L’astrazione di Guido Strazza in mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma è stata inaugurata la mostra antologica di Guido Strazza (Santa Fiora, Grosseto, 1922), a cura di Giuseppe Appella. “Sono un vecchio pittore con una storia lunga alle spalle, perciò questa antologica servirà a ricostruire la mia vita artistica”, ci ha confidato Guido Strazza. Quest’artista alto, elegantissimo, capelli folti e bianchi, a oltre novant’anni ricorda che il padre lo voleva ingegnere – si è laureato nel 1948 – ma, conferma, “ho poi preferito concentrarmi esclusivamente sulla mia vocazione d’artista”. Intellettuale impegnato, Strazza ha ricoperto diversi incarichi, tra cui la direzione dell’Accademia di Belle arti di Roma (1985-1988) e la presidenza dell’Accademia di San Luca (2011-2012). Quando esordisce, nel 1942, si lega subito all’Aeropittura di Filippo Tommaso Marinetti: “Mi presentai a una sua conferenza con un quadro sotto braccio, poi mi invitò a casa sua. Fu un incontro fondamentale, in quello stesso anno mi chiese di partecipare alla Biennale di Venezia”, rammenta il maestro, che cita poi Boccioni e Balla come suoi riferimenti primari e aggiunge di aver “sempre rifiutato l’idea di una pittura finalizzata alla rappresentazione”.
L’esposizione ripercorre oltre mezzo secolo attraverso la sua attività e soprattutto con un nucleo consistente di opere, 56 dipinti, 3 sculture, 42 disegni, 31 incisioni (le cartelle “Ricercare”del 1973 e “Orizzonti olandesi” del 1974, insieme ad alcune incisioni datate 1974-2001 legate ai dipinti e ai disegni dal 1942 al 2016). “I segni stessi, con la loro forma e il dinamismo, sono i cardini del mio lavoro, insieme alle riflessioni sulle compenetrazioni della luce”, aggiunge. Ha viaggiato molto tra gli anni ’40 e ’50, in Perù, Cile e Brasile, dove ha esposto – nel 1951 e nel 1953 – alla Biennale di San Paolo, proponendo opere di ascendenza informale. Si porterà poi negli anni verso un’astrazione che si concentra su un fronte più essenziale, in cui “ogni segno è insieme memoria e progetto”, come nel ciclo Segni di Roma della fine degli anni Settanta ( e oggi alla Galleria nazionale ne sono esposti alcuni intensi esempi). Le opere scelte, che provengono dalla collezione dell’artista e da alcune collezioni pubbliche e private, sviluppano metodologicamente la didattica del segno, ovvero l’elaborazione di ogni immagine possibile, il pensiero in dialogo con ciò che possiamo vedere e far vedere. Nel corso della sua lunga carriera, in cui – come l’artista spesso ha sottolineato – grande importanza ha avuto, come elemento originale di confronto e creatività, il “momento” didattico, Strazza ha sviluppato una forte connotazione personale, che ne rende impossibile l’inquadramento in uno qualsiasi dei tanti movimenti che hanno attraversato il dibattito artistico del dopoguerra, al quale ha partecipato con contributi a tutto campo. Dopo una tappa a Venezia e una a Milano, negli anni Sessanta è approdato definitivamente a Roma e frequenta la Calcografia nazionale. “Grazie al direttore Maurizio Calvesi – ricorda Strazza – si aprirono i laboratori agli artisti, lavoravo così con Giulia Napoleone e Luca Maria Patella, scendevo in deposito e vedevo i Piranesi. Lì ho capito che l’incisione era il mio alter ego”. Oggi, quando gli si chiede dei programmi per il futuro, Strazza si augura “di poter continuare ad andare in studio per progettare un nuovo quadro e dipingerlo”. Dipingere è stato il terreno più fertile della sua vita, un’intera vita dedicata all’arte. A mostra ultimata, il nucleo di opere provenienti dallo studio e collezione dell’artista sarà donato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.
Carlo Franza