Entro nelle pagine del libro che sfoglio lentamente e con gli occhi inseguo le parole che bruciano le realtà più delicate e dolorose come le rivolte e i suicidi in carcere. Ricordi, tristi e dolorosi ricordi del direttore di un penitenziario. Il volume di Giacinto Siciliano dal titolo “Di cuore e di coraggio” (Rizzoli 2022) ci parla di penitenziari, di carceri, senza dover dimenticare che il senso dello Stato è uno dei pilastri essenziali di qualsiasi società civile.  E in funzione di quel laborioso lavoro  che consiste nel  recuperare e consolidare il senso dello Stato in chi lo ha perduto, ha dedicato  da sempre la propria vita Giacinto Siciliano, una lunga carriera condotta interamente nella amministrazione penitenziaria del nostro Paese che lo ha portato a confrontarsi con detenuti di ogni provenienza, dagli stranieri che affollano oggi i bracci di San Vittore ai mafiosi più irriducibili del reparto 41bis nel carcere di Opera fra cui lo stesso Totò Riina.  Ora leggendo queste pagine su cui sono annotati e raccolti i ricordi di una vita, si aprono realtà più delicate e dolorose come le rivolte – anche quella scoppiata a San Vittore nel marzo 2020 a seguito della diffusione del Coronavirus – e dei suicidi in carcere.  E ancor più leggendo si comprende cosa voglia dire gestire e tentare sempre, anche nei casi estremi, di avviare un percorso di recupero. Perché quello del direttore penitenziario – come lo interpreta e lo ha interpretato Giacinto Siciliano – è un lavoro “di cuore e di coraggio”: non si tratta certo di fare sconti, anzi al contrario occorre impegnarsi quotidianamente per dare fiducia a ogni detenuto e aprire un dialogo che lo porti a comprendere i propri errori e a riappropriarsi del valore delle regole e, appunto, del senso dello Stato. Ogni uomo è una storia, ma è anche un futuro, dice Siciliano. Il suo dovere è indicargli la via per costruirsi un futuro solido e libero. Piazza Filangieri 2  è la sede di San Vittore, il carcere milanese, un carcere di transito, una casa circondariale dove Giacinto Siciliano è direttore. Una casa circondariale, infatti, ospita temporaneamente detenuti in attesa di giudizio o condannati a pene brevi, dovrebbe essere così, ma ahimè non è così oggi a San Vittore. “Ma mì, ma mì, ma mì, quaranta dì, quaranta nott, a San Vitur, a ciapà i bott… mi sun di quei che parlen no”. Così recita una delle più struggenti ballate che raccontano la Milano della Resistenza e della guerra. Libro intenso, carico di storia e di storie, un libro da leggere per meglio comprendere la società, tutta la società, e in questo compito ci aiuta oggi Giacinto Siciliano con una scrittura che prende il cuore con coraggio.

Nato a Lecce, classe 1966, Giacinto Siciliano vanta una lunghissima carriera ai vertici del sistema carcerario italiano. Ha lavorato come direttore in diversi istituti penitenziari su tutto il territorio nazionale e da lungo tempo ricopre anche il ruolo di formatore all’interno delle Scuole di Alta Formazione per l’Amministrazione Penitenziaria. Uomo delle istituzioni, dunque, ma non solo. Giacinto Siciliano ha iniziato la sua carriera nell’amministrazione penitenziaria nel 1993 a Busto Arsizio, per poi trasferirsi alla casa circondariale di Monza. Divenuto direttore del carcere di Trani, ha lavorato a Sulmona e infine all’Opera di Milano, dove ha trascorso 10 anni sotto scorta a causa delle minacce ricevute da Totò Riina. Oggi è il direttore del carcere di San Vittore, e grazie alle sue iniziative sta cambiando il volto della prigionia. Oltre alle pubblicazioni specializzate, Siciliano è riuscito a istituire un ponte con il fuori, con noi, con la realtà che sta attorno al carcere anche attraverso una intensa attività di scrittore.  E i titoli dei suoi libri, “L’impatto del teatro in carcere” fino all’ultimo “Di cuore e di coraggio” (pubblicato nel 2020 per Rizzoli), lasciano intendere bene il modo di come svolgere il suo ruolo istituzionale.

Carlo Franza

 

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