Mario Giacomelli protagonista assoluto della fotografia tra papaveri rossi e paesaggio umbro. Per il centenario della nascita i capolavori in mostra alla Galleria Nazionale dell’Umbria
Il progetto CAMERA OSCURA omaggia Mario Giacomelli, uno dei protagonisti assoluti della fotografia del Novecento, in occasione del centenario della sua nascita. In mostra 5 opere inedite scattate negli anni Sessanta sull’altopiano di Colfiorito e di Castelluccio di Norcia.
Dal 15 ottobre al 6 aprile 2026, la Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, nello spazio di CAMERA OSCURA, dedicato alla fotografia e allestito all’interno del percorso del museo
perugino, in occasione del centenario della sua nascita rende omaggio a Mario Giacomelli (1925-2000), uno dei protagonisti assoluti della fotografia della seconda metà del Novecento, con la mostra “Mario Giacomelli. Papaveri rossi”, curata da Alessandro Sarteanesi. L’esposizione propone un nucleo di opere mai esposte dell’artista, con soggetto il paesaggio umbro, tutte caratterizzate da un utilizzo quasi “pittorico” del colore, fatto davvero insolito per Giacomelli, conosciuto per lo più per immagini che giocano sui forti contrasti, dei bianchi e dei neri, dei pieni e dei vuoti.
La mostra è anche l’occasione per approfondire la relazione artistica e il rapporto umano che legò Mario Giacomelli ad Alberto Burri, di cui sono esplicita testimonianza alcune fotografie che riportano la dedica al maestro tifernate, che s’inquadrano in una comune ricerca attorno al paesaggio, seppur declinata con modalità diverse, all’interno dell’Informale italiano del dopoguerra
Il nucleo centrale è rappresentato da 5 fotografie inedite scattate negli anni Sessanta sull’altopiano di Colfiorito e di Castelluccio di Norcia. A queste si aggiungono una decina di opere astratte, coeve alle precedenti, anch’esse paesaggi a colori, che documentano come Giacomelli si sentisse pienamente un artista visivo, attraverso l’uso della fotografia come medium espressivo.
Come nelle parole del curatore Alessandro Sarteanesi, è all’interno di un percorso che attraversa i secoli, documentato dalle opere della collezione del museo, che la ricerca di Giacomelli trova un terreno di riflessione attuale e radicale, in antitesi con la banalità ossessivamente ripetitiva dell”infiorata’, immortalata dai social network. L’altopiano di Colfiorito, un tempo luogo vissuto e coltivato, mentre la sua fama cresce, si va spopolando, e il paesaggio, consumato come immagine-vetrina e non come esperienza, esaurisce il suo sentimento vitale.
L’esposizione si completa con due fotografie del soggetto più iconico di Giacomelli, quello dei famosi “Pretini” che inscenano un girotondo, presenti in mostra anche in una versione a colori, esposta a Perugia per la prima volta. Catalogo Magonza, con testi del curatore,
Costantino D’Orazio e Bartolomeo Pietromarchi. La mostra è realizzata con il supporto de L’orologio società cooperativa – Business Unit Sistema Museo.
MARIO GIACOMELLI. Mario Giacomelli nasce nel 1925 a Senigallia, nelle Marche. Rimasto orfano di padre a nove anni, viene cresciuto dalla madre. A tredici anni entra come operaio alla Tipografia Giunchedi. Nel 1950 aprirà la Tipografia Marchigiana. Nel 1953 inizia a fotografare — paesaggi e ritratti — e incontra Giuseppe Cavalli, fotografo e intellettuale.
Con la spinta di Cavalli, partecipa ai primi concorsi fotografici distinguendosi per originalità. Nel 1955 Paolo Monti lo definisce “l’uomo nuovo della fotografia”: il suo “realismo magico” supera la visione neorealista, arricchendola con uno sguardo intimo capace di restituire la realtà nella sua cruda, vivida matericità. Serie come Vita d’ospizio (1954), Mattatoio (1961), e Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1966) colpiscono immediatamente per la crudezza con cui affrontano il tema della morte.
Nel 1963, a Senigallia, conosce Nemo Sarteanesi, che lo mette in contatto con Alberto Burri, dando avvio a un rapporto di amicizia. Sarteanesi organizza a Città di Castello la prima mostra di Giacomelli nel 1968 e, nel 1983, una seconda esposizione insieme alla Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, di cui era direttore. Nel 1964 è l’unico italiano selezionato per The Photographer’s Eye, a cura di John Szarkowski al MoMA di NY, che acquisisce la serie Scanno. È la consacrazione internazionale.
Prende forma la serie Caroline Branson da Spoon River Anthology (1967–1973), ispirata a Edgar Lee Masters. Negli anni Ottanta e Novanta saranno diversi i cicli nutriti dalla lettura di testi poetici.
Nel 1978 partecipa alla Biennale di Venezia, nella sezione di Luigi Carluccio. Qui presenta una installazione, A contatto della natura negli spazi puri, composta da diciassette paesaggi seguiti sul pavimento da due fotografie aeree e un riquadro colmo di terra.
A partire dal 1996 lavora a una ultima, visionaria ricerca: Questo ricordo lo vorrei raccontare, con cui si chiude la sua parabola: vero e proprio testamento del suo essere artista. Mario Giacomelli muore il 25 novembre 2000.
CAMERA OSCURA. Il progetto Camera Oscura. La Galleria Nazionale dell’Umbria per la fotografia, a cura di Marina Bon Valsassina e Costanza Neve, si propone di esplorare l’essenza dell’arte fotografica, un mezzo che, sin dalla sua nascita, ha catturato momenti e raccontato storie, diventando una testimonianza della nostra realtà e delle emozioni umane. Il concetto stesso di camera oscura, che risale a secoli prima dell’invenzione della fotografia, rappresenta l’idea di un luogo in cui la luce penetra esclusivamente da un minuscolo foro, creando immagini proiettate su una superficie. Questo processo di rivelazione è il cuore della fotografia: un dialogo tra luce e ombra che dà vita a visioni uniche e personali. Il progetto offre una nuova chiave di lettura della realtà, illuminando, anche nell’oscurità, sull’arte della fotografia, intesa sia come atto tecnico sia come espressione artistica, per dimostrare, attraverso le fotografie, il fil rouge che collega l’arte del passato al presente. Un’insegna al neon segna l’ingresso a questo spazio ‘segreto’, avvolto in luci soffuse e ombre suggestive. Qui non si trovano tempere, oli, pennelli o collanti, ma si esplorano concetti di tempo, esposizione, profondità e messa a fuoco.
Carlo Franza
