Carlo Nangeroni. Abstraction come musica da vedere al Forte Lorenese di Forte dei Marmi.
Si svolge fino al 12 settembre 2021, al Forte Lorenese di Forte dei Marmi, la mostra “Carlo Nangeroni. Abstraction: musica da vedere”, realizzata in collaborazione con l’Archivio Carlo Nangeroni di Milano. Promossa dal Comune di Forte dei Marmi, l’esposizione presenta oltre ottanta opere di Carlo Nangeroni, pittore e scenografo statunitense di origine italiana, datate tra il 1949 e il 1999. A un importante nucleo di dipinti – perlopiù acrilici, ma anche oli su tela e acquerelli – si aggiungono tre sculture, realizzate appositamente per l’esposizione su licenza dell’archivio e progetto dell’artista, collocate in Piazza Garibaldi.
Il percorso espositivo parte da uno splendido autoritratto del 1949, ancora declinato nel linguaggio figurativo, per arrivare all’astrazione della fine degli anni Novanta, documentando il passaggio stilistico e poetico decisivo nell’opera dell’autore. Allievo di Mauro Reggiani, uno dei padri dell’astrazione in Italia, Nangeroni ha sviluppato un proprio stile pittorico in cui il linguaggio musicale – con i suoi ritmi, le sue pause e le sue ripetizioni – ha rappresentato il modello di riferimento. La forma del cerchio è diventata essenziale in lui nel momento in cui alla fine degli anni Cinquanta ha cominciato ad abbandonare la figurazione e successivamente l’Informale e il colore, per una forma di astrazione costruita sulle cadenze e sulla reiterazione.
Nelle “Mutazioni”, nelle “Interferenze”, così come negli “Elementi in movimento”, di cui si ammirano alcuni esempi in mostra, quella che si vede rappresentata è la sua pittura in una visione minimale ma aperta al colore, alla variazione, alla creazione, come sviluppo di temi simili ai temi musicali. L’elemento circolare è stato adoperato come un modulo ripetuto in forme e sequenze sempre diverse, come note di un pentagramma visuale. «L’opera di Carlo Nangeroni – spiega il curatore Valerio Dehò – si è sviluppata con una straordinaria coerenza e capacità di articolare nel ritmo, nella composizione dell’opera e nella struttura visiva un proprio linguaggio in cui l’essenza della musica diventa qualcosa che sa emozionare attraverso lo sguardo».
Nonostante siano rintracciabili nel lavoro di Nangeroni consonanze con il mondo della ricerca artistica tra gli inizi degli anni Sessanta e la fine dei Settanta, la sua pittura si colloca in una prospettiva personale: «Non ho nulla da fondare, da edificare, per fare i miei quadri, mi lascio guidare dall’istinto», ha scritto l’artista a proposito del proprio lavoro. Le ragioni del suo approccio particolare nel sistema variegato dell’arte di quegli anni consistono nella sua capacità di partecipare al mondo artistico senza alcuna forma di coinvolgimento “ideologico” o di gruppo.
Allo stesso modo, da un punto di vista formale, sembra voler evitare forme schematiche nel processo di formazione delle sue opere. Lo spazio delle sue tele o delle straordinarie carte ad acquerello è rigoroso, come un pentagramma nel quale possono agitarsi molecole visive. Con altri artisti attivi negli anni Sessanta e Settanta soprattutto in ambito lombardo, condivide anche certe scelte formali, ma non rinuncia mai alla creazione come processo di scoperta e d’invenzione libera da condizionamenti ideologici. Fino agli anni Novanta limita l’uso del colore per dare valore e forza alle strutture visive e ai ritmi musicali.
Carlo Nangeroni nasce a New York nel 1922, da famiglia di emigranti lombardi. Ritorna a Milano durante gli anni dell’adolescenza, dove frequenta la Scuola d’Arte di Brera dove è allievo di Mauro Reggiani. Ristabilitosi a New York nel 1946, frequenta lo studio dello scultore Alexander Archipenko, ed entra in contatto con i protagonisti dell’“action painting” come Willem de Kooning e Franz Kline. La sua prima esposizione personale è del ‘49 alla “New York Circulating Gallery of Paintings”. In quegli anni dipinge con orientamento astratto espressionista e si occupa di scenografia e allestimenti per opere teatrali. Negli anni ’50 comincia ad esporre in collettive e a lavorare a una serie di opere quasi monocrome e lieve rilievo. Nel 1958 collabora alla realizzazione di un progetto pubblicitario dal titolo “The Chrisalis” di Salvador Dalì per una casa farmaceutica che produceva i primi tranquillanti. Lo stesso anno torna a Milano per potersi dedicare esclusivamente alla pittura, e dove incontra artisti come Piero Manzoni, Lucio Fontana ed Emilio Scanavino. Comincia a esporre in mostre personali. Nel ‘65, nel ‘73 e nell’‘86 è invitato alla Quadriennale di Roma e nel ‘72 partecipa alla Biennale di Venezia per la grafica. Dagli anni ‘80 sperimenta un cromatismo iridescente per mezzo di accostamenti di linee colorate. Fino al 2004 è docente presso la “Scuola Politecnica di Design” di Milano. Sue opere si trovano in collezioni negli Stati Uniti (tra cui nella collezione d’arte contemporanea della New York University), in Francia, Germania, Svizzera e Italia, tra cui la Galleria d’Arte Moderna di Torino.
Carlo Franza