Il paesaggio marchigiano di Attilio Alfieri. La Mostra al CART – Centro documentazione ARTe contemporanea Palazzo Pergoli – Falconara Marittima (An)
Mi preme oggi segnalare la mostra e il nome di Attilio Alfieri, artista lauretano vissuto da sempre a Milano, partecipando fin dagli anni Trenta al Movimento dei Chiaristi e poi al nuovo svolgimento figurale che si ebbe dopo gli anni Cinquanta. Amico discreto,
così l’ho conosciuto e frequentato, attivo ogni giorno nel suo studio milanese, con una pipa in bocca e un pennello sempre in mano dinanzi a teleri che oltre ritratti raccontavano la sua terra, le sue Marche, il suo Cònero.
La mostra, nata da un’idea del direttore scientifico del CART di Falconara Marittima, e realizzata in collaborazione con Aliosca Alfieri figlio dell’artista e Presidente dell’Archivio Attilio Alfieri di Milano, intende illuminare l’opera di Alfieri attraverso uno spaccato della sua produzione artistica, significativa e utile ad essere approfondita, come il percorso lineare della pratica pittorica più tradizionale (quella del disegno, degli acquerelli, tempere e oli), che si è espressa all’interno di uno dei generi della pittura comunque cari ad Alfieri, come quello del paesaggio, puntando lo sguardo sulle opere rivolte ai territori delle Marche.
In mostra sono esposti disegni e dipinti di tutto l’arco della produzione del maestro sul paesaggio d’origine e d’affezione (comprese vedute urbane), per addentrarsi in un aspetto della ricerca di Alfieri, che del paesaggio delle Marche ne indaga, interpreta ed elabora l’essenza, conferendole una solenne e antica dignità.
Nel percorso espositivo e nel catalogo della mostra, si possono ritrovare tutti i periodi pittorici dell’artista e l’amore per la sua terra d’origine. Dai primi disegni del 1926 agli oli in versione chiarista, dai dipinti di ispirazione cezanniana degli anni Trenta al materico degli anni Quaranta e, a seguire, la vasta produzione degli anni Settanta ed Ottanta. Alle opere in mostra fa da preludio un primo disegno (Soldato del 1919, eseguito all’età di 15 anni), per far comprendere al visitatore il talento naturale di questo artista.
Il paesaggio marchigiano ha accompagnato Attilio Alfieri nel corso di tutta la sua esistenza e nonostante si fosse trasferito giovanissimo a Milano l’artista è sempre tornato regolarmente nella sua terra. Ogni volta attratto irrimediabilmente da un paesaggio che sosteneva essere del tutto tipico, unico per la sezione del terreno e per il cangiantismo dei colori, ed eccezionalmente straordinario per la capacità di trasmettere un senso religioso e di intima pace. Specie il Conero, un monte mitizzato fin da ragazzo e dalle suggestioni poetiche leopardiane, con il suo carico di memorie e richiami sentimentali, secondo quello che nel testo in catalogo, è stato definito essere una geografia affettiva delle Marche ed anche un sentire epidermico dell’artista della pittura di paesaggio del versante adriatico.
Sono chine, acquerelli, tempere e oli, realizzati sempre all’aperto, a contatto con l’amata natura, in una sorta di ricerca e rigenerazione di sé stesso. Non è quindi un caso se gli ultimi e unici lavori siano stati i paesaggi, decine di disegni eseguiti a pennarello a cavallo del 1990 e ‘91, qui nella sua terra natale nel tentativo di alleviare il dolore causato dalla morte della moglie.
Le opere in mostra, oltreché dall’Archivio Attilio Alfieri di Milano provengono da collezioni private e pubbliche anche del territorio (come in particolare dalle Collezioni del Comune di Loreto e del Comune di Sassoferrato), per sottolineare anche una partecipazione condivisa dei luoghi vissuti e rappresentati da Alfieri.
La mostra, promossa dal Comune di Falconara M. (AN), in collaborazione con l’Associazione Attilio Alfieri di Milano, partecipa al sostegno della Regione Marche con il parternariato dell’AMIA – Associazione Marchigiana Iniziative Artistiche e dell’Associazione Artistica Artemisia.
Attilio Alfieri (Loreto 1904 – Milano 1992). Nato a Loreto da genitori analfabeti e in condizioni economiche modeste. Pittore autodidatta, inizia a disegnare all’età di 15 anni (Il Soldato, in mostra) seguendo le orme e i rudimenti del fratello maggiore, decoratore e pittore dilettante. Si perfeziona come aiuto del decoratore piacentino Camozzi, chiamato a lavorare nella Basilica di Loreto, e grazie a lui nel 1923 viene assunto come apprendista a Piacenza dai pittori di chiese Aspetti e Rossi. Si rende però conto che la decorazione è un freno alla creatività e nel 1925 trova a Milano un lavoro da imbianchino così da poter frequentare i corsi serali di pittura all’Accademia di Brera e al Castello Sforzesco.
“Feci l’entrata a Milano come un passero tentennante, avido di beccare quel nutrimento cittadino necessario alla mia incolmabile ignoranza, innocente presunzione.” (Citazione tratta dai diari di Attilio Alfieri, 1925-1931, Archivio Attilio Alfieri, Milano).
Nell’aprile 1927 viene arruolato nell’esercito e trasferito a Fiume. Il suo spirito libertario e indipendente mal si addice alla rigidità della vita militare; esile di corporatura intraprende un dissimulato digiuno, che gli varrà il congedo anticipato nell’ottobre dello stesso anno. Quel periodo a contatto con la natura selvaggia dell’Istria lo stimolerà alla pittura en plein air.
“Questa notte ho montato di guardia, vidi uno spettacolo lunare meraviglioso. Ero proprio sbigottito. Ricorderò sempre simile impressione, e decisi di studiare il ‘vero’ – la pittura – giacché la poesia mi ha per sempre abbandonato.” (Citazione tratta dai diari di Attilio Alfieri, 1925-1931, Archivio Attilio Alfieri, Milano).
Questa necessità lo spingerà dopo il congedo a trasferirsi in Brianza per studiare il “paesaggio” sulle orme del Segantini. Rientra a Milano nel 1930 e prende in affitto un abbaino in via Solferino 11, un vero e proprio covo di giovani artisti, tra i quali Saltini, Andreoni, Mantica, Bonfantini, Birolli, Spilimbergo, Lilloni, Greggio, Del Bon, e frequentato da intellettuali come Giolli, Persico, Gatto, Cantatore e Carrieri. La prima mostra collettiva, I pittori del numero 11, è del 1931. La seconda nel ‘32 attirerà l’interesse di Giolli e Carrà, e soprattutto di Persico, che nel “Corriere Padano” del 3 marzo 1933 lo annovera tra i più significativi pittori d’avanguardia. Lo stesso Persico gli darà l’opportunità di esporre, fuori catalogo, alla Triennale di Milano del 1933, i suoi cinque Omaggi. E’ del 1934 invece la prima personale al Circolo Filologico di Milano. Tra il 1933 e il 1944 esegue in Italia e all’estero diversi lavori “pubblicitari” per gli stand delle fiere. Inizia così l’esperienza polimaterica, ereditata in parte da Prampolini, ma personalizzata con tecniche più avanzate e un’audacia impensabile a quei tempi, che darà vita a una straordinaria serie di “pannelli e collage”. Nel 1937 a Parigi, alla Mostra Universale ottiene la medaglia d’oro.
Dal 1939 al 1944 partecipa al Premio Bergamo (premiato 3 volte), alla Quadriennale di Roma (1939 e 1943) e alla Biennale di Venezia (1938, 1942 e 1944). Nel corso degli anni ottiene numerosi premi e riconoscimenti tra cui: il Premio Verona e il Premio Pier della Francesca a Firenze nel ‘42; il Premio Medardo Rosso a Milano nel ‘54; il 1° premio Comune di Milano nel ’57; il 1° premio Città di Imperia nel ’63; il 1° premio Maternità Mangiagalli nel 1966 e nel 1988 il Premio alla Riconoscenza della Provincia di Milano. La prima antologica è del 1971 alla Società Promotrice Belle Arti al Valentino di Torino.
Il riconoscimento del suo ruolo artistico a Milano avviene nel 1981 con l’ampia e approfondita antologica promossa dal Comune di Milano; oltre duecento le opere esposte a Palazzo Reale. A fine carriera farà seguito nel 1989 “Le due anime dell’enigma“, curata da A. Ginesi e promossa dal comune di Loreto. Nel 1959 la sua prima monografia edita da Bertieri e curata da Giorgio Kaisserlian, che l’anno successivo curerà anche una seconda, “15 disegni di Attilio Alfieri“, ed. Galleria del Milione. Ricordiamo inoltre le esposizioni dall’archivio Attilio Alfieri: nel 2004 alla Mole Vanvitelliana di Ancona in occasione del centenario della nascita, nel 2016 a Fano a cura del Credito Valtellinese.
Carlo Franza