Mobilitazione social per diffondere i lavori dell’artista con protagoniste quasi sempre donne rappresentate spesso senza bocca e con gli occhi chiusi, contrapposte al nero dei talebani.

Era già famosa Shamsia Hassani, prima street artist afgana, ma da quando in Afghanistan hanno ripreso il potere  i talebani  i suoi lavori nei quali attacca frontalmente i talebani e si oppone all’oppressione delle donne hanno trovato nei social una grande cassa di risonanza. Proprio dai social è partita una mobilitazione per condividere i suoi graffiti: immagini potenti che mostrano spesso ragazze con gli occhi chiusi e senza bocca vestite di blu di fronte a miliziani in nero minacciosi e incombenti, simbolo della repressione che le donne afgane stanno vivendo in queste settimane terribili. Un modo per dare voce a chi in questo momento ha difficoltà a comunicare liberamente. Intanto i suoi lavori sono diventati virali. Un collage con alcuni suoi graffiti è stato molto ricondiviso con il messaggio: “Sono opere di un’artista Afghana, si chiama Shamsia Hassani. Se le facciamo girare, sarà come dare voce a lei ed a tutte le #donneafghane che stanno vivendo l’inferno!”. Parole che ho fatto mie per quanto queste “bestie”,  come ebbe a definirle il collega Nicola Porro quando presero il potere in Afghanistan, continuano a uccidere  e a far vivere l’inferno in anteprima a donne e ragazze. 

L’hanno decapitata» titola l’Independent Persian. La notizia è stata confermata al Corriere da Mauro Berruto, l’ex c.t. della nazionale di volley e oggi responsabile sport del Pd che dopo la presa di Kabul  si era speso per far giungere in Italia decide di atlete afghane. La giovane atleta, 18 anni, di etnia hazara, giocava nella nazionale giovanile. Una giocatrice della nazionale giovanile di pallavolo dell’Afghanistan, Mahjubin Hakimi, è stata uccisa brutalmente dai talebani a Kabul.

“Qualche mese fa una sua compagna di squadra mi aveva rivolto un appello disperato. Mi uccideranno come hanno fatto con la mia compagna di squadra, diceva”. Ora quella compagna rimasta anonima ha un nome. Mahjubin Hakimi, 18 anni, di etnia hazara. “Probabilmente è stata uccisa addirittura prima della presa di Kabul, ma la notizia è uscita solo ora perché la famiglia era stata minacciata di ritorsioni da parte dei talebani”. Mahjubin Hakimi lavorava come poliziotta. Giocava per la squadra comunale della capitale afghana, il Kabul Municipality Volleyball Club, e nella nazionale giovanile del Paese.

Con  la presa di Kabul,  il divieto di praticare sport alle donne, (il vicepresidente della “Commissione culturale” Ahmadullah Wasiq ha spiegato che “non è necessario per donne fare attività sportiva, in particolare in pubblico”), molte atlete e sportive afghane avevano tentato la fuga all’estero. Tutte le altre erano state costrette a nascondersi. Alcune, come le calciatrici di Herat, erano riuscite ad arrivare in Italia.

“Guardatela come se fosse vostra figlia: Mahjubin è stata decapitata, perché hazara e perché giocava a pallavolo senza hijab”, ha scritto Berruto su Twitter. “Questo è oggi l’Afghanistan. Abbiamo persone lì che sono cadaveri ambulanti. Fermiamo questo genocidio con i corridoi umanitari o ne saremo responsabili”.

Quattro cadaveri di donne in una casa di Mazar-i-Sharif, nel nord dell’Afghanistan: tra loro c’è quello straziato di Frozan Safi, una nota attivista per i diritti delle donne, in prima fila nelle manifestazioni di protesta contro il regime talebano. La 29enne, docente di economia, è stata uccisa a colpi di arma da fuoco. Il volto, crivellato dalle pallottole, è irriconoscibile. «L’abbiamo riconosciuta dai vestiti. I proiettili le hanno distrutto la faccia», ha detto la sorella Rita, una dottoressa. «C’erano ferite da proiettile dappertutto, troppe da contare, sulla testa, sul cuore, sul petto, sui reni e sulle gambe». Il suo anello di fidanzamento e la sua borsa non c’erano. La tragica vicenda è ammantata di giallo: per diverse ore infatti i media di Kabul hanno rilanciato la notizia del ritrovamento di 4 cadaveri, due donne e due uomini, in una abitazione. Con la polizia che riferiva di un episodio legato a «motivi privati», addirittura a una «faida». Ma quando il cadavere di Frozan è stato riconosciuto dai familiari in un obitorio della città è emersa rapidamente tutt’altra verità. «Sono quattro le donne trovate morte in una casa di Mazar-i-Sharif», ha confermato un portavoce dei Talebani, Qari Sayed Khosti, rivelando che due sospetti erano stati arrestati. E sottolineando che le donne sarebbero «state invitate in casa dai sospettati».

Liberiamoci da inutili fardelli e l’Europa e il mondo libero alzino un grido di dolore per quanto sta avvenendo in quei territori, per queste donne in completa sottomissione agli studenti coranici che  ne hanno fatto dei cadaveri ambulanti.

Gli account di Shamsia   Hassani  sui social sono rimasti in silenzio per alcuni giorni, facendo temere il peggio per lei, finché su Instagram non è un comparso un ultimo post nel quale l’artista ringraziava per i tanti messaggi ricevuti e faceva sapere di essere al sicuro.

Shamsia Hassani  è nata in Iran nel 1988, dove i suoi genitori sono emigrati a causa della guerra, è rientrata nel suo paese nel 2005, ha studiato arte all’Università di Kabul, dove è poi divenuta professore associato di scultura, e si dedica alla street art dal 2010. I suoi lavori, con soggetto quasi sempre donne, spesso rappresentate senza la bocca, si rincorrono tra le strade della sua città, dove ora si è nascosta in un luogo sicuro. “Voglio colorare i brutti ricordi della guerra”, ha raccontato Hassani in un’intervista ad Art Radar, “e se coloro questi brutti ricordi, allora cancello la guerra dalla mente delle persone. Voglio rendere l’Afghanistan famoso per la sua arte, non per la sua guerra”.

Carlo Franza

 

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