Lorenzo Foltran non è nuovo alla poesia, e dopo l’ultima uscita dal titolo Il tempo perso in aeroporto (Graphe.it, 2021), eccolo di nuovo in cattedra con il suo Khalvat (Graphe.it, 2025), un libretto insolito, perché poesie e versi segnano una meditazione, una vita a ritroso, una poesia del viaggio come vorrei chiamarla, una poesia verso luoghi e humus dove aleggia l’interiorità. E siccome la poesia non vive un Eden in terra o un giardino incantato e la poesia non è fuori dalle brutture   e dalle ambiguità della storia, ecco allora che quanto operato da Foltran è un viaggio nuovo, perchè la sua voce poetica ci fa ricominciare il nostro stare al mondo (La pubblica memoria segue a ruota
la curva/ segmentata tra le crisi/che cambieranno il mondo e le riprese/ che, fortunatamente, riguadagnano/i livelli e gli stili di precrisi./Allacciate le borse e le cinture,/
ci si butta in discesa per lo slancio,/si accumula energia e si risale,/si riassesta il prodotto interno lordo,/
concentrando in un punto le risorse./
Un dubbio: non sarebbe forse più utile/un programma informatico-politico/per deframmentizzare la parabola,/
la funzione mnemonica perduta?/)
. Khalvat è una parola in antico persiano, che tradotta vuol dire “isolamento”, ma anche “rifugio, “solitudine”, “intimità”. Nella tradizione sufi, indica il raccoglimento interiore indispensabile per la contemplazione.

Il primo gruppo di liriche percorre, con un linguaggio forsanche primonovecentesco, tradizionale, presente e memoria, dove la poesia diviene aiuto, preghiera, implorazione (ha bisogno di uscire in compagnia/chi ha scelto di isolarsi/con la persona amata e si delizia/di intima solitudine?/…), è uno sguardo sul presente, con risvolti del quotidiano, pur mostrando echi di terrestrità e di slanci spirituali, mirati sguardi al cielo.

Nella seconda parte del volumetto, è ritagliato l’amore con i suoi legami (segreto sussurrato il nostro amore, /religione misterica,…), la sua storia, muove il tempo presente, si occasiona degli eventi giornalieri, resiste nel tempo, si misura con le cose, si rinnova affannosamente nell’esistere. Eppoi nella terza parte è il viaggio di un naufrago, un naufrago in piscina (alla deriva, naufrago in piscina, il cloro esala i fumi saporiferi,…fino a che posso libero i polmoni/ per tenere   lo sguardo sull’abisso…)  che galleggia tra ricordi e proiezioni, in un mondo transeunte dove passato e futuro si sfiorano mostrandosi come in attesa emotiva, tra l’oggi e un’altra vita.

C’è una tensione in tutti i versi altissima, una sorta di lirismo spirituale che rimanda per certi versi a tanta poesia  orfica, penso ad Arturo Onofri o addirittura Girolamo Comi, un peregrinare  su questa terra, doloroso,  salvato dall’amore,  dalla poesia che così diventa salvifica (Volgo le spalle al muro senza porta./Ho atteso invano che qualcuno aprisse./Resto, anche se ho le carte, potenziale./
Ma non si tratta d’esser nella lista,/di mostrare la tessera o l’invito./Non si sale dal basso fino in cima./Nella fortezza si entra, ma dall’alto./Ho scavato, ho graffiato la parete,/ho inciso nella calce per lasciare,/accartocciato, il foglio tra i mattoni/per quando della rocca nel deserto/
non resterà altro che un muro del pianto.)
Con Khalvat, oggi Lorenzo Foltran ha segnato un altro capitolo del suo essere poeta, profondo, spirituale, sensibile, maestro e guida.

 Lorenzo Foltran è nato a Roma e vive in Francia. Dopo gli studi in italianistica all’Università Roma Tre, ha conseguito un master in management dei beni culturali tra l’Università Ca’ Foscari di Venezia e l’École Supérieure de Commerce de Paris. Ha lavorato in Italia e Francia per festival e istituzioni culturali (tra cui la Casa delle Letterature, l’Institut français e la Fête de la Gastronomie). Ha pubblicato In tasca la paura di volare (Oèdipus, 2018) e poesie su riviste letterarie e quotidiani come La Repubblica. Vincitore del Concorso Nazionale Sinestetica nel 2019, ha già pubblicato con Graphe.it Il tempo perso in aeroporto (2021).

Carlo Franza

 

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