Rodolfo Aricò, maestro di chiara fama, ha svelato il mondo con forme primarie e cromatiche. Due mostre lo ricordano a Milano.
Doppia mostra personale per ricordare un artista di chiara fama come “Rodolfo Aricò. Uno sguardo senza soggezione”; e un percorso espositivo, pensato come un iter unitario che mette in relazione gli spazi della galleria A arte Invernizzi e della galleria Lorenzelli Arte di Milano, percorso che intende ripercorrere, attraverso la scelta di opere fondamentali, l’attività dell’artista a partire dalla metà degli anni Sessanta sino agli inizi degli anni Novanta. Negli spazi della galleria A arte Invernizzi sono in mostra i “Senza titolo” del 1967, opere che lasciano emergere i tratti di una riflessione che interroga le potenzialità della riduzione espressiva formale. In quegli anni, ed anche nel decennio successivo, Aricò analizza e ricerca le diverse modulazioni strutturali ed espressive legate alle forme primarie, dedicandosi ad un tipo di indagine non solo spaziale ma anche dimensionale e cromatica, come emerge in un altro lavoro in mostra, “Arco B” (1970). Con l’opera “Area/Prospettiva” (1972), esposta nella personale del 1974 a Palazzo Grassi a Venezia, il modello geometrico originario diviene sequenza e definisce un insieme unitario, strutturalmente composito, sulla cui superficie il colore si qualifica come una stesura eterogenea fatta vibrare dalla luce. Gli anni Ottanta, che rappresentano uno snodo fondamentale nel percorso coerente e progressivo dell’artista e che generano opere come “Cenere” (1987), sempre esposta da A arte Invernizzi, si declinano nella decisa apertura ad una dimensione lirica, in cui vita e pittura creano un amalgama eterogeneo e totale. Aricò giunge a rendere in immagine il dramma dell’esistenza umana e le tele di questo periodo vengono strutturate in forme meno geometricamente definite rispetto alle precedenti assonometrie o proiezioni. La cognizione della tensione vitale come movimento atto alla rottura del limite finito, accentua nell’artista la necessità di trascrivere in pittura la totalità dell’assoluto racchiudendone la percezione in un solo istante, quello dell’evento dell’opera. A una variazione della sagomatura delle tele corrisponde anche una diversificazione della stesura del colore, che è molteplice ed irregolare e che si fa ancor più intensa nei lavori realizzati durante gli anni Novanta esposti sia presso A arte Invernizzi – quali “Circumflex” ed “Aspro” (1991), quest’ultimo caratterizzato da una struttura intensamente spigolosa ed irregolare – sia da Lorenzelli Arte. In questi ultimi lavori, che chiudono il percorso espositivo, le diverse modulazioni tonali vengono graffiate ed attraversate da linee irregolari e spezzate e si acuisce la sensazione che il colore, pur mostrandosi in modo evidente, celi qualcosa che sfugge allo sguardo, come se le opere fossero sospese in bilico nella descrizione del dramma dell’uomo. In occasione della mostra è stata pubblicata una monografia bilingue a cura di Luca Massimo Barbero, con la riproduzione delle opere esposte e un aggiornato apparato bio-bibliografico.
Rodolfo Aricò nasce a Milano nel 1930 e, dopo aver frequentato il Liceo Artistico di Brera, si iscrive all’Accademia e poi alla Facoltà di Architettura al Politecnico di Milano. La sua prima personale risale al 1959, presso il Salone dell’Annunciata di Milano; mentre la sua prima partecipazione alla Biennale di Venezia è del 1964, seguita da una seconda nel 1968. Nel 1974 si tiene l’importante antologica a Palazzo Grassi a Venezia e nel 1980 la mostra Rodolfo Aricò. Mito e architettura nella casa del Mantegna a Mantova. Nel 1986 Aricò partecipa alla collettiva itinerante 1960/1985 Aspetti dell’arte italiana al Kunstverein di Francoforte, Berlino, Hannover, Bregenz e Vienna, per poi prendere parte alla mostra Emotion und method, curata nel 1987 da Eberard Simons alla Galerie der Kunstler a Monaco. Dagli anni Novanta fino al 2002, anno della sua scomparsa, espone in numerose mostre in Italia e all’estero tra cui quelle di Milano, Stoccolma, Schwaz, Venezia, Urbino e Roma.
Carlo Franza