Figura storica di tutto rilievo quella di Ernst Jünger (1895-1998), che ha attraversato la difficile temperie del Novecento, dalla Grande Guerra del ‘15/’18 fino alla condanna a morte annullata direttamente da Hitler nella Seconda guerra mondiale e poi a seguire l’isolamento del dopoguerra, mosso certo da precise  ragioni politiche. E’ stato il primo implacabile accusatore di un’epoca “che aveva visto nel materiale l’altezza suprema”. E così, quando inizia a ritenere troppo pervasiva la corruzione spirituale, accentua un’attitudine aristocratica al ripiegamento interiore e all’isolamento: “Sono in fuga da decenni. Gradualmente ho visto nel motore il mio arcinemico, il compimento dell’orologio meccanico inventato dai monaci medievali mille anni fa”. Un’accensione di goethiana memoria che lo conduce a leggere “il tutto nel nascosto” e a rincorrere, con eguale slancio, evasione e ritorno: “la fuga ha giocato un certo ruolo nella mia vita”, tuttavia “il ritorno è qualcosa di estremamente importante. È probabile che sia un mio tratto conservatore”. Possiamo dire che è stato anche ben “fortunato” in tutte queste peripezie, e proprio della “fortuna” tratta il breve articolo “Quadrifogli”, tratto dalla rivista “Antaios” (1960) che diresse per alcuni anni insieme a Mircea Eliade, e offerto per la prima volta in italiano in un raffinato volumetto, intitolato, appunto Quadrifogli, pubblicato da De Piante Editore a cura di Luca Siniscalco e con un contributo di Marino Freschi (pp. 32, € 20).

Poche pagine certo, ma lo spessore del tema -la fortuna-  è vitale e prezioso, perché lascia vivere un tema che è stato caro a molti studiosi e letterati, fin dai tempi di Dante, Petrarca e Boccaccio.  Il fato coglie tutti, chi più e chi meno, fortunati coloro che sono in grado di assecondarne le onde, ovvero coloro che, sono, per l’appunto “fortunati”. Non si tratta, qui, di cieca fortuna o di mera casualità, ma della capacità di percepire, al di là dell’apparenza, le trame sottili di un destino, quel filo che muove tutto, l’essere e l’esistenza, di leggere nel vulcano che muove le casualità, e di leggere infine oltre il materiale e l’ordinario, oltre l’apparenza. Cosa non da poco. E’ questa, infatti, la capacità innata di coloro che, in un prato, individuano, senza fatica, il quadrifoglio in mezzo a un campo di trifogli: “costui avrà anche uno sguardo particolare sul campo della vita. Avrà anche fortuna, il suo occhio interiore riconosce i segni, quelli che conducono e quelli che respingono. In mezzo alla catastrofe abbiamo vissuto il tramonto di uomini che pure avevano acutamente escogitato la migliore via di fuga, mentre altri la trovavano quasi senza fatica, come in sogno”.

“Il quadrifoglio – scrive Siniscalco – porta fortuna perché è insolito, genera meraviglia discostandosi dalla norma, benché proprio la sua eccezione confermi la validità dell’armonia cosmica”. Si tratti di coleotteri o quadrifogli, di un luogo come la Sardegna o di un’isola greca, Jünger ridisegna una immensa mappa spirituale che, come scrive Mario Bosincu nella prefazione a La Grande Madre (Le Lettere), diventa molto più che simbolica nel momento in cui coglie connessioni, caratteri, anima dei luoghi e perfino lo spirito originario. Quando Jünger entra in contatto con quel sud del mondo che fa fatica ad abbandonarsi al moderno, o quando si intestardisce nello studio minuzioso e lenticolare  di un coleottero, cerca “l’accesso al palazzo dell’essere”. E quando, nel 1978, visita la Sardegna ha netta la sensazione di una fuga dalla civiltà tecnologica: “È come se un’esplosione avesse investito il pianeta intero”. Ma, nei ritorni successivi sull’isola, è sconvolto da ogni singolo cambiamento. Si fa specie persino dell’oste che mostra con fierezza il suo frigorifero e gli assicura che le vivande siano “fresche come a San Francisco e in ogni altro luogo del mondo”, e che rappresenta “il precursore delle merci prodotte dall’industria per il consumo di massa, che nella loro fattura a buon mercato” potranno essere sempre presenti sull’Isola. Il volumetto “Quadrifogli” di Ernst Junger è un affondo anche sui sogni, territori caro a pittori e poeti, certo porta privilegiata per quella “realtà separata” che a parere di saggi e sapienti è il vero mondo, oltre il reale, oltre l’esistente. Plaquette da non perdere, da tenere vicino ogni giorno e assaporarne poche righe, in quanto insegna a vivere, a capire il mondo e l’esistenza, specie in questo nostro tempo distratto e senza linfa vitale;  Ernst Junger fa attenzione all’osservazione di fenomeni minuti, attraverso l’entomologia e i viaggi, e in  esse trova il senso ultimo del tutto;  una scrupolosa attenzione  sia ai fiori o agli insetti, che in  civiltà e luoghi remoti.  

Carlo Franza

Tag: , , , , ,