Mario Giacomelli in mostra a Milano con i suoi paesaggi astratti. Forma Meravigli apre la stagione artistica con un nome della fotografia mondiale.
Dopo qualche mese d’interruzione, e continuando quello che è stato realizzato in oltre dieci anni di attività, riaprono gli spazi di Forma Meravigli a Milano. Si prosegue, e anzi si intensifica, tutto quello che ha sempre contraddistinto l’attenzione di Forma verso la fotografia: proposte espositive, corsi di formazione e didattica, incontri con gli autori, proiezioni, proposte editoriali e in più una speciale attenzione al mondo del collezionismo. Forma Meravigli, un’iniziativa di Fondazione Forma per la Fotografia in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi e Contrasto. Il primo appuntamento, una straordinaria selezione di fotografie di Mario Giacomelli in collaborazione con l’Archivio Giacomelli di Senigallia, a ingresso gratuito.
La mostra di Mario Giacomelli ha per titolo “Da un caos all’altro. Paesaggi e fotografie astratte” ed è aperta fino al 18 novembre. Di grande fascino l’opera estrapolata da “ Presa di Coscienza sulla natura, 1977-2000, La campagna marchigiana” (qui rappresentata).
L’esposizione propone e mette in relazione le straordinarie immagini del paesaggio marchigiano, che per tutta la vita Giacomelli non si è mai stancato di fotografare, con una scelta delle sue immagini astratte, dove il rapporto tra le figure nere e il bianco si fa attesa drammatica, corposa, lirica. La tensione verso l’astratto e l’attenzione verso il territorio si specchiano uno nell’altro nella fotografia di Giacomelli.
Il paesaggio non è stato solo la materia portante di molti poeti italiani( cito Ungaretti, Quasimodo, Girolamo Comi, Umberto Piersanti, Vittorio Bodini, e tanti altri), perché anche fotografi come Giacomelli hanno fatto del paesaggio il loro basamento portante; Mario Giacomelli è andato oltre il punto di vista del neorealismo introducendo nelle immagini una nuova poesia tonale, anche onirica, e realizzando racconti fotografici, che hanno fatto di lui di lui il più importante fotografo italiano del Novecento autonomo a quel punto rispetto ad ogni scuola.
Mario Giacomelli era il maggiore di tre fratelli, all’età di 9 anni perse il padre. Fu in quel periodo che iniziò a dipingere e a scrivere poesie, a tredici anni iniziò invece a lavorare alla Tipografia Marchigiana, affascinato dalla possibilità di comporre parole e immagini offerte dalla stampa. Per tutta la vita lavorò nella stessa Tipografia Marchigiana divenendone il proprietario e si dedicò alla fotografia soltanto nel tempo libero e tutti i giorni dopo cena, dapprima fotografando i dintorni di Senigallia, quindi stampando provini nei quali individuava il focus interessante che ingrandiva e stampava. Nel 1955 venne premiato a Castelfranco Veneto e a Spilimbergo,infine dal 1963, quando John Szarkowsky, il curatore del MoMA di New York acquisì la serie Scanno e ne inserì una fotografia nel prestigioso catalogo Looking at Photographs, Giacomelli ebbe enorme fama in Italia e all’estero.
E’ così che Giacomelli poeta e fotografo ha puntato sui paesaggi che sono stati la struttura portante della sua visione realizzata dall’inizio e nel corso di tutta la sua vita, soprattutto tra il 1954 e il 1979, spesso inseriti nei suoi racconti, seguiti dalla serie “Presa di coscienza sulla natura” realizzata tra il 1980 e il 1994 (l’unica identificata da un titolo e nella quale inserì anche immagini realizzate dall’aereo).E’ da sottolineare che i titoli delle sue fotografie sono spesso versi di grandi poeti italiani e stranieri. Diverse fotografie di colline, date le caratteristiche del territorio marchigiano, vennero scattate dall’altura vicina, inoltre Giacomelli già dagli anni ’50 amava “intervenire” indicando agli agricoltori persino le modalità di aratura. Come lui stesso scrisse: “…Una buona parte di questi paesaggi è stata creata e ho cominciato a fare interventi sul paesaggio fin dal 1955: se trovi davanti ai tuoi occhi un paesaggio che ha solo bisogno di correzione, una aggiunta di segni, di linee, di buchi, che il caso o il contadino non hanno saputo fare, allora intervengo io… A volte ho addirittura usato un negativo scaduto, uno strumento già morto, proprio per accentuare questa sensazione, ottenendo un effetto di neri che diventano tutt’uno con le zone intorno…”. Altro elemento significativo delle sue fotografie, cielo ed orizzonte sono stati eliminati. La terra acquista nelle immagini da lui realizzate l’assoluta preponderanza visiva, una terra graffiata nel contrasto esasperato della stampa e nella quale regnava la tristezza. Né va dimenticato l’incontro con Alberto Burri e la sua arte informale che ha arricchito la cultura visiva di Giacomelli. Attraverso Burri si accostò inoltre allo spazio della metafisica di Mondrian e delle sue linee, delle zone di colore e delle forme rettangolari che si ritrovano citate nei paesaggi.
Mi piace ricordare che il collega Christian Gattinoni, professore alla Scuola Nazionale Superiore della Fotografia di Arles (Francia) ha ricordato come “…Giacomelli, col suo gesto espressionista che accentua i contrasti è poeta e disegnatore insieme. In realtà, la pittura e le incisioni di Alberto Burri lo toccano quanto l’opera di un Barnett Newman, a cui d’altra parte lo avvicina una certa estetica dello sviluppo delle stampe. L’utilizzazione del bianco e nero fa però tendere le sue produzioni verso l’incisione, per l’uso del nero argentato ottenuto dall’opposizione tra le diverse intensità di luce…”. Per una mostra come questa di Milano, assolutamente da vedere, non è poco.
Carlo Franza