Dopo le mostre Angelo Morbelli. Luce e colore (2019), Gaetano Previati. Previati in Love (2020) e Il giovane Boccioni (2021), dedicate ad artisti che, in modi diversi, hanno preso parte alla multiforme esperienza del divisionismo italiano, la galleria Bottegantica  di Milano ha scelto di indagare in modo più esteso la parabola ed il perdurare del fenomeno.
Divisionismi. Un’altra modernità, che si tiene dal 18 ottobre al 30 novembre 2024, intende offrire una nuova prospettiva sul movimento divisionista, esplorandone le evoluzioni e le implicazioni artistiche dagli anni Novanta del XIX secolo sino agli anni Venti del Novecento. Accanto alle opere dei maestri e principali teorici della tecnica divisionista – da Gaetano Previati ad Angelo Morbelli ed Emilio Longoni, da Vittore Grubicy de Dragon a Giovanni Segantini e Pellizza da Volpedo – dei quali sono presenti alcuni capolavori come Le Caravelle (1908 circa), Fiumelatte (1897) e L’Ultima fatica del giorno (1892) e Tramonto sulle colline di Volpedo (1903-1904), la mostra presenta lavori di artisti legati ad ulteriori sviluppi della ricerca divisionista, nella sua complessità estetica e concettuale, all’aprirsi del nuovo secolo.
Sono infatti presenti anche i primi firmatari del Manifesto futurista, che proprio sul divisionismo nell’accezione del complementarismo congenito si basava, come Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Luigi Russolo e Carlo Carrà con lavori di primaria importanza come Mia madre (1907) e Ritratto di Bice Morselli (1910), accanto a diversi altri artisti divisionisti di primo livello – entro una prospettiva nazionale di ampio respiro – come Carlo Fornara, Benvenuto Benvenuti, Cesare Maggi, Emilio Longoni, Plinio Nomellini e Sexto Canegallo. Il divisionismo, nato sullo scorcio degli anni Ottanta del XIX secolo, affrontò inizialmente la resistenza critica di quanti ne decretavano la fine già all’inizio del nuovo secolo: nonostante le critiche di figure come Diego Angeli e Ugo Ojetti, che vedevano nel divisionismo un eccesso di dogmatismo scientifico e tecnico, molti artisti riuscirono a trasformarne la tecnica in un mezzo per esplorare le potenzialità espressive della pittura. La mostra mira ad indagare il variegato orizzonte del divisionismo nei primi due decenni del secolo per superarne una concezione, frequente negli studi e nelle occasioni espositive, che ne ha spesso relegato i migliori esiti agli anni dei suoi esordi. All’approssimarsi del nuovo secolo tanto i maestri, quanto le nuove generazioni di artisti, non si trovarono più a confrontarsi assiduamente con i problemi teorici e pratici relativi alla divisione del colore: la tecnica divisa era finalmente un dato acquisito, da poter vivere con un rinnovato senso di indisciplinatezza, fondamentale per l’evoluzione del divisionismo. Già dagli anni Novanta i singoli artisti, impegnati intorno alla ricerca sul colore diviso, avevano elaborato delle maniere individuali, aprendo la strada ad un’interpretazione dell’assunto teorico e scientifico di partenza che andasse ben oltre la tecnica, per sondare le possibilità pittoriche in termini di espressione e forza evocatoria. È proprio l’affermarsi di un’inedita sperimentazione attorno al valore del segno pittorico a divenire protagonista in questa stagione: stesure puntinate e pulviscolari, lineari, a tacche, ora affidate a un ductus più disteso, ora risolventesi in una grafia spezzata e nervosa. Le variazioni sugli impasti, con evidenziazioni materiche o stesure levigate, costituirono la base essenzialmente modernista di una riflessione sul linguaggio pittorico stesso, fondamentale per le premesse concettuali che portarono all’affermazione dell’avanguardia e alla rilettura in chiave moderna di una delle più importanti sperimentazioni pittoriche dell’Ottocento italiano.

Carlo Franza

 

 

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