Con la partecipazione del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa, la Soprintendenza Archivistica per il Friuli Venezia Giulia e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si è dato il via alla mostra “Pasolini Roma”, che dopo essere stata collocata a Barcellona nel Centro di Cultura Contemporanea nel 2013 trova poi tre successivi riallestimenti: la Cinémathèque française di Parigi (ottobre 2013-gennaio 2014), il Palazzo delle Esposizioni di Roma (3 marzo – 8 giugno 2014) e infine il Martin Gropius Bau di Berlino (11 settembre 2014 – 5 gennaio 2015). Oggi è la volta, per l’appunto, di “Pasolini Roma” al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Cuore e senso della mostra, organizzata come percorso cronologico snodato tra il 1950 e il 1975, con un prologo, sei sezioni e un epilogo, è la perlustrazione articolata e dinamica del legame tra Pasolini, uomo e artista poliedrico, e la città di Roma da lui vissuta come la geografia di “una grande storia d’amore, fatta di delusioni, tradimenti, sentimenti di passione e di odio, momenti di attrazione e di rifiuto, fasi di allontanamento e di ricongiunzione”. Una città che, poi, per il polemista Pasolini, fu un “campo permanente di studio, di riflessione e di lotta”, come un laboratorio urbano a cielo aperto in cui verificare con crescente angoscia anche i cambiamenti dell’Italia e degli italiani tra gli anni Sessanta e Settanta. Quella città amata-odiata , dunque, non fu per Pasolini solo un luogo in cui ambientare romanzi e pellicole, ma soprattutto un crocevia spaziale di esperienze e di ricreazione artistica, al punto che ne derivò la trasfigurazione in un nuovo immaginario e in un nuovo mito della capitale, dei suoi quartieri e dei suoi abitanti, fino all’ultima grande opera incompiuta di “Petrolio”, capitolo finale pasoliniano di una straordinaria narrazione fantastica ed esistenziale. La mostra racconta la vita di uno dei più grandi intellettuali del XX secolo attraverso fotografie, filmati, dipinti, manoscritti e documenti. Un viaggio visto con gli occhi di PPP, ripercorrendo le varie fasi della sua vita romana, dall’arrivo da Casarsa nel 1950 fino alla morte all’idroscalo di Ostia il 2 novembre 1975. Tutto ha inizio da quel 25 gennaio 1950, parte il treno da Casarsa a Roma. Pier Paolo ha 27 anni, è stato appena denunciato per corruzione di minori e atti osceni in luogo pubblico ed espulso dal partito comunista italiano. Il pubblico sale sul vagone con lui. Dal finestrino scorrono le immagini del passato, di ció che Pasolini si lascia fisicamente alle spalle: indelebile il ricordo del fratello Guido ucciso in guerra. Insieme alla madre Susanna si installa nella periferia romana, a Ponte Mammolo vicino al carcere di Rebibbia. Insegnerà a Ciampino e, tra i suoi allievi, anche un timido Vincenzo Cerami (sceneggiatore, scrittore e drammaturgo scomparso da poco). Sei tappe che raccontano di un Pasolini poeta, critico, scrittore, regista, attore, pittore intimista, autore di canzoni interpretate dalla sua ”moglie non carnale” Laura Betti. Immagini e documenti inediti, come le carte dell’ espulsione di Pasolini dal PCI nel 1949 per “indegnità morale”, e le immagini della sua prima casa in periferia, vicino al carcere di Rebibbia. E poi le foto con i suoi amici, intellettuali romani, Alberto Moravia, Elsa Morante, Laura Betti, Sandro Penna, Italo Calvino, Giorgio Caproni, Giuseppe Ungaretti, Marino Piazzolla, Renato Guttuso e il filmato in cui Bernardo Bertolucci racconta il loro primo incontro. Io stesso gli sono stato amico e frequentato nelle accoglienti trattorie romane, presi per intere serate in discussioni di vario genere tra gli anni Sessanta e Settanta. Secondo Alain Bergala, “l’obiettivo dell’esposizione non è quello di commemorare PPP, perché vorrebbe dire che è “per sempre”morto. Oggi il suo pensiero è più vivo che mai, impossibile bloccarlo in una definizione, in un’immagine per spiegare in maniera facile chi è quest’intellettuale dalla personalità complessa e contraddittoria. Pasolini non ha mai smesso di smentirsi, anche nelle sue opere, di mettersi in discussione, di superare se stesso e andare oltre, il suo è un pensiero vivo e vivente”. “La morte non è nel non poter più comunicare, ma nel non poter più essere compresi”, dichiarava PPP. Ma lui “era un alieno nella società italiana” ricorda Ninetto Davoli, “incompreso” da un sistema corrotto dai meccanismi del consumismo. Ecco perché PPP amava la gente non istruita, non corrotta dal sistema borghese, che custodiva inconsapevolmente la “verità vera”. Ricchissima e multiforme la documentazione che fa vivere questa retrospettiva, pensata come un ideale viaggio di vita e d’arte attraverso la testimonianza delle sue parole scritte o dette, alle espressioni della sua opera filmica e pittorica e all’incredibile quantità di fotografie che, al lavoro o nel privato, ne hanno immortalato il corpo e l’inconfondibile volto-icona. E inoltre, data la sensibilità estetica di Pasolini e la sua competente passione per l’arte figurativa, non mancherà ilcammeo di due sezioni speciali dedicate ai pittori amati: De Pisis, De Chirico, Mafai, Guttuso, Rosai e naturalmente Zigaina. In questa incredibile galleria di materiali, provenienti dai più importanti archivi italiani (tra gli altri, il Gabinetto Vieusseux, la Cineteca di Bologna, l’Archivio Fotografico di Cinemazero), anche il Centro casarsese è presente con una parte del suo tesoro documentale di carte pasoliniane autografe, custodite nel Fondo Pasolini già dichiarato nel 2010 “bene di interesse culturale” e attualmente in fase avanzata di catalogazione scientifica. Accanto a due rare lettere a Ennio Flaiano del 1963 e a Jean-Luc Godard del 1967, sono  infatti esposte tre lettere dei primi anni Cinquanta alla madre Susanna Colussi, l’adorata “pitinicia” nel lessico familiare di Pier Paolo, e soprattutto il fascicolo n.2 della serie dei celebri “Quaderni Rossi”, in parte editi nei romanzi postumi “Amado mio” e “Atti impuri”. Il libretto è aperto alle pagine datate 19 agosto 1947, in cui il giovane Pasolini confidava al suo “journal intime” la dolorosa scoperta che il padre Carlo Alberto aveva compiuto nei suoi confronti “la più incivile delle indiscrezioni”, frugando tra i suoi diari segreti e venendo così a conoscenza del tormento omosessuale del figlio.Ora una mostra del genere che va a fare il punto su uno degli intellettuali italiani più vivaci e intelligenti del Novecento, lascia leggere propria la distanza fra quel tempo di Pasolini e il nostro, oggi, così povero e così tormentato. La sua lezione è stata unica e irripetibile.

Carlo Franza

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