E’ un capolavoro d’arte ma anche un’opera di simbolica attualità quella che (fino al 13 febbraio 2022) giunge al Museo di Santa Caterina da Kunsthistorisches di Vienna. Si tratta del celebre Ritratto del Doge Francesco Erizzo, capolavoro indiscusso di Bernardo Strozzi.
Il progetto “Un capolavoro per Treviso – evidenza il Direttore dei Civici Musei Fabrizio Malachin, è “uno dei frutti della rete di collegamenti che i Civici trevigiani stanno intessendo con i grandi musei europei.
Il capolavoro dello Strozzi giunge a Treviso dal Kunsthistorisches a seguito del prestito al museo viennese del trevigiano Ritratto di Sperone Speroni del Tiziano. “Francesco Erizzo – sottolineano Mario Conte, Sindaco di Treviso e l’Assessore Lavinia Colonna Preti, fu il doge della ripartenza economica e artistica di Venezia dopo la grande peste del 1630. Venne eletto al primo scrutinio praticamente all’unanimità, a conferma di una popolarità e di un gradimento decisamente rari ed indiscussi, destinati a non venir mai meno. Il periodo del suo dogado fu tra i più fortunati e felici a Venezia, con la fortissima ripresa, dopo il dramma dell’epidemia, delle attività economiche, artistiche e ludiche. La sua figura restò un simbolo riconosciuto della concordia sociale e dello Stato. La presenza di ‘un doge a Treviso’ è anche un omaggio ai 1600 anni dalla fondazione della città di Venezia”.
Il Ritratto di Francesco Erizzo dello Strozzi, permette di valorizzare una tra le più significative sezioni delle collezioni civiche: oltre 50 ritratti con opere di Lotto, Tiziano, Tintoretto, Palma il Giovane. Il doge trova quindi il suo posto d’onore nella galleria dei ritratti, tra altre figure con ruolo istituzionale di rilievo (alcune solitamente conservate nei depositi) come Senatori, Procuratori e ufficiali. “L’evento anticipa, inoltre, la prossima pubblicazione del terzo volume del catalogo scientifico dei musei dedicato proprio al ‘600 e al ‘700. Un impegno che l’Istituto sta portando avanti grazie alla collaborazione degli Amici dei Musei e dei Monumenti di Treviso, e di numerosi studiosi” evidenzia il Direttore Malachin. Bernardo Strozzi rappresenta il doge Erizzo nella sua terza età. Sergio Marinelli, che a lungo ha studiato l’opera, mette in luce come nel dipinto lo status dogale sia meravigliosamente evidenziato dall’abito, quasi una “divisa”, naturalmente sontuosa. Con stoffe e colori preziosi di rosso, il bianco dell’ermellino, il giallo oro. Accostati, quasi a contrapposizione, ai tratti sereni e distaccati del volto, non idealizzati, colti nella stanchezza della sua

 

vecchiaia. Il doge che vi appare come un “Babbo Natale dello Stato, figura paterna e sicuramente affidabile”. La sorpresa della scoperta della qualità pittorica di questo grandioso capolavoro della ritrattistica è già nelle parole di Giuseppe Fiocco, che nel 1922 scrisse: “Il ritratto…dovette essere un trionfo ed è certo anche per noi uno dei più mirabili dipinti del tempo; degno di un Vélazquez per la severità dell’espressione e per la sapienza del tocco fluente e costruttivo.” Del dipinto esiste una variante, meno intensa, conservata alle Gallerie dell’Accademia mentre diverse copie e varianti hanno continuato ad apparire sul mercato antiquariale, a testimoniare il prestigio del prototipo. Strozzi, genovese, nella capitale ligure fu frate cappuccino e insieme artista di successo. Finì processato e condannato per apostasia, obbligato a rivestire il saio, rinchiuso per 18 mesi tra carcere e convento in regime di severissima segregazione, prima di riconquistare la libertà grazie all’esito positivo dell’ennesimo tentativo di fuga.
Nella Serenissima è il doge Erizzo ad accogliere a sua supplica e a renderlo nuovamente libero di esprimere le sue capacità artistiche. Nella nuova patria, il foresto non faticò molto ad imporre la sua supremazia. Si mette subito in luce completando la decorazione del soffitto della Biblioteca Marciana, ma fu nel ruolo di ritrattista che Strozzi primeggiò. Oltre al ritratto del doge Erizzo, sono del suo primo periodo veneziano quelli del cardinal Federico Corner e del vescovo Alvise Grimani. Il successo lo porta presto a ricostruire a Venezia il modello imprenditoriale che lo aveva reso protagonista in Liguria, basato sulla gestione di una grande bottega-laboratorio con molti allievi. Da questa escono dipinti di ogni genere, non solo ritratti, nature morte e scene sacre ma anche paesaggi. Insomma opere per tutte le tasche e tutti i gusti. Quando il maestro si applicava di persona, come nel ritratto dogale, mostra di saper raggiungere vertici altissimi. Fabrizio Malachin, rifacendosi anche a fonti antiche, di lui afferma che “per puro talento pittorico, ebbe certamente pochi in grado di eguagliarlo, nessuno di superarlo. Agli echi caravaggeschi degli esordi, seppe unire in stile personale la luminosità di Paolo Veronese e il colorismo di Pieter Paul Rubens, al sensuale pittoricismo ritrattistico di Anton van Diyck”.
Ora è da ammirare sino al 13 febbraio  2022 nel Museo di  Santa Caterina a Treviso, nel Progetto “Un Capolavoro per Treviso”.

Carlo Franza 

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