“C’era una volta il Sud” di Marcello Veneziani. E’ saggio sentimentale e diario fotografico di una Puglia che non c’è più.
In questi giorni di agosto 2025 mi trovo in Puglia nel Salento, nel Capo di Leuca, nei luoghi dell’infanzia, e aver letto questo libro di un collega e intellettuale come Marcello Veneziani, mi commuove un po’. Vero, straordinario, perché affonda
nella storia e nella sociologia rurale, nella storia delle tradizioni, nei luoghi ancestrali, nella fede; un mondo che non c’è più quello rievocato da Veneziani, quasi scomparso o in via di estinzione. Quei paesi di Puglia che incantarono il collega Cesare Brandi nel suo “Pellegrino di Puglia”; quella Puglia ricca di tesori e sorprese, dalla città vecchia di Bari alle cattedrali romaniche, dalla schiettezza e musicalità del Salento e la Valle dei Trulli e le cripte basiliane di Massafra e il Gargano, fino a quella detta “Cripta del Gonfalone” nel Capo di Leuca a Lucugnano. Una Puglia con più anime, più tradizioni, più processioni, più santi levati in alto ovvero da San Trifone a San Donato, da Santa Marina a Santa Domenica, da San Rocco a San Carlo, eppoi più riti e fiere compresa quella detta della “fera nova” ad Alessano. Con C’era una volta il Sud, pubblicato da Rizzoli (pp.256, Euro 28,00, 2025) Marcello Veneziani torna a indagare quella parte d’Italia che più lo commuove e lo definisce, il Meridione. Più che un semplice libro, si tratta di un’opera a metà tra saggio sentimentale e diario fotografico, in cui la parola scritta si intreccia con immagini d’epoca in un affascinante viaggio nella memoria collettiva.
Da molti anni Marcello Veneziani riflette e scrive sul sud, e non è il solo, mi ci mette anch’io e ci si mette anche Nicola Porro, visto che siamo tutti pugliesi, pur vivendo fuori, ma qui abbiamo case e masserie. Il meridione d’Italia
occupa un posto speciale nella privata geografia dei sentimenti di Veneziani, il Sud come “infanzia del mondo, provincia dell’universo, luogo d’ombre e di luce della nostalgia, casa dei miti”. Non è poco, parole che mi rimandano al poeta barone Girolamo Comi che nel suo Palazzo in Lucugnano accoglieva intellettuali come Bassani, Gatto, Ciardo, Oreste Macrì e Maria Corti. In questo straordinario libro illustrato, la nostalgia per il mondo di ieri si combina con l’incantamento per l’immagine fotografica; foto paesane e famigliari, scene di vita giornaliera domestica, di vita di campagna e ai bordi del mare, ritratti di antenati, primi piani, gruppi di famiglia, figure curiose, matrimoni, funerali, processioni e feste patronali. Un mondo unico. Il risultato è un viaggio di immagini e pensieri nel sud e nella fotografia, nei sentimenti e nei ricordi che suscitano, alla ricerca di un mondo e di un tempo perduti per metterne in salvo la memoria prima che cali la notte. Tra pensiero e racconto, Veneziani ha composto una stupenda biografia a più capitoli del nostro Meridione.
Il Sud di Veneziani è un luogo reale e simbolico insieme: è “infanzia del mondo”, “provincia dell’universo”, ma soprattutto è il serbatoio inesauribile di nostalgia, radici e umanità. In queste pagine scorrono foto paesane e famigliari, ritratti in bianco e nero, istantanee di vita quotidiana tra la terra e il mare, matrimoni e funerali, feste religiose e scene domestiche. Ogni immagine diventa un punto di partenza per una riflessione, un racconto, un frammento d’identità. Il testo accompagna le fotografie con uno stile evocativo e poetico, a tratti elegiaco, in un continuo dialogo tra passato e presente. C’era una volta il Sud non è solo una celebrazione nostalgica, ma anche un atto d’amore verso un mondo che sta quasi per scomparire sotto il peso della modernità e dell’omologazione culturale; ecco perché bene ha fatto Veneziani a
farsi così custode di una memoria che non vuole essere solo rimpianto, ma fondamento per comprendere chi siamo stati e forse anche degni di chi potremmo tornare a essere.
C’era una volta il sud ci lascia leggere con testi e immagini un mondo favoloso, un’epoca che non è più la nostra da decenni, il sud della civiltà contadina e delle famiglie numerose, il sud devoto e superstizioso, arcaico e dei “fatigatori”, il sud delle processioni, dei matrimoni, dei funerali, delle donne vestite in nero e della fettuccia nera sulla giacca degli uomini, del lutto prolungato, della vita di campagna, della vita ai bordi del mare, dei circoli, delle
sale da barba o dello struscio di paese; innumerevoli scorci, quadretti di vita, immagini e figure di quel tempo, modi di dire e di fare, “inciurite e soprannomi”, un mondo arcaico che non fu l’età dell’oro semmai l’età del pane – che si cuoceva ogni quindici giorni o settimanalmente- come la chiamò Felice Chilanti. Un mondo comunitario, povero e aspro ma ricco di umanità. È un passeggio, anzi uno struscio nel tempo, un viaggio tra gli odori, i sapori, le voci, le figure, i pensieri di un mondo che viene descritto come chiuso, piccolo, provinciale, asfittico e locale e invece non è vero. Quel mondo era molto più grande nel suo piccolo rispetto al mondo globale di oggi che è solitario, virtuale, introverso; allora c’era il paese, c’era la campagna, c’era il mare (o per altri la montagna), c’erano gli animali, c’erano i vecchi e i bambini,
tanti bambini, c’era la comunità, c’era l’antichità, c’era il favoloso, c’erano altri mondi oltre quello presente.
Questo libro mi è caro, carissimo, e ve ne dico il perchè; non è solo la Bisceglie di Veneziani, di Bisceglie era anche mio nonno materno Damiani Francesco -poi trasferitosi con fratelli e sorelle in Alessano nel Capo di Leuca alle dipendenze e attendenze del Duca di Alessano nel Palazzo Ducale in Piazza Mercato, col merito del titolo di Sovrintendente- . Bene, dice Marcello Veneziani “Giorni fa sono tornato nella piazza del mio paese –Bisceglie- detta il Palazzuolo, dove giocavo da bambino e dove un tempo si faceva lo struscio: la piazza è un quadrato vuoto al centro e circondato come da una cornice senza quadro, da due file di alberi e una serie di panchine, cinque per ogni lato, in tutto venti. Era la controra e mi sono accorto che su ciascuna di queste panchine c’era una persona sola, e non i gruppi, come succedeva un tempo. Sarà stato un caso momentaneo, ma ho avuto la percezione che i venti di solitudine e le venti solitudini sulle venti panchine della piazza, dicano davvero che il sud c’era una volta e ora non c’è più, è solo una periferia del mondo globale, sempre più devitalizzata, denatalizzata, svuotata, in declino sociale e demografico. Ho scritto questo libro per ripopolare almeno virtualmente quelle panchine”.
Tra filosofia, antropologia culturale e racconto personale, il libro offre una biografia corale del Meridione d’Italia, del barese e del Salento, restituendone la bellezza, la fatica, il mistero e la dignità. Un’opera preziosa non solo per chi come me, Veneziani e Porro hanno radici a sud, ma anche per chi, semplicemente, cerca un modo più intenso, più vero, e più profondo per leggere la storia del nostro Paese Italia.
E diciamola tutta, perché il Sud, in fondo, non è solo un luogo geografico, il finibus terrae, ma è un modo di sentire e di vivere, unico, irripetibile.
Carlo Franza
