“De’ visi mostruosi non parlo, perché senza fatica si tengono a mente”, così si legge tra le annotazioni di Leonardo da Vinci nel Codice Atlantico e nel Trattato della Pittura; e sicuramente rimarranno impresse nelle menti dei visitatori le tante “teste caricate” o “grottesche”, i volti deformi, le figure esagerate o caricaturali realizzate dai grandi artisti attivi in Italia settentrionale tra il XVI e il XVIII secolo, esposte nella straordinaria mostra promossa a Venezia dalla Fondazione Giancarlo Ligabue. Il nuovo ambizioso progetto dell’istituzione guidata da Inti Ligabue – in programma nella città lagunare a Palazzo Loredan-Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti dal 28 gennaio al 27 aprile 2023 – ci proietta in un mondo straniante quanto intrigante, collaterale rispetto al bello, al sublime o all’ideale oggetto privilegiato dalla pittura.

L’obiettivo dichiarato della mostra curata da Pietro C. Marani, tra i più autorevoli studiosi di Leonardo – affiancato da un comitato scientifico di assoluto prestigio con Alessia Alberti, Luca Massimo Barbero, Paola Cordera, Inti Ligabue, Enrico Lucchese, Alice Martin, Alberto Rocca, Calvin Winner – non è tanto indagare come e perché si sviluppi il singolare e affascinante genere della caricatura, o meglio della deformazione e trasformazione dei tratti fisiognomici (dalla crisi dell’Umanesimo alla crisi della Serenissima), quanto rendere evidente l’esistenza di una linea di continuità “settentrionale” in quest’ambito; che, partendo appunto dai “visi mostruosi” di Leonardo e dalle “pitture ridicole” dei lombardi, assunte le esperienze del naturalismo carraccesco, fiorirà in laguna nella prima metà del Settecento. Oltre 75 le opere in mostra da musei e collezioni private internazionali – dal Musée du Louvre di Parigi alle Civiche Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco, dalle Gallerie degli Uffizi alla Staatliche Kunstsammlungen di Dresda, dal Designmuseum Danmark alle Gallerie dell’Accademia di Venezia fino al Sainsbury Centre for Visual Arts della University of East Anglia di Norwich, per citarne alcuni – con un incredibile nucleo di 17 disegni autografi leonardeschi, tra cui la nota “Testa di Vecchia” in Collezione Ligabue, prestati eccezionalmente dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana, dalla Pinacoteca di Brera e – per la prima volta in Italia – dalla Devonshire Collections di Chatsworth. Prestiti che danno vita a un percorso di altissimo livello, tra confronti e rimandi, che partendo dal sommo da Vinci giunge alla Venezia di Anton Maria Zanetti e dei Tiepolo, passando per Francesco Melzi, Paolo Lomazzo, Aurelio Luini, Donato Creti, Arcimboldo, ma anche Carracci e Parmigianino, tra i tanti autori esposti. Un tema coinvolgente e dai molteplici risvolti quello dell’alterazione o deformazione della fisionomia, che inevitabilmente assume nel Novecento nuovi significati potentemente evocati nel capolavoro di Francis Bacon –”Tre studi per un ritratto di Isabel Rawsthorne” – in chiusura.

“Anche questa esposizione ci induce a riflettere sulla nostra umanità” spiega Inti Ligabue, Presidente della Fondazione Giancarlo Ligabue. “In un modo certamente “diverso” rispetto a quanto fatto negli anni passati con le mostre di taglio archeologico, antropologico ed etnografico dedicate a culture e civiltà lontane, ma sempre aperti alla conoscenza e alla comprensione della società, dei suoi valori, delle sue espressioni culturali. È l’Uomo al centro dei nostri interessi; Venezia è il punto di partenza e di ritorno delle nostre esplorazioni e delle nostre ricerche e voglia di scoprire e di condividere è il motore della nostra Fondazione”. All’inizio fu Leonardo. Per giungere alla caricatura, che esplode nel Settecento in laguna intrecciandosi in maniera assai peculiare con la grande tradizione musicale e teatrale veneziana, la mostra a Palazzo Loredan non poteva che partire dal grande da Vinci. Se pure non possano definirsi caricaturali i disegni di Leonardo, ovvero diretti allo scherno, all’ironia o al sorriso, certamente le sue “teste caricate”, l’esasperazione dei tratti somatici, gli studi fisiognomici dei caratteri umani e dei “moti mentali”, la strenua analisi della deformazione a rimarcare una volontà di realismo, ma pure doti morali o virtù particolari al di là dei difetti fisici o dei segni del tempo – non possono non aver influenzato e ispirato questi esiti settecenteschi. Pensiamo all’immediata fortuna dei suoi studi, ai tanti imitatori e seguaci attivi in laguna come Giovanni Agostino da Lodi o Giovan Paolo Lomazzo, alle riproduzioni nei secoli successivi (tra tutte le stampe seicentesche dell’incisore boemo Wenceslaus Hollar che propone in formato 1:1 i disegni appartenenti alla collezione del XXI conte di Arundel) e soprattutto alla ripresa leonardesca cui si assiste a Venezia, nei primi decenni del XVIII secolo, presso i maggiori artisti e collezionisti come Anton Maria Zanetti, “capostipite” della caricatura veneziana, e il nobile Zaccaria Sagredo. La nota su Zanetti che appare nelle pagine manoscritte anteposte all’Album Cini – di cui sono in mostra alcuni importanti fogli – segna per il curatore Pietro Marani la pista da seguire per proporre innovativamente una linea tosco-lombarda e propriamente leonardesca nell’ispirazione dell’artista, accanto alla nota formazione emiliana pure ricordata in mostra attraverso i disegni e le grottesche di Creti, di Carracci (dalla Collezione del Duca di Devonshire anche l’unico disegno di Annibale Carracci proveniente dall’eredità Burlington) e della cerchia di Parmigianino. “Portava seco il suo matitatojo, e come Leonardo da Vinci, o altri pittori o al teatro, o altrove disegnava quell’oggetto che colpiva la sua fervida fantasia, e poi con li stessi posti in caricatura si prendea spasso. Vi si osserva franchezza di disegno non comune e fervida immaginazione capricciosa, gaja sorprendente”. Sappiamo – come ci ricorda Marani – della presenza di Leonardo a Venezia nel 1500, breve ma significativa se pare abbia influito sulla pittura di Giorgione e sui lavori di Dürer; sappiamo pure dell’arrivo acclamato e fragoroso in laguna, nel 1726 nella collezione di Zaccaria Sagredo, di cartoni originali di Leonardo provenienti dai Casnedi di Milano: un’acquisizione esaltante che lo stesso Zanetti riferisce nella sua corrispondenza; sappiamo infine che a Venezia Paolo Lomazzo, allievo ed erede dei manoscritti di Leonardo e guida goliardica degli artisti riuniti nell’Accademia della Val di Blenio, deve essere stato diverse volte. Ma sono soprattutto le amicizie, le frequentazioni parigine e milanesi, la ricca biblioteca dell’artista veneziano a motivare la conoscenza dei disegni di Leonardo, diretta e indiretta, e l’influenza del Maestro su Anton Maria e sugli artisti della Serenissima. A parte il legame di Zanetti con i Trivulzio e la frequentazione del “clan Zanetti-Carriera” con l’ambiente milanese e con i patrocinatori dei Clerici, committenti di Gian Battista Tiepolo, determinante dovette essere la presenza a Venezia di Pierre Crozat nel 1716 e di Pierre Mariette nel 1718-1719, con i quali Zanetti entrò presto in confidenza. Furono loro a indurre il veneziano a fare un viaggio a Parigi nel 1720 insieme a Rosalba Carriera e ad Antonio Pellegrini, proseguito poi a Londra e nelle Fiandre; fu Crozat a possedere per alcuni decenni celeberrimi disegni a pennello su tela di lino di Leonardo, indicati precedentemente come lavori di Dürer ma riconosciuti dallo stesso Mariette come autografi del Maestro; fu Pierre Mariette ad acquistare un famoso Album con copie delle caricature di Leonardo, al tempo ritenute originali, molte delle quali, per altro, tratte dai disegni autografi di da Vinci conservati ora nella Collezione del Duca di Devonshire a Chatsworth, di cui questa mostra espone ben dodici esemplari. Possibile che di tutto questo non abbiano discorso i due francesi con Zanetti? La domanda aleggia nell’esposizione e nel catalogo edito da Marsilio: possibile che egli non abbia visto e “annotato” tali opere? Se a questo – sempre seguendo il ragionamento del curatore – aggiungiamo che nell’inventario della biblioteca di Zanetti compare proprio una copia dell’Album Mariette, inciso nel 1730 dal Conte di Caylus, così come il Trattato della pittura di Leonardo nell’editio princeps, ovvero quella stampata a Parigi da Raphael du Fresne nel 1651, ma anche l’Idea del Tempio della Pittura del Lomazzo pubblicata nel 1590 a Milano, in cui egli ricorda i “visi mostruosi” del da Vinci, e il suo Trattato dell’arte della Pittura – tutti volumi ed edizioni esposti in questa occasione – allora gli indizi possono diventare prove.

I visitatori si potranno divertire nel notare come il gesto sintetico e immediato di certe caricature di Giambattista Tiepolo, ma anche quelle stesse dello Zanetti, richiamino quella che può considerarsi l’unica vera caricatura di Leonardo esistente – quella di un “Chierico” in cui furbizia, arguzia e derisione si sposano perfettamente in pochi tratti – anch’essa eccezionalmente in mostra grazie alla generosità della Veneranda Biblioteca Ambrosiana; e come nasi esagerati, menti sporgenti, seni prorompenti, teste con parrucche siano di matrice leonardesca o comunque rivelino prototipi poi ripresi e variati dagli autori leonardeschi come Melzi, Battista Franco, Lomazzo, Figino: fra tutti la “caricatura di uomo con cappello conico” che ritroviamo nell’ “Homo ridiculo” di ambito del Lomazzo prestata o dall’Accademia Carrara di Bergamo, che trova un’eco nei lavori di Brambilla, Figino e Arcimboldo esposti in mostra. Da segnalare, tra rarità e nuclei importanti, l’intrigante olio su tela con Testa grottesca di donna (1560), attribuito a Giovan Paolo Lomazzo già dal Longhi, e la straordinaria galleria di circa venti caricature tiepolesche: gobbi, prelati e macchiette di nobili signori di diverse datazioni, alcune già in Collezione Valmarana e poi Wallraf, altre provenienti dal “Terzo tomo de caricature”. Identikit queste ultime – secondo Enrico Lucchese in catalogo – di “maschere in carne e ossa”, tipi e caratteri universali della fauna umana, opere d’arte prima che lavori umoristici per la qualità dell’esecuzione, espressione del potere della pittura che può esaltare come demolire, evocare “angeli e nanerottoli”, provocare commozione o riso.

Il dipinto di Lomazzo invece, “animalesco e ottuso”, derivante da un fortunatissimo disegno di Leonardo copiato e riprodotto più e più volte, mostra il seguito, anche in pittura, della strada avviata dal Maestro, laddove gli effetti della deformazione fisiognomica qui appaiono ancora con più evidenza e sembrano avvalorare l’interpretazione delle teste grottesche di Leonardo data da Gombrich (1954), in cui affiorerebbe il tema dell’inconscio e della raffigurazione autobiografica. Ambiti che prefigurano i temi psicanalitici e visionari della pittura di Francis Bacon nei suoi ritratti. La mostra si chiude con uno scatto in avanti, un superlativo trittico dell’artista datato 1965: Tre studi per un ritratto di Isabel Rawsthorne prestati dal Sainsbury Centre-University of East Anglia di Norwich. Un invito a riflettere su come nel Novecento questa via dell’arte, di antica provenienza, prosegua assumendo nuovi significati, conducendo lo studio della natura umana alle destrutturazioni, alla deformazione e alla manipolazione della forma, per manifestare l’interiorità e l’inconscio. Ma questa è un’altra storia.

Carlo Franza

 

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