La poesia di Valerio Mello. Con “Asfalto”, nuova raccolta di poesie e novello zibaldone esistenziale, tocca i vertici della lirica.
Valerio Mello è un giovane poeta italiano di significativo valore, nato alla poesia con una precedente plaquette dal titolo “La nobiltà dell’ombra”, uscita nel 2013, che abbiamo già recensito. Oggi Valerio Mello ci consegna un altro testo poetico, il volumetto “Asfalto” (Editrice La Vita Felice, Milano, 2014) e il cui titolo è già una sentenza. In esso vivono l’istanza della prima persona e i lacerti di versi scopertamente aderenti alla città -Milano- che lo avvolge e lo insegue. Tracce di ciò vi erano già nella prima plaquette (si veda “Mattina in Via Farini”), ora il tema forte, secco, lapidario, come il titolo preannuncia, porta a leggervi una sorta di novello zibaldone esistenziale.
Il livello stilistico è il dettato, il verso autentico, confessato, depositario di tutto il vissuto. Libro austero, nordico, raccolto, dove Mello blocca il paesaggio in un movimento di personaggi nell’ episodicità narrativa. Gli episodi sono risolti in poesia soprattutto là dove nasce un momento di disperazione o d’antico rimpianto. La risoluzione narrativa di questa poesia è gravida di un forte sapore umano ( “Interminabile pensare/ seduto sulla panchina/ che la risposta non sia questa,/ che io non abbia scelte,/ ma una sola via./….”), si vengono a costituire una serie di rapporti tra gli elementi del “vero” e la tensione morale del poeta. Si aggiunga del giovane emigrato il connesso sconforto, per usare una terminologia leopardiana, ridotto a forme immediate con inclinazioni all’angoscia del poeta “maledetto” giovanissimo e provinciale.
La poetica vive tutta giocata tra incrinatura e instabilità che derivano, appunto, da una psicologia tutta pervasa da infiniti tremori, indecisioni, umiltà, inebbriamenti. Poesia complessa questa di “Asfalto”, ricca di vita quotidiana, coraggiosa e interessante, che trasuda cronaca, cronaca milanese, cittadina, metropolitana. L’ubriacatura visiva che Mello vive a Milano lo porta a innestare un dialogo diretto con le cose ( “E’ più pesante del silenzio il giorno/ che sottilmente si annida e cresce/ sotto la vuota goccia di pioggia,/sulle screpolature della carreggiata./ Legge nel mio pensiero/ il monumento alle Cinque Giornate,/…”). Mello si è mosso con coerenza, con equilibratissimo dosaggio di riflessione e di intuizioni, di cultura e di fantasia. Vena esuberante quella che fuoriesce dai versi che spaziano tra realtà e irrealtà, un continuo flusso e riflusso, e che nell’incessante movimento può dire anche il senso della vita o almeno l’immagine di una esistenza particolare. E’ in tutto ciò il segreto della più intima sostanza di questo libro. Bellissime le immagini milanesi in “Asfalto”, colte al volo nelle occasioni di estasi, vagabondaggi o emergenti dalla tenace memoria.
La novità del linguaggio di “Asfalto” è nella sua “forma interna” al servizio di una confessione, risolta in un ritmo di notazioni interiori. Sicchè i versi trasudano di toni delicati e brividanti, dove pause, risonanze, impressioni, fanno vivere un luccicore annebbiato, da cartolina. Mello trova degli accenti che lo accostano a certa letteratura francese, sulle orme di un Lautrèamont o di un Rimbaud( “Io non credo dioquesta voce,/ parlo con un’entità che somiglia/ allo spettro incandescente del sole/ e per la luce mi considero deserto/ di luci nel tentativo di agganciare /la mia ombra,il resto di me perso/ nel riandare da dolori a piastrine/…”); non rinuncia a certe inpuntature lessicali, nella ricerca di un approfondimento dei suoni e della sua sintassi che va nella direzione di un’aggettivazione forte, espressionistica. Persino l’espressione della coscienza di fronte alla propria crisi esistenziale si fonda essenzialmente sulla forza persuasiva che conservano i “che”, i “come” e le “e”.
Ed è ancora quest’ansia, questo tormento profondo del pensiero, che è il primo indizio delle sue riuscite più felici, dei momenti più alti. Da qui ansie, incertezze, angosce, il tumulto della propria situazione interiore che si dipana sulle vie milanesi, sono il lamento di quelle alternanze di grigiore e serenità, di ombra e di luce, di filigrana pessimistica che offre, per questa sua stessa ricerca, una cornice prodigiosa( “ Sul manto stradale porto lo sguardo,/ per casuale motivo,/ poi sul pietrisco lo vedo accasciato/ e nulla si muove/ nulla e respiro.”).
Così la voce poetica di Valerio Mello qui in “Asfalto” fa ritornare il suo timbro pensoso, tipico della vita umana, il timbro autentico della vita cosmica, giacchè le parole si tramutano in quel fremito fermo che è la poesia.
Carlo Franza