Il colore protagonista dello spazio e della forma nella mostra dedicata al pittore italiano Piero Dorazio, fra i massimi rappresentanti dell’astrattismo europeo. Allestita negli spazi espositivi dalla Galleria d’Arte Moderna Achille Forti e della Galleria dello Scudo a Verona, fino al 30 aprile 2023, l’esposizione, di carattere strettamente scientifico, è centrata su una selezione di oltre trenta dipinti provenienti dagli eredi dell’artista e da collezioni pubbliche e private. L’evento è realizzato dalla GAM e dalla Galleria dello Scudo in collaborazione con l’Archivio Piero Dorazio.

L’esposizione dal taglio inedito volge lo sguardo alla produzione di Dorazio tra il 1963 e il 1968, quando la struttura reticolare dei lavori datati 1959-1962 cede il passo a un nuovo impianto compositivo, esito di un’indagine sulle modalità con cui il colore diviene protagonista dello spazio e della forma. La sua ricerca manifesta ora una rinnovata libertà inventiva. Sono gli anni della Pop Art e dei contrasti sociali che animano le giovani generazioni, sollecitazioni che Dorazio riprende e rilancia in una pittura intesa come campo di tensioni e invenzioni, pur in correlazione con i riferimenti alle avanguardie storiche – il futurismo, il suprematismo di Kazimir Malevič e il neoplasticismo di Piet Mondrian – e con la produzione artistica e teorica del suo recente passato.

Il percorso espositivo. Si apre simbolicamente con Presente e passato, opera del 1963 in cui l’intreccio del segno è superato dalla stesura di fasce policrome in fitta sequenza verticale, per proseguire con tele di grandi dimensioni costruite secondo geometrie che dilatano le trame luminose d’un tempo verso sempre diverse e molteplici possibilità compositive. Ne sono prova Cercando la Magliana del 1964 e Balance and counter balance dell’anno seguente. In questi anni, durante l’insegnamento alla University of Pennsylvania, Dorazio è al centro di un vivace confronto internazionale correlato all’ambiente culturale di New York, dove la sua ricerca è sostenuta e promossa dalla Marlborough-Gerson Gallery, attiva anche a Roma e a Londra.

A consolidare il rapporto coni protagonisti della scena artistica americana sono gli inviti rivolti ad alcuni di loro – Helen Frankenthaler, Franz Kline, Robert Motherwell, Barnett Newman, Kenneth Noland, Jules Olitski, Ad Reinhardt, Clyfford Still – a partecipare alle attività didattiche programmate dal dipartimento da lui diretto. Alla conoscenza della sua opera negli Stati Uniti contribuiscono la presenza in The Responsive Eye, la grande mostra al Museum of Modern Art di New York che, all’inizio del 1965, vede schierati i protagonisti del movimento noto come “Color Field”, nonché la personale, con diciotto dipinti e un centinaio di stampe e opere su carta, al Cleveland Museum of Art nel settembre dello stesso anno. Seguirà la partecipazione alla International Exhibition of Contemporary Painting and Sculpture a Pittsburghnel 1967, e ad altre mostre collettive che lo confermeranno alla ribalta della critica soprattutto statunitense. Quella di Dorazio, fra il 1963 e la fine del decennio, è dunque una “nuova pittura”. Egli rompe la gabbia delle “Trame” per spaziare verso altre, molteplici strade destinate a produrre esiti la cui risonanza si avvertirà anche a distanza di tempo. Una pittura che si confronta, in modo aperto, con quanto proposto da un contesto internazionale di cui Dorazio è protagonista a pieno diritto, avendo instaurato e coltivato relazioni che lo collocano sempre al centro della scena.

L’indagine prosegue, poi, documentando le diverse direzioni verso cui si apre la sua ricerca, dalla griglia regolare, fitta ma ben leggibile, in My bestdel 1964, alla costruzione distrutture tra le più varie per ribadire la vocazione architettonica di nuove tele datate 1965 come Teodorico guarda in fretta o Another Way, sino alla fluidità della linea curva, protagonista tra il 1965 e il 1966 in lavori come Endless Federico(I) (per Federico Kiesler) e Din Don (Omaggio a Giacomo Balla n. 2).  Sono soluzioni che denotano la volontà di liberarsi dall’insistita aderenza a un unico motivo, per spaziare verso altre ipotesi operative, ciascuna pensata come un possibile inizio.  Evento di rilievo, cui l’esposizione attuale pone particolare attenzione, è la sala personale alla XXXIII Biennale di Venezia nel 1966, in cui figurano 21 opere tra le più significative di quel momento, molte delle quali inserite nel presente progetto, come Allaccio, Tutto a puntaOttimismo-pessimismo (a Giacomo Balla) e Tranart (a Gino Severini), tutte di quell’annoChiudono la rassegna Litania, Sorteggio, dipinto acquisito negli anni settanta per le collezioni dei Musei Civici di Verona dall’allora direttore Licisco Magagnato, e Next generation, eseguito durante il soggiorno a Berlino nel 1968, dopo l’interruzione dell’esperienza americana, preludio della stagione successiva.

La mostra è realizzata con la supervisione di Francesco Tedeschi, curatore del Catalogo ragionato dell’artista promosso dall’Archivio Piero Dorazio e di prossima pubblicazione con Skira, editore anche del volume che accompagna questa mostra veronese. Al suo saggio, che approfondisce gli elementi peculiari della pittura di Dorazio nel periodo ora in esame, fa seguito il testo di David Anfam, cui è affidata l’analisi dei rapporti dell’artista con i protagonisti dell’avanguardia americana. Raffaele Bedarida ricostruisce le relazioni con l’ambiente artistico d’oltreoceano. Fabio Belloni individua i punti di raccordo tra il pensiero di Dorazio e l’approccio critico di Maurizio Fagiolo dell’Arco, autore nel 1966 della prima monografia dedicata all’artista.

Nel “catalogo delle opere” i lavori esposti sono analizzati da F. Tedeschi, cui si affianca la scheda monografica, a cura di Patrizia Nuzzo, relativa alla tela in collezione civica veronese. Studi ulteriori ampliano l’orizzonte dell’indagine: Valentina Sonzogni con un carteggio inedito scambiato con corrispondenti internazionali; Sonia Chianchiano con uno studio sulla figura di Marisa Volpi cui si deve il riordino sistematico dell’opera di Dorazio sino al 1977. Completano il volume la biografia specifica del periodo 1963-1968 a cura di Laura Lorenzoni, con un approfondimento sui rapporti con la Biennale di Venezia tra il 1960 e il 1966, anno della sala personale; quindi il regesto espositivo e bibliografico di Isabella d’Agostino.

Piero Dorazio nasce a Roma il 29 giugno 1927. Nel 1947 è tra gli esponenti del Gruppo Forma. Nel 1953, invitato alla Harvard University in un seminario internazionale, si trattiene per circa un anno negli Stati Uniti, entrando in contatto con il vivace mondo artistico americano. Nel 1960 ha una sala personale alla Biennale di Venezia e nello stesso anno inizia a insegnare nella University of Pennsylvania a Filadelfia. Nel 1961 espone a Parigi e a Londra, poi in Germania, a Berlino e a Düsseldorf. Con Otto Piene, Heinz Mack, Günther Uecker partecipa alle mostre del Gruppo Zero. A Parigi ottiene, sempre nel 1961, il Prix Kandinsky. Negli anni sessanta soggiorna a lungo a New York, frequentando artisti tra i quali Joseph Cornell, Willem de Kooning, Robert Motherwell, Barnett Newman, David Smith, Clyfford Still, e critici come Clement Greenberg.
Nel 1964 tiene la sua prima personale alla Galleria Marlborough a Roma. Del 1965 è la sua partecipazione alla mostra The Responsive Eye al Museum of Modern Art di New York, curata da William C. Seitz. Incontra Jules Olitski, Kenneth Noland e Frank Stella, i nuovi coloristi americani, che accolgono con interesse la sua mostra alla Marlborough-Gerson Gallery di New York in corso tra gennaio e febbraio. Il suo dipinto Mano della clemenza del 1963 entra nella collezione del Museum of Modern Art di New York. Una sua grande antologica ha luogo nel 1965 nel Museum of Art di Cleveland. Nel 1966 tiene mostre personali alla Marlborough Fine Art di Londra e alla Galerie im Erker di San Gallo. In primavera esce la sua prima monografia, a cura di Maurizio Fagiolo dell’Arco, ed è invitato con una sala personale alla XXXIII Biennale di Venezia. Oltre la metà dei dipinti allora esposti figurano in questa mostra veronese. Nel 1967 diviene full professor alla University of Pennsylvania; partecipa a numerose rassegne a Tokyo, Pittsburgh, Buffalo, oltre all’Expo ’67 a Montréal. Nel 1968 si trasferisce per sei mesi a Berlino, invitato dalla Deutscher Akademischer Austauschdienst come artist-in-residence. I risultati di questo periodo di ricerca saranno esposti alla Marlborough a Roma e a New York tra 1968 e 1969, quindi in una retrospettiva alla Haus am Waldsee a Berlino. Nel 1972 per il Teatro alla Scala di Milano disegna scenografie e costumi per il balletto Notte trasfigurata con musica di Arnold Schönberg. Nel 1974 si trasferisce a Todi, in un eremo camaldolese restaurato. Del 1977 è la prima catalogazione del suo lavoro nella monografia a cura di Marisa Volpi. La grande antologica del 1979 al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris sarà poi riproposta alla Albright-Knox Art Gallery di Buffalo e in vari musei degli Stati Uniti. Altre sue esposizioni si tengono nel 1983 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, al Musée de Grenoble nel 1990, al PAC di Milano nel 1998, all’IVAM di Valencia nel 2003. Piero Dorazio muore a Perugia il 17 maggio 2005.

Carlo Franza

 

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