Luoghi e vedute di Roma nell’Ottocento. Dal paesaggio classico alla pittura dal vero. Alla Galleria Berardi di Roma capolavori di artisti dell’Ottocento italiano ed europeo.
Quanti letterati e artisti fin dalla fine del Settecento in quella lunga tradizione del Grand Tour si siano avventurati in Italia, è da tempo attestato. Nella prima metà dell’Ottocento a Roma vennero messi a punto i principi del paesaggio classicista, direttamente ispirato ai prototipi seicenteschi di Claude Lorrain. Questo vero e proprio paesaggio-architettura, sempre ordinato da una o più quinte arboree, con piccole figure in primo piano e un lento digradare verso l’orizzonte, sarà preso di mira e sperimentato da maestri italiani e stranieri. Ora a Roma è stata ordinata presso la Galleria Berardi Antiquariato una mostra di vasta portata storica e non solo, perché la bellezza dei dipinti e dei paesaggi selezionati ne lascia subito intendere la cornice e la portata; ha per titolo “Luoghi e Vedute di Roma nell’Ottocento”. A proposito del paesaggio-architettura, di cui si diceva prima, ecco che in mostra, esemplare è la grande tela dello svizzero Johann Jakob Frey “Veduta di Roma da Monte Mario”. Il modus operandi per fissare in queste grandi tele le sensazioni derivate dal vero era costituito dagli studi all’aria aperta realizzati ad olio, su piccole tele o più spesso su carta, secondo un metodo messo a punto in Francia da Camille Corot e quindi importato in Italia dall’olandese Anton Sminck van Pitloo. In esposizione, cammeo degli studi compiuti dal vero, è il piccolo olio su carta di Ippolito Caffi raffigurante “Interno del Colosseo con fuochi di bengala”. Di lì a poco sarà Massimo Taparelli D’Azeglio a teorizzare tale metodo di lavoro: “Dipingevo dal vero in tele di bastante grandezza, cercando di terminare lo studio, o quadro sul posto, senza aggiungere una pennellata a casa” (D’Azeglio 1867). Sempre lungo la prima metà del secolo compare per la prima volta nel repertorio della pittura di paesaggio il soggetto delle paludi pontine, di cui è presente in mostra un’affascinante opera del gallese Penry Williams. Un intento spiccatamente documentario invece è quello che emerge dal dipinto di Vincenzo Giovannini raffigurante “Pio IX che lascia Roma sulla via Flaminia”. Il successivo passo è stata la pittura dal vero sperimentata da Nino Costa, che con l’amico George Mason ha cominciato a battere la campagna romana dipingendo -e sono parole del pittore romano- “ove d’uopo stare con i piedi nelle pozzanghere”. Gli effetti atmosferici del “realismo intellettuale” operato da Costa e da Mason, presto associati nella cosiddetta “Scuola Etrusca”, sono stati poi fondamentali per il successivo sviluppo del realismo toscano. “I popolani nella pineta di Ostia Antica” può essere considerato un manifesto programmatico della Scuola Etrusca. Contemporaneamente a Nino Costa numerosi pittori stranieri iniziano a ritrarre i luoghi più affascinanti di Roma, sollecitati da un sempre più fiorente mercato, abbandonando il linguaggio realista a favore di una più immediata tecnica para-impressionista. Ricordiamo tra le diverse opere in mostra “L’arco di Tito” di Theodor Groll, “Il Tevere a Ponte Sant’Angelo con San Pietro sullo sfondo” del tedesco Carl Wuttke, e “Sulla via Appia” di Franz Richard Unterberger.
Ora vi dico che non dovete assolutamente dimenticare di vedere la mostra se siete già a Roma, o se avete programmato di andarci, fatene una tappa di arte e cultura, vi arricchirà non poco.
Carlo Franza