La mostra dedicata alla celebre artista Grazia Varisco alla Fondazione Biscozzi | Rimbaud di Lecce  fino all’8 gennaio 2023 è la terza mostra temporanea realizzata dalla nascita della Fondazione, dopo L’artista del bianco nel 2021, protagonista Angelo Savelli, e L’altra scultura con le opere dello scultore salentino Salvatore Sava. Esposizione proposta dal direttore scientifico e curatore Paolo Bolpagni e accolta con entusiasmo da Dominique Rimbaud, presidente della Fondazione, tra i cui scopi riveste un ruolo centrale l’educazione ai linguaggi del contemporaneo. Grazia Varisco, reduce dalla partecipazione alla Biennale di Venezia nel Padiglione Centrale e da una recente mostra antologica a Palazzo Reale a Milano, presenta negli spazi della Fondazione leccese una piccola ma preziosa mostra di diciassette opere che coprono l’intero arco della sua carriera, dalla fine degli anni Cinquanta al 2009, in un percorso in cui i singoli lavori costituiscono un corpo unitario, pur conservando ciascuno la propria originalità.

Si parte da Tema e svolgimento (1957-1959), risalente al periodo di apprendistato all’Accademia di Brera, “semplice e lieve – scrive Bolpagni nel suo saggio in catalogo – quasi à la manière de Paul Klee… un rotolo di carta caduto e l’idea di trarre da un simile evento casuale lo spunto per un’interpretazione estetica”. L’opera rivela già la sensibilità percettiva della Varisco e il suo porsi in osservazione e “in ascolto” costante della realtà. Nel 1959-1960 comincia l’avventura del cinetismo con il famoso Gruppo T, che nasce a Milano con la partecipazione della Varisco insieme con Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo e Gabriele Devecchi: la loro poetica è incentrata sul concetto di miriorama, cioè sull’idea della variazione dell’immagine nella sequenza temporale. Nascono le tavole magnetiche di Grazia Varisco, di cui in mostra sono presenti due esemplari – Tavola magnetica a elementi quadrati (1959) e Tavola magnetica trasparente “Filamenti liberi” (1960) – con elementi fissati al supporto tramite magneti e quindi spostabili: oggetti semplici, dalle forme regolari e geometriche, oppure filamentose e aree. “Per Grazia Varisco – spiega Bolpagni – è anche un invito al gioco, ma la componente ludica, che pure è presente e importante, non esaurisce il significato di questi lavori, che implicano la partecipazione attiva dello spettatore e la moltiplicazione delle possibili configurazioni dell’opera stessa, che perde la sua aura di compiutezza definitiva”.

Della stagione cinetica, ultima grande avanguardia europea – che ebbe tra i suoi precursori futuristi, dadaisti, bauhausiani e costruttivisti, e di cui si ricordano mostre storiche a Parigi, Zagabria, Milano e New York – in mostra troviamo quattro opere di Grazia Varisco: Oggetto cinetico luminoso (1962), Variabile + Quadrionda 130, Scacchiera nera (1964), +Rossonero- (1968) e Oggetto ottico-cinetico (1968-1969), i primi due dotati di motore elettrico e dunque di un movimento connaturato all’opera stessa. Qui la Varisco si basa sul concetto di frammentazione della luce, realizzata in diversi modi: “una immagine – scrive Bolpagni – generata da configurazioni che appaiono e scompaiono alternatamente, prodotte dall’interferenza tra dischi rotanti nei quali sono intagliate trame che lasciano filtrare la luce suscitata dalla sorgente elettrica; oppure Reticoli frangibili e Mercuriali, costruiti con vetri industriali a rilievi regolari e superficie lenticolare, che cambiano, con il mutare della posizione dell’osservatore, la percezione di ciò che è contenuto nella scatola (schemi geometrici colorati o borchie di acciaio ‘fluidificate’ dall’effetto di rifrazione, così da innescare un continuo spostamento del punto di vista, una situazione d’instabilità tipica dell’accadere della realtà)”.

Conclusa l’esperienza del Gruppo T, Grazia Varisco prosegue il proprio percorso in autonomia, seguita da critici attenti come Ballo, Belloli e Dorfles, realizzando nel 1966 la sua prima mostra personale. Negli anni Settanta l’artista sperimenta la manipolazione libera della carta e del cartoncino e l’apertura programmatica all’azione perturbante del caso, mantenendo sempre al centro l’analisi dei meccanismi percettivi. Nascono serie fortunate come le Extrapagine e gli Extralibri: in mostra sono presenti quattro lavori come Meridiana 2 (1974), Extralibro (1975), Spazio potenziale (1976) e Extrapagina “Spartito musicale” (1977). “Gli Spazi potenziali – prosegue Bolpagni – segnano un altro momento importante: la Varisco qui si diverte ad aprire, scomporre e ricomporre i telai di ferro delle sue opere, in un’investigazione maieutica che implica anche un protendersi verso la tridimensionalità già riscontrato nella Meridiana, dove le strisce metalliche aggettanti creano l’immagine insieme con l’ombra da esse proiettata, in un meccanismo percettivo che è sempre mutevole e instabile”.
Nella seconda metà degli anni Ottanta, la Varisco crea il ciclo Fraktur, con l’osservazione degli angoli di raccordo tra due o tre piani ortogonali e uno studio delle soglie e delle disarticolazioni. In mostra troviamo Implicazioni B (1986), Incastro giallo (1987) e Fraktur – Ferro 1 (1997). E poi, degli anni Duemila, Quadri comunicanti (2008) e Filo rosso (2009). La mostra si chiude con Silenzi (2006), articolazione di piani e vuoti prodotta dalla sovrapposizione di semplici telai: un altro salto concettuale per interpretare il mondo di un’artista visionaria e ad alto tasso di creatività.

Carlo Franza  

 

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