Simboli e reliquie nella pittura di Bruno Mangiaterra. Un racconto che coglie il respiro del mondo.
Ci sono mostre di nicchia, ovvero per colti, che non possono passare
inosservate. Quella di Bruno Mangiaterra (Loreto,1952), illustre artista lauretano, è da mettere tutta in cornice per la carica creativa e intellettuale che la sostiene e si tiene al Complesso monumentale di San Francesco a Montefiore dell’Aso( Ascoli Piceno), anche città natale di quel pittore ormai storicizzato che ha nome di Adolfo De Carolis (1874-1928) sodale di D’Annunzio e di quel clima simbolista e preraffaellita, e che ha disseminato eccelsi capolavori in tutt’ Italia. Si è cercato di trovare, nell’impostare la mostra di Mangiaterra, coincidenze, anzi delle corrispondenze fra i due artisti, ovvero fra il passato e il presente. Degli elementi, e anche forti, è possibile trovarli in entrambi, sono i simboli, quelle tracce di reale e di esistenziale che diventano coerenza, continuità ed essenzialità. Ma andiamo oltre e puntiamo alla mostra del nostro artista che, vi confesso, conosco da tempo e oltre che amico, vero, apprezzo per la sua ricerca assoluta, per la sua silenziosa intellettualità e per il suo vivere la passione dell’arte come lezione anche civile e morale. La mostra raccoglie opere di diversi periodi, anche se i lavori recenti sono il nucleo fondante di un pensiero reso visibile, per cui le forme, gli elementi(sedia, tavolo, finestra, letto, ecc.) segnano il sorgere di un senso, la nascita di un racconto, esaltando attraverso luci e cromie uno spazio sospeso, metafisico. Sicchè la tela non solo rappresenta, ma presenta nel tempo che diviene un evento; tutto è reale ed essenziale, tutto è magico e carico di stupore, tutto è misterioso eppure reale, tanto reale che il suo crescere intellettivo, in quel percorso che fino ad oggi lo ha caratterizzato intessuto sempre di minimalismo e concettuale, vive ancor più la tangente dell’immagine. Persino la parola si offre con le sue parentele, le sue filosofie, le sue discendenze e congiunzioni. Insolito anche l’autoritratto,un olio del 2011, dove l’artista è citato con i “ferri del mestiere”, in uno scorcio di bianco/nero e una variante di grigi; come non mancano nel suo repertorio di simboli le canne della sua terra a ridosso del Conero, o gli oggetti di studio comprese le pagine di storia dell’arte carica di elementi appartenute a civiltà diverse, o ancora oggetti del quotidiano offerti in campiture esterne che si squarciano come “rivelazione”. Pensiamo che Bruno Mangiaterra viva oggi come artista il suo momento più felice, con una chiara accensione dialettica anche all’interno di quello che pensiamo sia da ritrovarsi in un drappello di “postclassicisti” – cui anch’egli appartiene- proprio perchè ribadiscono la tradizione della pittura ma accendono poi le loro apparizioni con la filosofia. Lo era, questo, già stato in passato per Bruno Mangiaterra quando accendeva la vita del mondo con fuoco, acqua, terra e aria, e lo è ancora oggi quando dipinge il suo territorio di meditazione e di esistenza che è quell’habitat, certo la sua casa, ove appare un affresco che si chiude con una merlatura. La sua è una realtà, anche senza tempo, grazie al riutilizzo di materiali che diventano reliquie evocative ed espressive, e con questa realtà fa cogliere il respiro del mondo.
Carlo Franza