Riccardo Guarneri. Il maestro impareggiabile dello spazio vibrante e caposcuola dell’arte analitica in mostra a Londra.
“Ho lasciato emergere la luce del bianco. Ho voluto che diventasse tutto leggerissimo, trasparente, poco decifrabile. Affascinato dalle chine dei maestri Zen, ho lavorato sui quadri bianchi e, con matite o l’acquarello, che trasfiguravano nella leggerezza e nella sfumatura il loro stesso colore, ho conferito la luminosità che volevo, divenuta poi caratteristica delle mie opere. La luce viene dalle trasparenze, da dentro al quadro, e si proietta nell’esteriorità”( parole di Riccardo Guarneri).
E’ già trascorso qualche mese dall’aver partecipato alla cinquantasettesima Biennale di Venezia, Viva Arte Viva, curata da Christine Macel, che l’ottantaquattrenne artista fiorentino Riccardo Guarneri è corso a Londra alla galleria Rosenfeld Porcini, ad inaugurare la sua mostra ormai aperta da qualche tempo e visitabile fino al 10 aprile 2018. Ha per titolo “Slowing time” che vuol dire “La dilatazione del tempo”. Diciamolo subito a chiare lettere che Guarneri con una storia artistica alle spalle di eccezionale portata è oggi tra i cinque artisti italiani contemporanei più “in” sul mercato italiano e internazionale. E’ una delle figure più vitali della Pittura Analitica Italiana, insieme a Olivieri, Griffa, Pinelli, Gastini, Verna, Marchegiani, Zappettini, e Cotani.
La selezione di opere esposte a Londra compone un’antologia del lavoro di Guarneri dagli anni Sessanta ad oggi. In concomitanza, la mostra presenta sia una “Natura Morta” di Giorgio Morandi che “Ironia” di Fausto Melotti, e sol perché il confronto fra le opere dei tre artisti italiani dimostra che, nonostante Morandi fosse un pittore figurativo e Melotti uno scultore, le loro sensibilità poetiche presentano similitudini vicinissime all’astrazione di Guarneri. Il lavoro dei tre artisti (Guarneri- Morandi-Melotti) si caratterizza unitariamente per un tratto comune che li caratterizza, vale a dire, di farsi arte monacale, nel senso di non essere mai gridata, né carica di enfasi, di parlare silenziosamente, e di farsi contemplare come presi da una visione mistica. Quando si fanno anche per l’arte di Guarneri taluni richiami alla corrente internazionale del Color Field Painting il discorso regge se correlato alla figura di Barnett che è stato uno dei principali esponenti del movimento artistico; e ne spiego il perché, in quanto è proprio la pittura di Barnett che si caratterizza per la presenza di campi colorati (i Color Field appunto), disposti sulla tela in modo omogeneo e uniforme, rotti solamente da sottili fenditure (sovente di colore bianco), concepite come vere e proprie “cerniere” tra la terra e il cielo o tra l’umano e il divino.
L’artista Guarneri si è imposto sia come una figura artistica indipendente, sia come precursore delle tendenze pittoriche astratte degli anni 70’. Dall’inizio della sua carriera negli anni 60’, ha sperimento senza sosta l’armonia tra segno, colore e luce, inventando un’originale linguaggio lirico, infatti oltre ad essere un pittore, Guarneri è anche musicista. L’intero repertorio dell’artista, che comprende strutture geometriche ma anche segni colorati più caldi ed organici, può essere inteso come un’ode all’ascolto, l’ultimo passo per permettere alla melodia intrinseca ai dipinti di penetrarci profondamente. La selezione di opere esposte sottolinea l’unitarietà artistica di un pittore dedicato a ricercare variazioni estetiche intorno ad un tema centrale, atte proprio a movimentare quella che chiamo nozione di “spazio vibrante”. Guarneri ha centrato la sua ricerca sempre intorno all’estetica del segno e della luce, dell’astratto come pittura di campo, di visione fenomenologica, perché nella sua pittura i rapporti si definiscono per giustapposizione sulla superficie, si sviluppano nelle due direzioni della profondità, in dentro e in fuori, dietro e davanti. I quadri a vederli manifestano la ricerca la ricerca di uno spazio creato da distanze luminose, per pura relazione cromatica, senza definizione di volume e di segno, come cercasse Guarneri di rendere perplessi e assorti gli spettatori attirati dal cosmo captato da quei semplici rettangoli di colore e non solo. Quadrati, rettangoli, emisferi parlano di bellezza, di misura, di equilibri, di mondi non tragici, ma di atmosfere sostanziali, segnate, dettate e percepite anche attraverso giochi di sfumature e trasparenze. Ecco questa mostra londinese certifica ancor più la vitalità di Riccardo Guarneri, sfalsando il detto che negli artisti anziani la creatitivà è spenta, con lui è proprio il contrario, giacchè i colori di luce, le vibrazioni e la stessa pittura sono come riossigenati, reinventati. L’arte di Guarneri vive sotto la cupola celeste e non solo sulle prime linee del fronte interno, ma -e soprattutto- “nel senza tempo delle stagioni”. Alla Biennale Veneziana persino il Padiglione Vaticano, lo scorso anno mancante, avrebbe potuto presentare i lavori del maestro fiorentino, perché quelle geometrie del cielo e della terra avrebbero offerto voto e preghiera anche ai non credenti, agli atei, per una vita strettamente esaminata sotto la tenuta della luce che governa il mondo da sempre e per sempre.
Riccardo Guarneri, nato nel 1933 a Firenze, dove vive e lavora. Inizia a dipingere nel 1953, alternando la pittura all’attività musicale. Dal 1962 intraprende una ricerca fondata sul segno e sulla luce che diventano suoi principali oggetti di studio all’interno di un impianto geometrico minimale. Esordisce all’Aja nel 1960 con la prima mostra personale. Sei anni dopo partecipa alla Biennale di Venezia (con Agostino Bonalumi e Paolo Scheggi) e alla mostra Weiss auf Weiss alla Kunstalle di Berna. Nel 1967 è invitato alla Biennale di Parigi nella sezione “Nuove Proposte”. Nel 1972 tiene la prima antologica al Westfalischer Kunstverein di Münster. Partecipa alle Quadriennali di Roma del 1973 e del 1986. Nel 1981 al Palazzo delle Esposizioni di Roma espone a Linee della ricerca artistica in Italia 1960-1980, mostra che nel 1997 viene riproposta alla Kunsthalle di Colonia Abstrakte Kunst Italiens ’60/’90. Nel 2007 partecipa a Pittura Analitica, anni ’70 al Palazzo della Permanente di Milano. Nel 2008 è tra gli artisti della mostra Pittura Aniconica presso la Casa del Mantegna di Mantova. Tre anni dopo prende parte a Percorsi riscoperti dell’arte italiana – VAF-Stiftung 1947- 2010 al Mart di Trento e Rovereto. Nel 2015 è tra gli artisti di Un’idea di pittura. Astrazione analitica in Italia, 1972-1976 presso la Galleria d’Arte Moderna di Udine. Allo stesso anno data la personale alla galleria Rosai-Ugolini di New York. Risale al 2000 il mosaico di 24 mq per la Metropolitana di Roma nella stazione Lucio Sestio. Ha insegnato pittura nelle Accademie di Belle Arti di Carrara, Bari, Venezia e Firenze. Nel 2017 partecipa alla cinquantasettesima Biennale di Venezia, Viva Arte Viva.
Carlo Franza