L’arte visionaria di Stefano Di Stasio principe della nuova scuola romana al Mart di Rovereto
La mostra Stefano Di Stasio. Da genti e paesi lontani condivide una delle gallerie del primo piano del Mart con il progetto dedicato ad Aurelio Bulzatti. Entrambi si sviluppano a partire da una premessa espositiva comune: una sala-omaggio dedicata alla Galleria La Tartaruga diretta da Plinio De Martiis, tra i protagonisti della scena culturale romana della seconda metà del Novecento. Attivo nel rilancio del Teatro dell’Arlecchino, luogo di sperimentazione e di incontro frequentato da Luchino Visconti, Anna Magnani, Monica Vitti, Franca Valeri, Mino Maccari, De Martiis è fotografo e reporter e collabora con importanti organi d’informazione quali L’Unità, Paese Sera, Noi donne, Il Mondo.
Nel 1952 è tra i fondatori della cooperativa Fotografi Associati che contribuisce in maniera significativa a definire il ruolo dell’immagine nella cultura italiana. In brevissimo tempo si impone come demiurgo di una vita culturale che passa alla storia per la pluralità e l’intensità degli apporti, anticipando la celebre stagione de La dolce vita.
Attivo come gallerista, editore, organizzatore di eventi, scopritore di talenti, curatore, intellettuale fuori dagli schemi, collega la propria attività in maniera particolare a La Tartaruga. La Galleria diviene sinonimo di ricchezza culturale, con una proposta espositiva capace di interpretare e precorrere i tempi, offrendo un primo approdo italiano agli artisti americani della Pop art e dell’Espressionismo astratto, da Cy Twombly a Robert Rauschemberg, Mark Rothko, Franz Kline, e occasioni espositive a molti dei protagonisti italiani della scena artistica internazionale degli anni a venire: Fabio Mauri, Mario Schifano, Jannis Kounellis, Piero Manzoni, Pino Pascali.
Con il focus che introduce alle mostre di Di Stasio e Bulzatti, il Mart rende omaggio a De Martiis ricordando l’ultima stagione di attività de La Tartaruga. Si tratta di uno dei periodi di maggiore impegno e soddisfazione per De Martiis che lancia nei primi anni Ottanta un numero rilevante di artisti, in parte autonomi, in parte riuniti da Maurizio Calvesi sotto l’etichetta di Anacronisti, tutti accomunati dalla necessità di tornare alla pittura e alla figurazione. Quella stagione, ricca di avvenimenti e di incontri, che trova il suo apice nella Biennale del 1984, viene evocata attraverso le opere di sei artisti che a vario titolo incrociarono le proprie strade con quella di de Martiis: oltre a Bulzatti e Di Stasio, Franco Piruca, Maurizio Ligas, Paola Gandolfi e Lino Frongia.
Stefano Di Stasio. Da genti e paesi lontani
Di Stasio inizia una vera rivoluzione, anche iconografica.
Non è un pittore della realtà, è un pittore del sogno e del mito.
Vittorio Sgarbi
Credo nella pittura e continuo a credere nella pittura, perché per me è un valore, è una salvezza dal mondo. Negli anni mi sono liberato sempre più dell’influenza dell’antico e quindi sono andato sempre più cercando, e spero trovando, una pittura mia, un mondo da rappresentare più autonomo e personale: questo è senz’altro il percorso.
Stefano di Stasio
Dopo alcune sperimentazioni iniziali, Di Stasio consacra la sua carriera alla pittura figurativa, con dedizione e coerenza in anni in cui il mercato e la critica dell’arte prediligono altri linguaggi. A cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, dominati principalmente dalle neo-avanguardie, Di Stasio è quindi uno dei pionieri del ritorno alla pittura.
Nei suoi lavori mescola elementi di realismo, atmosfere enigmatiche e richiami alla classicità delle forme compositive. Guardare all’antico, recuperare iconografie e temi dal passato risulta in quel periodo quasi provocatorio; Di Stasio e i pochi artisti che nello stesso periodo tornano alla figurazione vengono definiti da Maurizio Calvesi Anacronistici.
A cavallo tra Realismo e Simbolismo quella di Di Stasio è un’arte visionaria, misteriosa che descrive il reale solo in apparenza, fissando sulla tela una verità inesistente, lontana, allegorica. Nella complessità narrativa emerge uno dei grandi temi del presente: quasi psicanalitico, quello di un’umanità turbata, a tratti cupa e alla ricerca di certezze, “tanto che ogni opera appare come rebus da decifrare” spiega Vittorio Sgarbi in catalogo. È come se Di Stasio avesse “un’urgenza di sogni”. In particolare nelle opere della produzione più recente, su cui la mostra insiste, emergono “la straordinaria elaborazione iconografica e la grande fantasia di Di Stasio” o come scrive Anna Imponente “una pittura di quiete apparente”.
Contrariamente a quanto potrebbe sembrare logico da queste premesse, il lavoro di Di Stasio sa essere leggero, poetico, libero e, sottolinea Lucia Longhi, totalmente italiano, nelle scatole di colore, nei cieli blu, nei richiami alla storia dell’arte o dell’architettura, nelle composizioni geometrice, negli abiti, negli interni domestici: “il mondo di Di Stasio [ci]è altrettanto familiare, seppure restituito in modo surreale”.
Quindici tra le cinquanta opere esposte sono state realizzate negli ultimi anni, a cui si aggiungono quattro dipinti dei primi anni Duemila. Presentati anche una serie di sedici disegni a matita, raramente esibiti, prodotti tra il 1991 e oggi. Salvo due grandi dipinti appartenenti alle raccolte del Mart, precisamente alla Collezione VAF-Stiftung, tutte le opere provengono da gallerie o collezioni private, a riprova dell’originalità del linguaggio dell’artista, non ancora musealizzato, e del progetto espositivo.
La mostra Stefano Di Stasio. Da genti e paesi lontani è accompagnata da un catalogo pubblicato da Prearo Editore contenente testi di Vittorio Sgarbi, Anna Imponente, Lucia Longhi e una conversazione tra Gabriele Lorenzoni, curatore del Mart, e l’artista.
Stefano Di Stasio nasce a Napoli nel 1948, ma la famiglia si trasferisce a Roma nel 1950. Nato in una famiglia di cantanti lirici, proprio grazie a una serata d’opera a Roma, intorno al 1960, dove si esibiva, tra gli altri, suo padre, la madre nota in sala Giorgio de Chirico, a cui chiede e ottiene un appuntamento nella sua casa, per sottoporgli un ricco numero di disegni che il giovanissimo Stefano già realizzava da tempo. I lavori colpirono il maestro che fu prodigo di consigli. L’incontro con de Chirico rimarrà indelebile nel percorso successivo del giovane artista.
I primi anni di esperienze pittoriche sono prevalentemente in ambito astratto. Nel 1977-1978 Di Stasio apre assieme ad alcuni amici uno spazio autogestito a Roma chiamato La Stanza. Qui sperimenta un’arte d’installazione extra-pittorica, che inventa spazi animati da svariati oggetti, materiali, mobili artefatti, luci, frammenti di pittura e disegni murali.
È proprio ne La Stanza che, pur nell’ambito delle installazioni, espone nel 1978 un autoritratto a olio di sapore ottocentesco, come gesto provocatore e d’inversione di rotta, rispetto a quella che ormai sembrava l’“accademizzazione” dell’avanguardia. Nello stesso anno espone un secondo grande autoritratto, che viene notato da Plinio De Martiis, il quale lo invita a esporre le sue opere nella celebre galleria La Tartaruga, in collettive e personali dedicate al nuovo ritorno alla pittura. Nel 1982 partecipa ad Aperto 82 alla Biennale di Venezia. Nel 1984 viene invitato da Maurizio Calvesi con una sala personale, ad Arte allo Specchio, mostra centrale della XLI Biennale di Venezia. Nel 1994 inizia la collaborazione con la galleria L’Attico di Fabio Sargentini, dove nello stesso anno espone in una personale e poi successivamente in varie collettive. Nel 1995 partecipa alla XLVI Biennale di Venezia con una sala personale nel padiglione centrale. Le gallerie che negli anni si sono occupati del suo lavoro, tra le altre, sono: La Tartaruga, Pio Monti, La Nuova Pesa, Gian Enzo Sperone, L’Attico, Il Polittico, A.A.M., Maniero, Studio Vigato, Alessandro Bagnai, Arts Event’s, Ambrosino e Andrea Arte. Tra i musei nei quali ha esposto, si ricordano: Museo del Risorgimento, Roma (1997-1999), Palaexpò, Roma (1992-1999-2013), Scuderie del Quirinale, Roma (2000), County Museum, Los Angeles (1987), Museum of Modern Art, Ostenda, Belgio (2001), GNAM, Roma (2004-2018), Mart, Rovereto (2005), MACRO, Roma (2013), Palazzo Collicola, Spoleto (2021), Museo Ettore Fico, Torino (2021), Fondazione Stelline, Milano (2022). Dal 2000 vive e lavora tra Roma e Spoleto e negli ultimi anni stringe un’intensa collaborazione con la galleria Alessandro Bagnai. Di lui hanno scritto, tra gli altri: Maurizio Calvesi, Marisa Volpi, Carlo Franza, Alberto Boatto, Italo Tomassoni, Alessandro Zuccari, Howard Fox, Marco Lodoli, Fulvio Abbate, Francesco Gallo, Loredana Parmesani, Viviana Siviero, Silvia Bre, Marisa Vescovo, Paolo Balmas, Roberto Lambarelli, Massimo Duranti, Antonio Carlo Ponti, Vittorio Sgarbi, Roberto Gramiccia, Marco Meneguzzo, Mariano Apa, Edward Lucie Smith, Enzo Siciliano, Francesco Moschini, Gabriele Perretta, Arnaldo Romani Brizzi, Emanuele Trevi, Roberto Vidali, Alberto Zanchetta, Piero Boccuzzi, Camillo Langone, Bruno Toscano, Guglielmo Gigliotti, Vittoria Coen, Andrea Busto, Marco Tonelli.
Carlo Franza