Teatri_Kombëtar_WPWTR16-1068x710La storia, piaccia o no, non va mai cancellata. Anche le architetture di ogni epoca storica vanno salvaguardate, specie se messe in piedi da illustrissimi architetti. Teatro-nazionale-di-TiranaLe ruspe hanno agito su questo edificio, il Teatro Kombetar,  in una  notte  dello scorso maggio 2020, intorno alle cinque del mattino ( per dirla con una poesia di Federico Garcia Lorca) – ne hanno operato la distruzione. Quel capolavoro architettonico non c’è più.  Nell’indifferenza più totale, dettata dalle priorità che affaccendano i nostri pensieri degli ultimi mesi, dal  Covid-19, la fase 1, la fase 2, chiusure e progetti del “nuovo mondo”.  Così, alle cinque del mattino di una sera di maggio dell’anno 2020, ad essere abbattuto non è stato il Palazzo H di Roma, ma un’altra architettura di matrice fascista, vale a dire  il Teatro Kombetar di Tirana. La città di Tirana  è  stata svegliata dalle voci disperate degli attori da mesi barricati nell’edificio e3937_tirana-europa-nostra-al-governo-albanese-non-demolire-il-teatro-nazionale dall’inesorabile avvicinarsi delle ruspe scortate dalla polizia. 05Basta poco, il tempo di un battito di ciglia, e il corpo dell’edificio del Teatro nazionale di Tirana non è esistito  più. Inserito nel 2020 da Europa Nostra nella lista dei 7 monumenti più in pericolo d’Europa, assieme ad esso sparisce una delle maggiori testimonianze dell’architettura italiana degli anni Trenta in Albania e il suo nome si unisce alla serie dei tanti villini liberty italiani che negli ultimi 12 mesi hanno lasciato il posto ad una serie di edifici residenziali/commerciali multipiano che dovrebbero rappresentare parte della rinascita economica della capitale albanese e la sua strada verso il futuro.

La struttura architettonica era a  firma dell’architetto Giulio Bertè, come gran  parte della imponente impronta italiana sul vecchio piano urbanistico della città, ad iniziare da parte del Boulevard voluto e costruito dagli italiani. Ex architetture coloniali di cui le popolazioni si sono riappropriate nel tempo, tanto da sentirle ora loro, qui come altrove; in  Albania ma anche in Somalia e in Eritrea. Sono divenute anch’esse – e paradossalmente – espressioni delle “realtà particolari” pasoliniane, di fronte alla forza di fuoco dell’omologazione architettonica a vetrate. Al posto del teatro difatti, verranno innalzati altri torrioni e un nuovo teatro di cemento e vetro. L’ultimo masterplan della città di Tirana è stato immaginato e firmato, qualche anno addietro, da un’altra firma italiana: Stefano Boeri, lo stesso architetto che in questi giorni, sulle pagine di Repubblica, è coprotagonista di una conversazione a due voci, dove si recrimina una nostalgica scomparsa delle lucciole, evocando pasoliniane nostalgie e restando però indifferente di fronte all’abbattimento di un altro e quanto meno più contingente simbolo. Ovvero proprio il teatro Kombetar di Tirana e soprattutto la comunità che si stringeva intorno allo stesso. Peccato che proprio queste comunità sono oggi le “lucciole” da non far scomparire dal prossimo futuro.

Teatro-Nazionale-di-Tirana-4-1000x671Il Teatro Kombetar è un simbolo, occupato e presieduto negli ultimi anni da una schiera di cittadini, artisti, attori e registi, mai ascoltati dal primo ministro albanese Edi Rama. I suoi due volumi gemelli, raccordati nella parte posteriore da un porticato di ‘timida’ memoria metafisica, generavano uno spazio pubblico senza uguali nel centro della città. Il suo cortile esterno rappresentava un forte momento di tensione spaziale e aggregazione, in grado di catalizzare i flussi di persone che vi giungevano da un lato da piazza Skanderbeg e dall’altro dalla via pedonale che connetteva l’impianto all’antico castello della città. La sua silhouette disegnava un sistema ritmico che accompagnava lo sguardo del passante e ne dilatava il fuoco visivo fino a fargli completamente abbracciare con lo sguardo uno spazio urbano originale ma perfettamente coerente nella definizione di una “immagine” della città di Tirana. A proposito di ciò ha scritto l’architetto Valerio Perna PhD della Facoltà di Architettura e Design dell’Università Polis di Tirana: “ Cesare Brandi, uno dei massimi teorici italiani del restauro, era solito teorizzare la presenza di una “istanza estetica” e una “istanza storica” per guidare l’operato della propria disciplina e affermava che un’opera d’arte – e per proprietà transitiva anche di architettura – sia principalmente composta da una dialettica tra questi due poli che si riferiscono sia al materiale di cui essa è composta e sia dall’insieme di valori espressivi e significati che questa porta con sé. Latente tra loro vi è una terza istanza ritengo altrettanto fondamentale da lui sottolineata, quella psicologica, che riguarda la capacità di una popolazione di riconoscersi nello spazio costruito che la circonda e la forza di un’opera di concorrere alla definizione della nostra struttura psichica per una nostra più favorevole evoluzione futura come essere umani. Molte persone si sono battute in questi mesi per il Teatro e al suo interno hanno passato notti insonni in sacchi a pelo e pagliericci improvvisati incuranti sia del terremoto di novembre che nella recente pandemia dovuta al Covid-19 per continuare a salvaguardare questo monumento fino alla sua distruzione. teatro-kombetar-tirana-2-696x365Le loro sono storie di resistenza, di giovani che, nonostante un edificio probabilmente di valore costruttivo contenuto, hanno cementato la loro identità umana nel nome di un senso di responsabilità civile e collettiva. Forse è proprio per questo che il Teatro andava salvato, perché ha mosso corde latenti nell’animo di molti, perché ci ha ricordato che, prima di tutto, la forma costruita definisce delle immagini che, come sottolineava Massimo Fagioli, devono essere in grado di concorrere alla modificazione evolutiva di noi stessi”.

Poche settimane fa, lo stesso Boeri ha invitato proprio Edi Rama sulle pagine web di Repubblica, in una diretta video in seguito alla piazzata  mediatica internazionale, ovvero: l’invio di 30 infermieri albanesi in Italia per l’emergenza Coronavirus, in  segno di vicinanza a un paese amico che li ha accolti a suo tempo. Il primo ministro, mentre con questa mossa si facevo bello  dinanzi all’opinione pubblica, progettava invece l’abbattimento dell’architettura italiana del Teatro Kombetar, per puri fini di speculazione edilizia inerenti alla turbo-gentrificazione in atto nel centro di Tirana; gentrificazione di cui lo stesso Stefano Boeri è più che al corrente. Agli esponenti della comunità di artisti, registi, attori e cittadini albanesi che hanno lottato in questi anni per evitare l’abbattimento di tale architettura – cosa rimane ora loro da dire… forse che anche se il teatro non c’è più, un teatro (un’architettura che sarebbe dovuta essere tutelata magari con la collaborazione del silente stato italiano, sulla scia della monumentalizzazione Unesco avvenuta per le architetture fasciste di Asmara, per esempio), bene questo teatro anche se non c’è più – resterà un simbolo scolpito nella mente di chi ha preso parte alla lotta e anche per chi ha seguito questa storia – e un simbolo di resistenza e resilienza che ci si auspica possa divenire un monito per tutte le borghesizzazioni future. Contro tutte le mercificazioni dello spazio pubblico e delle nostre strade e piazze. Un simbolo. Il teatro Kombetar è un simbolo, oggi ancora più forte di prima. E al presidente Rama tutti ormai dicono che un simbolo non poteva essere abbattuto. Il tragico evento distruttivo è frutto  di stolta ideologia in salsa iconoclasta, in una nazione che soltanto negli ultimi anni  si muove verso una progressiva rinascita dopo decenni di comunismo. Il teatro di epoca fascista, denominato in albanese Teatri Kombëtar, era il principale di Tirana. Lascito futuristico dell’Albania italiana che attorno vi costruì il quartiere italo-albanese “Scanderbeg”. Quest’ultimo è diventato poi un centro culturale, sportivo e artistico e non ha mai perso la propria peculiarità neppure negli ultimi anni. Nel 2018 il governo socialista ha deciso di abbatterlo e pochi giorni fa ha mantenuto la scellerata promessa. Un fatto che dopo aver suscitato forti critiche da parte degli ambienti sia politici che culturali albanesi, ha scatenato un’ondata di proteste di piazza.

teatro-kombetar-tirana-696x365Forse le autorità governative pensavano che abbattere il teatro durante l’epidemia di coronavirus avrebbe scoraggiato le manifestazioni e invece migliaia di persone hanno contestato ugualmente, violando le misure restrittive. Già domenica scorsa, quando alle 4 e 30 di mattina le ruspe del comune di Tirana hanno iniziato a buttare giù l’edificio, i manifestanti hanno protestato con forza e decine di loro sono stati fermati e portati in commissariato. Tra di loro anche Monika Kryemadhi, moglie del presidente della Repubblica Ilir Meta e leader Movimento socialista per l’Integrazione, la seconda più rilevante forza di opposizione. Anche Lulzim Basha, leader del Partito democratico, si è scagliato contro l’abbattimento del teatro definendola un atto di corruzione da parte del governo che non rinuncia agli affari sporchi anche in questi momenti di pandemia”. Una contestazione trasversale dunque, a prescindere dalle posizioni politiche e che adesso sta generando il caos in Albania. Il capo dello Stato, Ilir Meta (già del tutto in rotta con il primo ministro Rama) non ha usato mezzi termini: “A ordinare la demolizione è stata la mafia al potere. Nessuno può illudersi che ci sia uno Stato di diritto in Albania”. Altrettanto forte la presa di posizione di Confindustria Albania: “Uno dei monumenti di cultura più importanti d’Albania e d’Europa è stato scippato alla città di Tirana e alla storia dell’architettura, italiana e non solo — ha dichiarato il presidente Sergio Fontana — È come se per costruire un teatro più capiente, coperto e confortevole, si decidesse di abbattere l’Arena di Verona o il Colosseo. Un nuovo Teatro nazionale sarebbe potuto essere edificato in un’altra zona senza distruggere un simbolo di arte, storia e cultura”. Secondo Fontana il teatro “era un esempio eccezionale dell’architettura italiana, testimonianza architettonica del profondo legame di fratellanza che da sempre unisce i due popoli”.

Giulio Bertè (* fine 1897  † 1967  era un architetto italiano, futurista   e politico.  Bertè proviene da una famiglia romana, ma è nato a Potenza nel sud Italia. Si è laureato in ingegneria civile. Giulio Bertè era sposato con Teresa Janna di  San Donà di Piave, suo fratello Roberto e la sorella Beatrice. Durante la prima guerra mondiale fu assegnato alla Marina dal 2 novembre 1917 come Sottotenente di Vascello. Per l’ aviazione navale della 256° Squadriglia, volò da Otranto come osservatore e come pilota. Nel periodo tra le due guerre, Bertè lavorò come architetto in Albania per circa dieci anni. Nel 1929 si trasferì con la sua famiglia in Albania, dove rappresentò l’architetto Florestano Di Fausto in varie opere. Nell’ Albania del re  Ahmet Zogu, che aveva concluso il primo e secondo Patto di Tirana con l’ Italia fascista, architetti e ingegneri italiani realizzarono numerosi progetti di costruzione. Bertè è stato coinvolto in numerosi progetti di costruzione, successivamente ha anche realizzato progetti di Gherardo Bosio . Nel 1932 iniziò a pianificare la città di Burrel, città natale di Zog, alcuni dei quali sono stati implementati. Nel 1933/34 partecipò alla ricostruzione di Durazzo con piani di costruzione e pianificazione urbana, dove molti edifici erano stati distrutti da un terremoto. Bertè era anche a capo dell’Ufficio per l’Edilizia e l’Urbanistica dell’Albania , l’ufficio nazionale urbanistico. Progetti Bertè in Albania (opere proprie e collaborazione):  “Skanderbeg” italo-albanese del Circolo, ala settentrionale in Piazza Skanderbeg 1939-2020 ; Municipio di Durazzo (pittura murale non originale); Progetto del centro città e dei ministeri in Piazza Skanderbeg (dal 1929, per conto di Di Fausto; 1935: area verde al centro del parco);   Villa reale  a Durazzo (dal 1929, per conto di Di Fausto) ; Stazione di Tirana (1929, non completata); Stazione di Durazzo (1930, non completata); Royal Villa (“Princess Villa”) nel centro di Tirana (1936, variante del progetto di Hans Kohler); Palazzo Reale  (1937–1939: progetto non realizzato a seguito di un piano di sviluppo di Di Fausto, 1939–1941: variante del progetto di Bosios realizzato); Mappa della città di Burrel (1932-1936) Scuola media “Liceo Turtulli”, Korca (1936, diversi progetti); Municipio di Durazzo (1936–1941: con G. Valcovi e L. Carmignani); Ministero dell’Economia (1937, non completato); Ufficio postale di Durazzo (1937-1939, non elencato) ; Museo nazionale di Tirana (1938, non completato); “Skanderberg”  italo albanese del Circolo (con cinema Savoia ; 1938) ; Majestik Kino, Korca (1939, con Waja); diverse ville a Tirana (tra cui 1935: Villa Nepravishta )  Il lavoro di Giulio Bertè, spesso all’ombra dei grandi architetti del suo tempo, non è stato finora riconosciuto. Oltre ai piani da lui firmati, non ci sono quasi tracce negli archivi.  E’ certo che l’opera architettonica di Giulio Bertè, eseguita con grande talento, rimane tuttora nel suo complesso un intervento di rilievo descritto da un marcato carattere razionalista, un’opera rappresentativa dell’architettura italiana in Albania ed è ancora in attesa di una revisione appropriata  Di ritorno in Italia, Bertè era il gestore della sua proprietà agricola. In seguito si stabilì in Veneto nella casa di sua moglie, dove fondò un Rotary Club nel 1954 con il cognato Alessandro Janna. Nel 1964 fu eletto rappresentante del Partito Liberale nel parlamento cittadino di 30 membri alle elezioni comunali di San Donà di Piave. Dopo alcuni mesi, tuttavia, si è dimesso per motivi di salute. Giulio Bertè è morto nel 1967.

Carlo Franza

 

 

Tag: , , , , , , , , , , , , ,