“Paesaggio 1922-2022 cent’anni della legge Croce”. Uno storico e prezioso libro che indaga sulla tutela del territorio.
La formazione in Italia di una cultura del paesaggio che, dal XIX al XX secolo, giunge a noi passando attraverso il traguardo decisivo della legge croce del 1922, configura un percorso quanto mai articolato, scandito dal dibattito degli addetti ai lavori così come da un impegno di più ampia sensibilizzazione; un percorso indicativo della complessità di un oggetto di studio che – tra scienza, natura e storia, e tra divulgazione giornalistica e codificazione giuridica – non smette di sollecitare la riflessione del lettore contemporaneo.
“Il paesaggio … altro non è che la rappresentazione materiale e visibile della Patria, coi suoi caratteri fisici particolari …, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli” (Benedetto Croce, 1921).
L’importante iniziativa di dedicare questo volume, con cui «Napoli nobilissima» si congeda dal 2022, al tema del paesaggio ha il merito – come evidenziato nella bella introduzione firmata da Fabio Mangone e Nunzio Ruggiero – di puntare l’attenzione su un argomento caro al fondatore della testata e al contempo di corrispondere a un’antica missione della rivista, sensibile – fin dai suoi esordi – alle questioni della tutela del territorio, con la Presentazione di Lucio d’Alessandro Rettore dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa Presidente della Fondazione Pagliara. Libro preziosissimo questo “Paesaggio 1922-2022 cent’anni della legge Croce”, a cura di Fabio Mangone e Nunzio Ruggiero, Artem, pp.136, Euro 20,00;non dovrebbe mancare in nessuna biblioteca.
Un volume che è diventato un testo guida e di riflessione sul paesaggio, il primo a dare linee guida nella salvaguardia del paesaggio italiano, testo spesso non conosciuto nelle nostre università e nei dipartimenti del settore. Bene ha fatto la direzione dei “Quaderni di napoli nobilissima” a farlo rivivere, pagine per la salvaguardia del patrimonio storico artistico e paesaggistico, per consegnare ai posteri i luoghi del passato e del presente, i nostri luoghi, i luoghi delle civiltà, i luoghi del nostro vivere.
Illuminante la Presentazione di Lucio d’Alessandro Rettore dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa Presidente della Fondazione Pagliara. “Ricostruire in prospettiva storica il pensiero sviluppato intorno al paesaggio a partire dall’insegnamento crociano consente inoltre di riflettere sulla vitalità ed efficacia di quel pensiero rispetto ai bisogni anche odierni della vita civile del nostro Paese. Oggi stentiamo a cogliere a pieno la portata rivoluzionaria dell’intervento crociano. Nella nostra contemporaneità la questione ecologica ha finito infatti per attribuire alla tutela dell’ambiente e degli eco-sistemi un ruolo più avanzato rispetto ai diritti economici e di produzione, tanto che le modifiche all’articolo 41 della Costituzione, previste dalla legge costituzionale del 11 febbraio 2022, stabiliscono espressamente che l’iniziativa economica privata non possa svolgersi in modo da recare danno alla salute e all’ambiente, oltre che alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umane. L’ultimo comma dell’articolo vede inoltre l’inclusione dei «fini ambientali», accanto a quelli sociali, verso cui può essere indirizzata e coordinata l’attività economica pubblica e privata. Di tutt’altro tenore erano i convincimenti dell’Italia liberale, indirizzati semmai a una tenace difesa della proprietà privata; a quest’ultima la crociana legge sul paesaggio avrebbe imposto di necessità dei vincoli, restituendo alla sfera dell’interesse pubblico non solo il bene artistico ma anche la più sfuggente bellezza naturale, a cui veniva pure riconosciuto, con non minor chiaroveggenza, pieno valore relazionale per la storia civile e culturale del Paese. In questi termini la legge Croce sopravanza i tempi nei quali venne elaborata e si proietta nella modernità con inesausta vitalità, come hanno d’altra parte dimostrato le recenti celebrazioni che ad essa si sono tributate, in quelle stesse sale del Senato dove cento anni fa venne avviata la sua approvazione. Gli interventi di quel Convegno, promosso dalla Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, si pongono ora idealmente in dialogo con i pregevoli saggi di seguito raccolti.
La legge sul paesaggio presentata da Benedetto Croce, come ministro della Pubblica Istruzione nell’ultimo governo Giolitti, passò al Senato e fu definitivamente approvata nel 1922 dalla Camera, pochi mesi prima della marcia su Roma. Si è giustamente detto che con essa si concluse un ventennio di iniziative in difesa del paesaggio e del patrimonio storico artistico che aveva già prodotto la legge presentata da Luigi Rava del 1909, redatta probabilmente da Giovanni Rosadi e Corrado Ricci, che in quella occasione fu nominato Direttore generale delle Antichità e Belle Arti. Quest’ultimo sarebbe stato un riferimento costante per Croce. Il testo originario della legge conteneva due articoli relativi al paesaggio, che vennero cassati dal Senato, dove il principio dell’assolutezza della proprietà privata aveva sostenitori assai determinati. Nella legislatura seguente Rosadi ritornò sul problema del paesaggio con un progetto di legge che il governo Nitti presentò alla Camere senza che venisse approvato e fu quindi ereditato da Croce nel seguente governo Giolitti. È stato opportuno ricordare in questo Quaderno, da parte di diversi autori, tali precedenti e mettere in luce il crescente movimento di opinione favorevole e le elaborazioni culturali che lo accompagnarono. Pasquale Rossi ha anche ben ricostruito, del resto, «gli albori della difesa preunitaria», di cui un cenno significativo trovasi nella Relazione introduttiva di Croce alla legge del 1922 e che ne costituisce un testo esplicativo essenziale. Tra le associazioni che presero assiduamente parte alla difesa del paesaggio è ricordato, in più di uno dei saggi qui raccolti, anche il Club Alpino Italiano, di cui Croce era uno degli iscritti alla sezione napoletana e non disdegnava passeggiate ed escursioni, invero non come Giustino Fortunato che aveva percorso a piedi pressoché tutto l’Appennino meridionale. Va ricordato anche nel dettaglio come Croce fosse stato, sin dalla fine de re a Corrado Ricci, nel gennaio 1910, come «la protezione dei monumenti fosse una lotta che bisogna combattere giorno per giorno». Su questa assidua dedizione di Croce troviamo oggi una ricostruzione approfondita nella biografia di Emanuele Cutinelli Rendina, Benedetto Croce. Una vita per la nuova Italia recentemente edita da Aragno (Torino 2022, p. 279 e sgg.). Credo abbia ragione Salvatore Settis (Paesaggio Costituzione Cemento, Torino 2010, p. 166), quando sottolinea che non c’è nell’impostazione della legge sul paesaggio di Croce alcuna prevalente considerazione «estetica», ma qualcosa di più intrinseco, che riguarda il rapporto tra «natura» e «storia». All’art. 1 della legge si parla di «immobili», equiparando quelli che sono di «bellezza naturale» a quelli che hanno una «particolare relazione con la storia civile e letteraria», in quanto le «bellezze naturali» vanno considerate come si formano e vengono percepite storicamente. L’introduzione di Croce alla legge sottolinea, infatti, che il paesaggio «altro non è che la rappresentazione materiale e visibile della Patria, con i suoi caratteri fisici particolari (…), con gli aspetti molteplici e rari del suo suolo, quali si son formati e sono pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli», e che, com’è stato notato, sembra ricalcare la nota affermazione di John Ruskin, del paesaggio come «volto amato della Patria». E da questa premessa Croce coglieva inoltre «l’altissimo interesse morale ed artistico» che legittimava «l’intervento dello Stato». Non credo, inoltre, possa dirsi che la legge Croce non abbracciasse, nella sua tutela, i centri storici, considerati nel loro complesso. Essendo, ad esempio, nei suoi diversi scritti su Napoli, continua l’evocazione del centro storico della Città, nella sua parziale o complessiva identità. E a riguardo voglio solo riferirmi all’acuta osservazione di Emma Giammattei, nel saggio qui pubblicato, in cui osserva come Croce, percorrendo alcune vie del centro storico, evochi il luogo dove abitava Shaftesbury, stabilendo «una relazione singolare quanto intima fra il luogo e il pensiero». Questa osservazione mi fa tornare alla mente il panorama che Croce descrive magistralmente (non è il solo descritto nell’opera sua), sporgendosi dagli spalti in rovina del castello di Favale in Basilicata, dove era stata reclusa, nel secolo XVI, la sfortunata poetessa Isabella di Morra. Su quella visita a quelle antiche mura, Croce spiega che era stato «tratto dal desiderio di un più sensibile ravvicinamento ai casi di un più lontano passato per mezzo delle cose che vi assistettero muti testimoni, che non sono, o assai poco, cangiate nell’aspetto e sembrano promettere la più vivace evocazione. Era, insomma, un modo per coronare per me stesso, per un mio intimo gusto, con un raccoglimento dell’animo e della mente, con un volo dell’immaginazione, le modeste indagini critiche”.
Carlo Franza