Palazzo Bentivoglio presenta il progetto dell’artista Andreas Angelidakis (Atene, 1968). Al centro di tutto è la grande installazione POST-RUIN Bentivoglio (2020), che attraversa le tre sale dei sotterranei cinquecenteschi dell’edificio. L’evento è visitabile fino al 12 giugno 2022.  L’opera, da cui prende il titolo il progetto, rimanda al passato dell’edificio – legato al precedente palazzo della famiglia bolognese distrutto da una sommossa popolare – e fa parte di una serie in cui il concetto di rovina viene sovvertito rendendo l’opera utilizzabile a piacimento dal pubblico. Si compone infatti di elementi modulari attraverso i quali è possibile modificare gli spazi, assemblandoli per ricreare un’ipotetica rovina antica o dividendoli e sparpagliandoli così da ottenere sedute e punti di appoggio. I blocchi, gli archi e i frammenti della rovina sono realizzati con materiali soffici e leggeri. La superficie dei pezzi è stampata con la fotografia di un pattern marmoreo.

Si tratta di un’opera che mette in discussione la monumentalità e la distanza di rispetto che siamo soliti riconoscere alle antichità. In passato, altre installazioni della stessa serie sono state esposte in importanti musei e in manifestazioni come documenta 14 del 2017, nella quale uno di questi lavori era diventato spazio dedicato ai talk aperti al pubblico. All’interno di questo progetto l’installazione diventa una scultura utilizzabile per vivere lo spazio e osservare le altre opere. Nei tre ambienti espositivi sono infatti presentati dei video sia ambientali, sia proiettati su schermi, in cui la visione dell’architettura e dello spazio abitato nel loro progresso storico ben esemplifica il lavoro di Angelidakis. Assieme a questi viene esposta una serie di piccole sculture realizzate tramite stampanti 3D e in grado di rendere reali le visioni architettoniche progettate al computer dall’artista. Mentre nella prima sala il pubblico è accolto da due grandi wallpaper realizzati per l’occasione, altro elemento classico della sua produzione artistica.

Andreas Angelidakis si muove nello spazio di confine in cui arte e architettura si sovrappongono. È stato definito un architetto che non costruisce, ma potrebbe essere più corretto vederlo come un critico e un intellettuale che utilizza l’arte per riflettere sullo spazio che ci circonda e sul modo in cui le nuove tecnologie influenzano l’architettura e il modo di vivere di ciascuno di noi. Il suo approccio non scade mai nel moralismo degli usi e dei costumi presenti. L’ironia e la giocosità di molte sue opere sono spesso intrinsecamente legate a un senso romantico di nostalgia e solitudine in grado di far emergere la complessità e il mistero della vita contemporanea. Il computer, internet e le nuove piattaforme social diventano per lui uno dei principali strumenti del fare architettonico, permettendogli di spostare una pratica generalmente collettiva – il costruire – nell’isolamento dello studio artistico e intellettuale.

 

Andreas Angelidakis (1968, vive ad Atene) ha studiato presso la prestigiosa scuola di architettura SCI-Arc di Los Angeles, e la Columbia MSAAD. Porta avanti una pratica artistica multidisciplinare intrecciata alla curatela e alla scrittura critica, in cui lo spazio e il modo di abitare hanno un ruolo cruciale. Negli anni ha partecipato a importanti manifestazioni internazionali come la Bergen Assembly del 2019 e la documenta 14 del 2017 per la quale ha realizzato una grande installazione ambientale pensata per ospitare i panel pubblici di discussione curati da Paul B. Preciado. Tra i suoi progetti principali ricordiamo The State of the Art of Architecture 1st Chicago Architecture Biennial, 12th Baltic Triennial (CAC, Vilnius), Supersuperstudio (PAC, Milano), The System of Objects (Deste Foundation, Atene), Fin de Siècle (Swiss Insitute, New York), Period Rooms (Het Nieuwe Instituut, Rotterdam), e OOO ObjectOrientedOntology (Kunsthalle Basel, Basilea).

Carlo Franza

 

 

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