenza newyorkese? “Vivo i temi della street art come un’evoluzione naturale della pop art newyorkese: entrambe nascono dal bisogno di rompere i confini tra arte e vita. Se la pop art ha elevato l’ordinario a simbolo, la street art lo riporta nelle strade, rendendolo parte del paesaggio urbano, vivo e imperfetto. Fin da ragazzo ho ammirato i graffiti, studiandoli quasi senza rendermene conto: cercavo i tratti comuni, i modi di stendere il colore, le forme stilizzate che sapevano dire tutto con lo stretto necessario, e questa cosa mi affascinava e mi affascina tuttora. Da questa analisi istintiva sono nati i miei soggetti, sintesi di anni di osservazione visiva. È così che ho trovato il mio stile: un linguaggio che assorbe e restituisce, come un muro che ascolta”.
Quali progetti per il futuro pensa di poter realizzare? “Nel prossimo futuro, sarò impegnato con un nuovo dipinto realizzato per la Biennale di Firenze: un omaggio alla mia Bergamo e alla città di Firenze che mi ospiterà. Guardando più avanti, mi piacerebbe portare i miei soggetti e personaggi oltre la tela, esplorando il design applicato agli oggetti d’arredo e di uso quotidiano. Tradurre il mio stile in forme funzionali sarebbe un’estensione naturale del mio percorso: un modo diretto e concreto per far vivere la mia estetica in nuovi contesti”.
Carlo Franza