Vincenzo Pellitta, artista da collezione. Strutture specchianti e geometrie costruttive come tracce di lettura del mondo.
Nel novero degli eventi maggiormente significanti a Milano per EXPO MILANO 2015, non è da perdere -anche per i collezionisti- la mostra di Vincenzo Pellitta dal titolo “Strutture specchianti e geometrie costruttive” che si tiene ad Artestudio 26 (Via Padova 26). L’esposizione appare subito ai visitatori essere di grande rilievo perché campiona tutto il lavoro recente di questo artista italiano, lombardo e vigevanese che, nato nel 1948, appare sulla scena artistica nazionale fin dal 1970, quando misurò consensi e attualità sia dalla critica italiana che da quella galleria milanese di tendenza che è stata Arte Struktura di Anna Canali, che lo ebbe in quella nidiata di geometrico-astratti. Artista con un serio e brillante curriculum artistico che lo pone oggi fra i nomi più illustri del panorama artistico italiano. In mostra due capitoli importanti dell’artista, vale a dire le opere “specchianti” dove la geometria si ritaglia nell’acciaio e le “geometrie costruttive” capaci di riattualizzare l’universo e le sue varianti celesti e terrestri. Tutti gli spazi e le superfici organizzate per la lavorazione artistica e pittorica da Vincenzo Pellitta, svelano sia la medesima vocazione del protagonista verso le avanguardie che le suggestioni per il minimalismo, l’astrattismo, le forme, la materia e i materiali, il vuoto e il pieno, le relazioni interne ed esterne, la verticalità e l’orizzontalità, il peso e la gravità, le strutture aperte e le sequenze seriali. Un campo di lavoro vasto che, oggi, nella sua fase più matura l’artista italiano muove con azioni di dis/sezione, di proporzione, di costruzione, di attraversamento, di armonia e sintesi, per giungere, com’è avvenuto, ad intellegibili soluzioni.
In questo universo Vincenzo Pellitta sviluppa sia un movimento lineare che quello del cerchio, senza ricorrere mai a irrigidimenti, a schemi, e vivere appieno, invece, l’esperienza di una tenace geometria che ha basi in una complessa ed elegante circolarità del cosmo-grafico, centrifugo e centripeto, semplice e intenso, fino ai suoi minimi. La lezione del “Quadrato nero”, della “Croce nera” e del “Cerchio nero”, vale a dire i primi tre monocromi, i primi “tre numeri” cult della serie dei quadri suprematisti, targati 1913, una trilogia prologo che sta alla base della genesi del rivoluzionario programma plastico-filosofico dell’artista russo Kazimir Malevic, ovvero tre opere considerate icone del Ventesimo secolo per quel drastico ed estremo atto di rottura definitiva contro l’idea di arte come rappresentazione e imitazione naturalistica, tutto ciò è base d’avvio per capire e leggere la nobile lezione del Pellitta. E se quelle di Malevic sono opere pamphlet che inneggiano alla libertà dell’artista moderno dalla schiavitù di un fine estetico e pratico dell’arte, opere slogan che decretano il totale libero arbitrio della sensibilità umana e che incitano alla “supremazia della pura sensibilità dell’arte”, queste del Vincenzo Pellitta, sono la taratura forte di un capitolo tutto filosofico carico di sogni segreti che hanno intersecato spazialismo e geometrismo. Di grande impatto queste fascinazioni simmetriche di parti specchianti, lamine d’acciaio impiantate sugli stessi territori divisi, strutture stringenti che porgono l’illusione della conquista e della seduzione catartica; sviluppano energia proprio dal loro espandersi in un occhio cromatico bianco-nero, nero-grigio. Ma l’uniformità della visualizzazione si cattura su differenti intensità, per cogliere meglio l’aspetto multiplo del riflettente, la valenza del raggio, la luce serrata, le sintesi dell’astratto-geometrico e del costruttivismo di base. Questa idea della strategia delle strutture specchianti vive il senso di liberazione da una esistenza contaminata, portandosi verso architetture e simmetrie decise e nitide, dove l’io, ogni io si immerge e quasi si purifica. Laddove invece, nel capitolo degli acrilici e delle geometrie costruttive sale la poetica comparata ai contributi di Soldati e Radice, ma anche di Mondrian e Veronesi, i diversi ardimenti di ipotesi costruttivista e la sua esperienza programmata si rifondono in cognizione gestaltica nella comunicazione attraversata da rifrazioni contestuali. Nello schema ambientale quasi giocano ovali, rettilinei, linee spezzate, variazioni grafiche esplorative che relazionano col finito, mentre lamine di colore e di luci, essenziali e nitide, riassumono indicazioni duttili di creatività. E allora appaiono chiare quelle morfologie neoplastiche, ricollegabili al neoconcretismo, calcolate fra le essenze e le magiche ombre, senza negare le geometrie del mondo. Ma ormai il dominio compositivo è artefizio del pensiero a cui l’arte appartiene, e il valore astrattivo di questi lavori di Vincenzo Pellitta trova la dialettica di una cultura del ritmo rifratto, delle topiche inoggettive e rigeneranti, e soprattutto dell’estetica minimalista che perdura nel suo intento concettuale e poetico.
Carlo Franza