Le fotografie di Giovanni Chiaromonte sull’America sono una lezione amara e apocalittica per l’Occidente.
Ha per titolo “Westwards”, l’opera fotografica di Giovanni Chiaramonte, realizzata tra il 1991 e il 1992 in occasione del cinquecentesimo anniversario della scoperta dell’America. Pubblicata in edizione italiana e inglese, fu esposta tra l’altro alla Biennale di Venezia e a New York nella galleria del Hunter College. Oggi la ritroviamo in mostra a Milano allo Spazio San Fedele dei Padri Gesuiti.
Nelle immagini di Giovanni Chiaramonte, scattate sotto lo spettacolo del vasto cielo che sovrasta città, deserti, spiagge sull’oceano tra California, Arizona, Texas, Alabama, Mississippi, Tennessee, Florida, gli Stati Uniti si mostrano non solo come un immenso paese in cui è ancora presente l’epopea del West e l’avventura della conquista dello spazio, ma come la nazione che si è voluta far erede dell’intera cultura occidentale. Il fondamento greco e latino si rivela nelle colonne classiche disseminate ovunque sino al Partenone di Atene, fedelmente ricostruito a Nashville, la tradizione cristiana appare nelle innumerevoli croci che punteggiano l’orizzonte del territorio, mentre la tragedia dell’Olocausto nel memoriale di Miami chiude il viaggio alle radici dell’Occidente contemporaneo.
Uomini, donne, bambini, famiglie, turisti, bagnanti si muovono sulla linea dell’orizzonte in costante relazione con l’altezza del cielo e la profondità dell’oceano, mentre le figure delle automobili punteggiano ogni spazio, fino al deserto e alle spiagge, quali segni insopprimibili del tempo in cui viviamo. La capacità di Chiaramente di cogliere l’evento quotidiano e marginale fa sì che raramente i luoghi da lui ritratti, ancorché celebratissimi, risultino riconoscibili a prima vista, ne emerge invece una potente tensione tra il visibile e il vuoto creato dall’assenza di un evento centrale, dalla quale le immagini traggono la loro forza. Ha scritto Joel Meyrowitz: “Nella tradizione dei grandi esploratori italiani, Giovanni Chiaramonte è sbarcato sulle spiagge del Nuovo Mondo e ha puntato lo sguardo verso Occidente. Dai suoi viaggi riporta racconti di una terra un tempo ricca e spaziosa, ora sfruttata e devastata, un luogo di desolazione fisica e spirituale. (…) Ovunque volga lo sguardo è presente la matrice della civiltà; edifici crollano, carreggiate scivolano nel mare, individui vagano senza meta e il suolo su cui camminiamo è sopraffatto dalla natura. A ingombrare il paesaggio appaiono spenti memoriali di guerra e distruzione – aerei da caccia e granate di cannone – utilizzati come giochi per bambini o decorazioni di parchi. (…) Guardare verso Occidente simboleggiava un tempo scoperta e speranza. Nuove conoscenze sulle meraviglie del mondo attendevano quanti erano così coraggiosi da intraprendere il viaggio. Chiaramonte, curioso quanto i suoi predecessori, sembra dirci: “Questa terra straordinaria e avvincente eccita il mio occhio e la mia mente, però qui è rimasto poco che riesca ad accendere ancora la speranza”. Potrebbe aver ragione e questo mi fa piangere. Viene da una cultura bimillenaria dove i valori della famiglia e della comunità, del dialogo e degli affetti nella vita quotidiana sono ritenuti importanti. Attraverso i suoi occhi, l’America si rivela come un grande crocevia umano dove avanza l’esperimento di una cultura multinazionale e dove questi valori sono stati quasidel tutto recisi dalla dura realtà della vita moderna”.Quale testimone di questa lotta egli sembra lanciarci l’ammonimento a non sottovalutare le conseguenze del multiculturalismo. Una lezione forte, fortissima, tagliente e densamente filosofica. E’ quanto attende l’Occidente.
Carlo Franza