Richard Serra, uno dei più grandi artisti della seconda metà del XX secolo, americano, autore di enormi opere in acciaio, ferro o piombo per ambienti e paesaggi urbani è morto martedì 26 marzo 2024 nella sua casa di Orient, nello Stato di New York. Aveva 85 anni. L’aveva incontrato l’ultima volta nel 2019, e ci si vedeva da anni a cadenza quasi fissa. E’ stato uno degli scultori che ho amato di più.

L’annuncio della scomparsa, come ne ha scritto  il New York Times, è stato dato dal suo avvocato, John Silberman, precisando che la causa del decesso è stata una polmonite.

Nonostante le grandi dimensioni delle sue sculture, Serra è considerato un maestro del Minimalismo. Al centro della sua arte è il rapporto tra la dimensione dell’opera e chi ne fruisce, spesso attraversandola o camminandoci intorno, piuttosto che immagini elaborate.

Le opere maggiormente conosciute hanno le dimensioni di antichi templi e un’aura di mistero che le apparenta all’imperscrutabilità di monumenti come Stonehenge e sono spesso inserite in un contesto urbano, come gli straordinari interventi a Place de la Concorde a Parigi o a Brookside a Londra.

E’ partito inizialmente deciso a misurarsi come pittore, poi Serra è diventato lo scultore che ha segnato la storia dell’arte degli ultimi decenni con i suoi monumentali ambienti, immensi corridoi inclinati, spesso realizzati con acciaio ossidato o ferro arrugginito, ellissi e spirali d’acciaio che hanno offerto allo spettatore una nuova grandezza astratta e una nuova intimità fisica. I blocchi monumentali e altre forme imperscrutabili creavano ambienti che dovevano essere attraversati, o aggirati, per essere vissuti appieno, come i monoliti dell’opera “Est-Ovest/Ovest-Est” nel deserto del Qatar, vicino a Zekreet.

Lo stesso Serra, in un profilo a lui dedicato dal New Yorker nel 2002, raccontò come aveva capito che non sarebbe mai diventato un pittore; la motivazione la ritroviamo nel fatto che dopo aver visto l’opera “Las Meninas” di Diego Velazquez del 1656 al Museo del Prado di Madrid, ebbe a dire: “Praticamente mi bloccò. Non mi avevano fermato Cezanne, de Kooning e Pollack, ma Velazquez mi sembrava una cosa più grande da affrontare. È stato quello a chiudere la bara della pittura per me”.

Quell’articolo, intitolato “Man of Steel” (Uomo d’acciaio), lo descrive come un uomo “tarchiato, dall’aspetto potente, con una testa larga, una frangia di capelli grigi tagliati ravvicinati e occhi neri il cui sguardo intenso ricorda quello di Picasso”.

Nato a San Francisco il 2 novembre 1939, conclusi gli studi all’Università della California di Santa Barbara alla quale si era mantenuto lavorando come operaio in un’acciaieria, Serra frequentò l’Università di Yale (1961-64), dove, in contatto in particolare con il pittore Josef Albers, s’interessò alle ricerche sulle interazioni cromatiche.

Recatosi in Europa grazie a una borsa di studio, dal 1964 al 1966 Serra visse prevalentemente tra Parigi e Roma accostandosi alle contemporanee esperienze della Pop Art e dell’Arte Povera.

Nel 1966 presentò le sue opere (serie di gabbie contenenti animali vivi e impagliati) in una prima mostra personale allestita dalla galleria romana ”La Salita”; fu proprio in quest’occasione che lo conobbi e da allora la nostra amicizia è stata solida e fortemente intrisa di connotati intellettuali. Tra il 1967 e il 1969, stabilitosi definitivamente a New York, Serra lavorò a contatto con Robert Smithson, Robert Morris e con altri esponenti del West Coast Antiform Group, svolgendo le tappe più significative della sua ricerca gradualmente orientata a un maggior rigore formale.

Anche se in seguito sarebbe diventato molto popolare, una delle sue opere del 1981 fu accolta così male da essere rimossa dalla vista del pubblico a Lower Manhattan, come riportò ARTnews.  L’Arco inclinato, una barra d’acciaio di 36 metri, è oggi “ricordata come una delle opere d’arte pubblica più vituperate nella storia della città. Alla fine è stata tolta perché la gente la detestava”, si legge sempre su ARTnews.

La svolta nella carriera artistica di Serra fu nel 1969, quando venne incluso nel “NineYoung Artists: Theodoron Awards” al Museo Solomon R. Guggenheim di New York. Dopo essersi recato in Spagna per studiare l’architettura mozarabica all’inizio degli anni Ottanta, il suo lavoro ha acquisito notorietà in Europa, con mostre personali nei principali musei in Germania e Francia.

L’opera di Serra è stata particolarmente apprezzata in Spagna, paese originario del padre (la madre era di Odessa) dove il museo Reina Sofia realizzò una retrospettiva nel 1992 e il museo Guggenheim di Bilbao, progettato da Frank Gehry, gli dedicò una personale.

Esponente di rilievo del Minimalismo, negli anni Settanta, oltre alla serie dei disegni di grande formato, a pastello o a carboncino, nelle quali vengono riproposte le monolitiche forme delle sue sculture (Heir, 1973, New York, Museum of Modern Art), Serra propose nuove serie di opere destinate all’aperto che attestano un diverso orientamento della sua ricerca. 

Interessato all’analisi delle possibili interazioni tra spazio e volume, Serra orientò il suo lavoro alla creazione di un rapporto, talvolta di violento contrasto, tra l’opera d’arte e l’ambiente circostante secondo un programma di ricerca che diverrà una costante della sua opera e che si concretizzerà in archi e strutture primarie di dimensioni monumentali, generalmente in piombo o in acciaio, rielaborate in numerose varianti, ciascuna specificamente progettata per una precisa collocazione ambientale.

Nel 2003 Richard Serra realizzò “Naples” per piazza del Plebiscito a Napoli, una spirale in fogli d’acciaio oggi conservata al Museo Guggenheim di Bilbao; nello stesso museo è conservata l’opera “La materia del tempo”, che occupa l’atrio principale, realizzata con 1.034 tonnellate di acciaio ossidato: come tutte le opere di Serra è studiata per erigersi senza bisogno di sostegni o ancoraggi. Un capolavoro di arte e di architettura.

Carlo Franza

 

 

 

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