Donne. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione. La figura femminile attraverso la visione di artisti e movimenti del Novecento in mostra alla Galleria d’Arte Moderna di Roma.
Da oggetto da ammirare, in veste di angelo o di tentatrice, a soggetto misterioso che s’interroga sulla propria identità fino alla nuova immagine nata dalla contestazione degli anni sessanta: la mostra “DONNE. Corpo e immagine tra simbolo e rivoluzione” – alla Galleria d’Arte Moderna di Roma fino al 13 ottobre 2019 – è una riflessione sulla figura femminile attraverso la visione di artisti che hanno rappresentato e celebrato le donne nelle diverse correnti artistiche e temperie culturali tra fine Ottocento, lungo tutto il Novecento e fino ai giorni nostri. Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita Culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con Cineteca di Bologna, Istituto Luce-Cinecittà, la mostra presenta circa 100 opere, tra dipinti, sculture, grafica, fotografia e video, di cui alcune mai esposte prima o non esposte da lungo tempo, provenienti dalle collezioni d’arte contemporanea capitoline, a documentazione di come l’universo femminile sia stato sempre oggetto prediletto dell’attenzione artistica.
L’immagine femminile
“Le donne devono essere nude per entrare nei musei?” – si domandava in maniera provocatoria lo slogan di uno dei più famosi collettivi di artiste femministe americane. L’interrogativo rifletteva su una verità incontrovertibile.
Per secoli l’immagine femminile è stata, infatti, protagonista della creatività: il nudo femminile come forma da studiare, modello di bellezza, di erotismo o di ludibrio, mentre la modella diventava, alternativamente, la musa ispiratrice, la fonte di ogni peccato, l’esempio di doti domestiche e di virginale maternità.
Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del XX secolo la rappresentazione della donna è incardinata in un ossimoro che ne mostra l’ambivalenza: da una parte immagine angelica, figura impalpabile ed eterea, puro spirito immateriale, dall’altra minaccia tentatrice, fonte di peccato e perdizione. Da Le Vergini savie e le vergini stolte di Giulio Aristide Sartorio, alle modelle discinte in pose provocanti dei pittori divisionisti (Camillo Innocenti, La Sultana) passando a L’angelo dei crisantemi di Angelo Carosi, la donna vive sospesa tra il suo essere allo stesso tempo ninfa gentile e crudele seduttrice, Musa e Sfinge, analogamente a quanto avveniva nella contemporanea letteratura simbolista e decadente di D’Annunzio e dei poeti d’oltralpe e nelle stupefacenti pellicole cinematografiche che facevano vivere sullo schermo le prime dive dell’epoca moderna.
I profondi cambiamenti sociali, politici che seguirono la fine della Grande Guerra con la messa in crisi dei valori tradizionali, determinarono anche la prima grande rottura di quell’immaginario consolidato. Di pari passo all’emancipazione sociale delle donne – dai primi movimenti delle suffragette in Europa alla prepotente entrata nel mondo del lavoro a causa delle contingenze storiche – anche la raffigurazione dell’immagine femminile nelle arti visive risentì delle contraddizioni di una società che stava cambiando. Alla trasformazione delle dinamiche sociali si aggiunse l’impatto che su tutta la cultura occidentale del Novecento ebbero le teorie freudiane (L’interpretazione dei sogni è del 1900) che scardinarono per sempre l’immagine armonica della famiglia tradizionale, ora descritta come coacervo di pulsioni e conflitti.
Nella serie dei ritratti esposti al secondo piano della mostra spicca, tra gli altri, il volto di Elisa, la moglie di Giacomo Balla, ritratta mentre si volta per guardare qualcosa o qualcuno dietro di sé. Il valore iconico dell’immagine è racchiuso nello sguardo che muta lo stupore in seduzione e curiosità trasformando il ritratto della giovane donna da oggetto da ammirare a soggetto misterioso. Figure allo specchio si interrogano sulla propria identità, volti enigmatici restano ermetici allo sguardo, realistici nudi espressionisti si alternano a visioni di un’umanità felice in uno spazio senza tempo.
Il forte richiamo alla famiglia italica tradizionale propagandata dal Fascismo, insieme al decremento dell’occupazione femminile, al fine di sottolineare e riaffermare l’esclusivo ruolo della donna come madre, trovò riscontro in molte delle espressioni artistiche coeve. Eppure quel modello, fatto proprio da molta arte degli anni Trenta e Quaranta, viene spesso disatteso pur nella ripresa di un analogo soggetto in cui l’intimità delle mura domestiche diventa un luogo e un universo segnati da indecifrabili solitudini esistenziali (Antonietta Raphaël, Riflesso allo specchio; Luigi Trifoglio, Maternità; Mario Mafai, Donne che si spogliano; Baccio Maria Bacci, Vecchie carte).
Il voto delle donne nel 1946, conquista ottenuta anche grazie alla partecipazione femminile alla guerra di liberazione, rappresentò una svolta radicale nella storia italiana. Fu solo a partire dalla fine degli anni Sessanta, però, che le lotte per il raggiungimento della parità di diritti produssero, nelle donne, un profondo cambiamento nella percezione di sé, delle proprie possibilità e potenzialità nei più vari ambiti compreso quello dell’arte.
Contemporaneamente alla contestazione sociale dei modelli patriarcali, la consapevolezza di una nuova identità femminile fu al centro della ricerca di molte artiste (Tomaso Binga, Bacio indelebile; Giosetta Fioroni, L’altra ego) ed anche il ruolo predestinato di “madre”, passando dalla condizione di scelta obbligata, divenne il fulcro del dibattito sulle libertà della donna e sulla riappropriazione del proprio corpo (Sissi, Nidi).
Il percorso espositivo è accompagnato da videoinstallazioni, documenti fotografici e filmici tratti da opere cinematografiche e cinegiornali provenienti dalla Cineteca di Bologna e dall’Archivio dell’Istituto Luce-Cinecittà che ne hanno curato la realizzazione. In una sala della mostra sarà proiettato il film, prodotto dall’Istituto Luce, Bellissima (2004) di Giovanna Gagliardi che attraverso documenti storici dell’Archivio Luce, spezzoni di film, canzoni popolari e interviste racconta per immagini il cammino delle donne nel ventesimo secolo.
L’ultima sezione della mostra, dedicata alle dinamiche e le relazioni tra gli sviluppi dell’arte contemporanea, l’emancipazione femminile e le lotte femministe, presenta materiale documentario proveniente da ARCHIVIA – Archivi Biblioteche Centri Documentazione delle Donne – e testimonianze di performance e film d’artista di alcune protagoniste di quella stagione fondamentale provenienti da collezioni private, importanti Musei e istituzioni pubbliche (Museo di Roma in Trastevere; Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale; Galleria Civica d’Arte Moderna Torino; MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna; MART – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto – Archivio Tullia Denza).
Per tutta la durata della mostra il percorso sarà arricchito da nuove opere presentate al pubblico con incontri inseriti nel ciclo L’opera del mese secondo un calendario in corso di programmazione che partirà da marzo prossimo.
Saranno anche organizzate, fra aprile e ottobre 2019, una serie di iniziative culturali nel segno dell’interdisciplinarietà – incontri, letture, performance, presentazioni, proiezioni, serate musicali e a tema – sulle tematiche affrontate dalla mostra. La GAM Galleria d’Arte Moderna dalla primavera 2019 ha avviato, attraverso il suo sito e i social network, anche il contest #donneGAM tramite il quale invita il pubblico a postare fotografie di donne protagoniste della propria storia familiare. Immagini di nonne, madri, sorelle, compagne, ritratte al lavoro, a scuola, in casa o in altri luoghi di vita, di attività e di impegno per documentare le tante storie di donne di ieri e di oggi. Tutte le fotografie saranno trasmesse in mostra, tramite un monitor, in un’area appositamente allestita.
Carlo Franza