Le Storie rosse di Emilio Isgrò campione dell’arte Concettuale
Il Liceo Artistico di Brera a Milano nel quadro delle grandi mostre che annualmente presenta da anni ai suoi studenti, ha trovato indicativo ora proporre un nome e un artista come Emilio Isgrò, figura capitale dell’arte contemporanea. E lo fa con una mostra che non abbraccia l’intero percorso dell’artista meglio conosciuto per le sue “cancellature”, ma con un capitolo che più s’avvicina anche allo studio della storia, ovvero agli interessi storico-sociali e ideologici che animano le nuove generazioni. Da qui la scelta delle “Storie rosse”. Ha scritto Gilles Deleuze: “Tutti i contenuti vanno bene, a condizione che ne forniscano un’interpretazione del libro, ma riguardino l’uso e che lo moltiplichino, che creino un altro linguaggio all’interno del suo linguaggio”. Alla luce di ciò per l’intero lavoro dell’artista Emilio Isgrò è stato impossibile separare la storia dell’arte dal suo sfondo sociale e ideologico. Nel caso delle “Storie rosse” si vede come esse siano andate a certificare l’analoga volontà di rivelare le strutture invisibili dell’apparato ideologico, abbiano decostruito sistemi di rappresentazione, e abbiano girato intorno a una definizione dell’arte come informazione visiva. Le Storie rosse sono una cartella di dieci tavole uscite nel 1974 in un’edizione Studio Nino Soldano a Milano. Le Storie rosse sono una metafora forte, tradotta graficamente,di quelle che sono state le rivoluzioni socialiste, all’interno del grande piano delle rivoluzioni novecentesche. Si leggono attraverso grandi rettangoli rossi, colore emblematico delle lotte del proletariato. Gli eroi delle lotte popolari non ci sono, ovvero sono stati “cancellati”,di essi rimane solo una didascalia che ne racconta le gesta, una frase minima che ne indica un riferimento storico. Ecco, Trotskij cade, Fidel Castro sale, Rosa Luxemburg passeggia, Mao Tse-tung dorme,ecc. Lo spazio rosso in Isgrò riprende l’importanza dello spazio bianco nella poesia e nel gioco di Mallarmè, come silenzio circostante a un componimento nel suo insieme. E’ una metafora visiva, grafica, oggetto anche di un guardare assai poco codificato, e dunque insolitamente libero per davvero in quanto guardare, di cogliere ogni dettaglio dell’organizzazione visiva e di interpretarlo nei propri termini, che sono poi diversi da quelli del leggere. Queste storie rosse ci paiono possano essere lette in quella traiettoria tra poesia visiva e poesia concreta così estremista e così apocalittica, cui Isgrò si è rivelato negli anni grande artista concettuale. Quelle frasi calate all’interno delle tavole rosse sono
un leggere che rimane di solito leggermente preminente ,dato che esso definisce il contesto di senso in cui anche le componenti più schiettamente visive vanno interpretate. Anche il contesto, in questo caso rosso, in cui un testo si presenta al mondo fa la sua parte nel deciderne le modalità prevalenti di lettura. Il guardare poi rimanda a una logica sequenziale,giacchè il rosso di ogni lavoro rimanda a quella frase contaminante, a una lettura che rimette in gioco il guardare, e diventa qui pertinente anche la visione d’insieme, e dunque il rapporto fra la visione d’insieme e la fruizione sequenziale. Le storie rosse sono un’unità visiva, un’opera il cui senso deriva tanto dal leggere quanto dal guardare, indissolubilmente. E’ un’immersione visiva nel colore, il rosso rivoluzionario fatto di passione e di sangue, all’interno di una fascinazione il cui tono si regge proprio sulla frase collimante. Sicchè il suo “io cancello le parole per custodirle, è un gesto di salvezza” , è stata una fortemente lucida e ideologica riflessione sulla storia passata e presente.
Carlo Franza