“Spatriati” il romanzo di Mario Desiati. Si scappa dalla terra natia(la Puglia) ma poi si fa ritorno. Pagine alla ricerca di sé.
Spatriati (Einaudi) di Mario Desiati, scrittore 44enne di Martina Franca (Taranto), è un romanzo sulla ricerca di sé, l’accettazione, i legami irregolari, spesso più forti di quelli inquadrati. E’ il romanzo che prende di mira la terra natìa amata, ma da cui si vuole scappare per fare ritorno. Francesco Veleno e Claudia Fanelli frequentano lo stesso liceo classico di Martina Franca: lei ha i capelli rossi e la pelle bianca, lui è scuro. Spatriati di Mario Desiati, pubblicato da Einaudi, racconta il legame tra i due protagonisti, che dura e si rafforza nel tempo, nonostante la relazione clandestina tra il padre di lei, chirurgo, e la madre di lui, infermiera, nonostante il trasferimento di lei a Milano per l’università e poi a Berlino per lavoro. Claudia ribelle, sfrontata, amata e Francesco profondamente cristiano, timido, innamorato di un bacio segreto dato a un uomo ma più innamorato della lontananza di Claudia che è sempre stata lontana anche quando era a due passi e che poi decide di partire, prima per Milano e infine per Berlino. Francesco, che resta ancorato alla Puglia finché può (si mette a fare l’agente immobiliare ma quando riceve minacce da un boss locale capisce che deve smettere), è “spatriato” tanto quanto Claudia, che non vedeva l’ora di andarsene: li accomuna la curiosità verso i libri, così come quella per ogni aspetto della sessualità. Tra loro c’è un’enorme confidenza: Claudia non risparmia a Francesco nessun dettaglio delle sue burrascose relazioni con uomini molto più grandi d’età e Francesco le rivela il bacio dato in chiesa a Domenico. A Berlino i due si troveranno a vivere a turno una relazione con l’attraente giorgiano Andria e poi a convivere con la complicata Erika, che ha una bambina a cui Claudia fa da seconda madre. Fluidità di genere e fluidità lavorativa (Claudia passa dal lavoro di manager a Milano a quello di inserviente in una casa di riposo berlinese per poi gestire un catering alimentare): Desiati dà voce alla generazione dei quarantenni, al loro desiderio di non sentirsi intrappolati in nessuna categoria e lo fa iscrivendosi nella tradizione della letteratura pugliese che vanta nomi come Rina Durante. Claudia e Francesco sono i personaggi di una provincia italiana divisa tra quelli che se ne vogliono andare – e oggi sono i più- perché qualsiasi cosa del luogo in cui sono nati li irrita, non gli appartiene e quelli che restano, per scelta o di malavoglia. Gli anni in cui questa frattura nasce costituiscono la prima parte del libro, certo la più riuscita grazie alla prosa poetica e, anche, forte di Desiati a cui bastano poche righe per raccontare un’anima o due parole per incorniciare un personaggio. Insieme a loro c’è la generazione dei genitori, adulti spatriati dentro, che cercano un appiglio per non vivere la vita di quiete che la società ha loro imposto. Gli spatriati sono quelli che se ne sono andati, ma in questo libro viene usato spesso con l’accezione dialettale – di Martinfranca, luogo di origine dello scrittore – e significa incerti, disorientati, a volte anche senza padre, orfani. Lo spiega lo stesso Desiati alla fine del libro in una decina di pagine deliziose che si chiamano Note dallo scrittoio o stanza degli spiriti – un debito riconosciuto a Robert Walser nel suo La passeggiata – dove ci viene risparmiato l’elenco di note ma dei piccoli racconti ci forniscono le fonti delle citazioni o brevi spiegazioni del contenuto del capitolo. Desiati stesso ha trascorso e trascorre lunghi periodi a Berlino, se ne percepisce il suo vissuto nelle pagine che raccontano la città tedesca, fatta di lavoro ma anche di club underground dove la techno si fonde con una libertà sessuale che incanta e confonde Francesco. Non scendiamo nei dettagli del libro, perché i libri vanno letti e scoperti via via, ma va detto che la parte berlinese è forse quella un po’ più scontata e meno riuscita del libro. Il libro è diviso in sei capitoli più un epilogo, con dei titoli azzeccatissimi: in dialetto i primi tre, e con delle meravigliose parole in tedesco gli ultimi. Ogni parola viene spiegata e serve a introdurre il lettore nel clima del capitolo in modo preciso e puntuale, come del resto lo è il tono dell’intero romanzo. Annalena Benini fece un’intervista a Desiati all’interno del programma Romanzo italiano nel capitolo dedicato alla Puglia, dove appare timido, pacato e solitario, e lo scrittore ben rappresenta una parte di mondo raccontato in questo romanzo, dove gli spatriati, quelli che non tornano più, e quelli che invece tornano sentendosi addosso il peso del fallimento, si incontrano pur con pensieri e orizzonti diversi. La lingua nel romanzo -e il dialetto- è parte fondamentale. Spatriati è termine in dialetto pugliese, una lingua volatile, diventa polisemico; indica “colui che è andato via”, ma è anche sinonimo di “balordo” o “ramingo”. Il primo capitolo del libro si chiama Crestiene, cristiano, un termine che nei dialetti del Sud –vedi Alessano- significa anche “uomo qualunque”, il secondo Spatriete, il terzo Malenvirne, che significa inverno rigido, ma anche “scheggia impazzita”, “mina vagante”. In questa parte usa una lingua poetica; cita ed evoca tanti scrittori della sua terra da Rina Durante a Vittorio Bodini. Ho dedicato questo romanzo alla loro memoria e alla loro opera, senza non avrei mai potuto costruire il mio immaginario. Con il tedesco, invece, Desiati lotta da sempre. La seconda parte del libro è più coordinata, le cose accadono al ritmo della musica elettronica, grazie al contributo delle note del DJ Massimilano Paliara, anche lui pugliese trapiantato a Berlino. Ogni capitolo è introdotto da un termine tedesco. Ad esempio la Ruinenlust, una sensazione che è quella dell’autosabotaggio, l’allegria dei naufraghi; oppure Torschlußpanik, letteralmente il portone che si chiude, ovvero la paura di non fare le cose nel tempo giusto. Ha detto Desiati in un’intervista sul magazine del Corriere della Sera : “Quando ero ragazzo a Martina Franca i giovani maschi parlavano il dialetto. Lo sfoggio di un italiano corretto era simbolo di non mascolinità. Le parole segnavano il confine tra maschi alfa e maschi beta. In questo libro ho lavorato molto sulla lingua, sui rimandi poetici e letterari. C’è un grande controllo sulla scrittura. Ho iniziato a scriverlo nel 2015 e l’ho finito nel 2019. “Spatriati” è un termine che non ha genere, si usa per gli uomini e le donne. Resta invariato al plurale. Si scrive con lo schwa, il suono vocalico neutro. Mette d’accordo tutti”. E chiudo dicendo che lo scrittore Premio Strega Sandro Veronesi lo ha definito in un tweet “il libro più bello, più tosto e commovente e fosforescente che io abbia letto quest’anno”. Concordo ampiamente con lui.
Carlo Franza