NAPOLI. Aperta presso lo JUS Museum di Napoli (Palazzo Calabritto, Via Calabritto, 20, piano nobile, scala B) la mostra “Arturo Vermi. Opere 1960-1975”, in collaborazione con l’“Archivio Arturo Vermidi Monza.

In esposizione venti opere che tracciano buona parte del percorso creativo dell’artista, dagli esperimenti informali della fine degli anni Cinquanta, sino alla conquista del segno, elemento caratterizzante delle sue opere e di quelle del “Gruppo del Cenobio”, che Arturo Vermi fonderà 1962 insieme ad Agostino Ferrari, Ugo La Pietra, Ettore Sordini e Angelo Verga, in opposizione sia alle tendenze nichilistiche e agli eccessi concettuali, sia all’invasione della cultura popartistica americana, muovendosi in direzione semantica in una rinnovata fedeltà all’astrazione e alla pittura, anticipando – senza tema di smentite – alcune delle ricerche successive. È lo stesso Arturo Vermi a ricordare come il “lavoro e la ricerca svolta dal Gruppo del Cenobio risultò essere importante e lo testimonia il fatto che altri operatori, anche illustri, dieci anni dopo fecero ricerche ed esperienze simili, riscuotendo notevole attenzione da parte della critica”.

Mi è caro sottolineare che Vermi promosse un lavoro di linee, sequenze di linee, architetture del segno e del tempo (l’annologio), segnare e disegnare il tempo che passa inesorabile. Questo il lavoro esemplare di Arturo Vermi.  Bene, se Lucio Fontana ha mirato allo spazio, Piero Manzoni con le sue linee lunghe ha mirato all’infinito (non si dimentichi che Fontana ebbe a dire che la cosa più importante che aveva caratterizzato il lavoro di Manzoni era la linea lunga inscatolata), mentre Arturo Vermi ha inseguito il tempo; il tempo domestico, il tempo stagionale, il tempo del cuore, il tempo come ritaglio dell’esistenza.

 Arturo Vermi (Bergamo 1928 – Paderno d’Adda 1988) definisce la sua poetica nell’estrema semplificazione del linguaggio che, soprattutto, nei “Diari” si caratterizza nell’evidenza di un segno sempre più sottile, più o meno fitto o regolare, trasformandosi in ipotesi di scrittura, grammatica del sentimento. Già nel 1964, Guido Ballo sottolineava come il ripetersi dei tratti “possa sembrare una formula ma, guardando più attentamente ci si accorge che in sostanza il segno di Arturo Vermi è sempre emotivo, è sempre legato, quasi, al variare degli stati d’animo: è, insomma, un segno di valore poetico”.

L’attenzione per le ricerche degli anni Sessanta e Settanta, pone Arturo Vermi tra i protagonisti di numerose mostre, tra le quali si ricordano: “Linee della ricerca artistica in Italia, 1960-1980”, Palazzo delle Esposizioni, Roma (1981); “Il segno della pittura e della scultura”, Palazzo della Permanente, Milano (1983); “Pittura-Scrittura-Pittura” (a cura di Filiberto Menna), Erice, Roma, Suzzara (1987); “Milano et Mitologia. I poli della ricerca visiva 1958-1964” (a cura di Angela Vettese), Centro Culturale Bellora, Milano (1989); “Nel segno del segno. Dopo L’Informale” (a cura di Luciano Caramel), Palazzo delle Stelline, Milano (2013); “1963 e dintorni. Nuovi segni, nuove forme, nuove immagini” (a cura di F. Tedeschi), Gallerie d’Italia, Milano; “Nati nel ’30. Milano e la generazione di Piero Manzoni” (a cura di E. Pontiggia e C. Casero), Palazzo della Permanente, Milano (2014); “Italia Moderna 1945-1975” (a cura di M. Meneguzzo), Palazzo Buontalenti, Pistoia Musei, Pistoia (2019); “Gruppo del Cenobio. Fontana, Manzoni and the Avant-Garde”, Brun Fine Art, Londra (2019).

Sue opere sono in importanti collezioni pubbliche e private, tra cui la  Fondazione VAF Stiftung (Frankfurt am Main), la Fondazione Biscozzi | Rimbaud ETS (Lecce), le Gallerie d’Italia di Banca Intesa (Milano). Il Primo Catalogo Ragionato dell’artista  è stato editato  da Electa

Durante il periodo della mostra sarà programmato un incontro con Anna Rizzo Vermi, vedova dell’artista e sarà presentato il catalogo. La mostra rimarrà aperta sino all’11 maggio 2024.

Carlo Franza

 

 

 

 

 

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