Lode alla Fondazione Marconi perchè ripropone al pubblico una rassegna tenutasi quarant’anni fa negli spazi dello storico Studio Marconi di via Tadino, costituito nel 1965, e ora sede della Fondazione; ha per titolo “La ripetizione differente” e fu curata dal collega Renato Barilli nel 1974. Il titolo era tratto da un saggio del filosofo francese Gilles Deleuze, ma in sostanza segnava un netto anticipo di quello che si sarebbe detto il “postmoderno”, o con termini più legati al mondo dell’arte, “citazionismo”, mode rétro, retour à. La citazione è stata definita da Antoine Compagnon come “la più potente figura postmoderna”. Citare significa guardare, selezionare, estrapolare, tirare fuori, decontestualizzare e successivamente ricollocare qualcosa che è ormai distante dall’ambito in cui viene reinserito; non successione lineare quindi, ma rapporto intenzionale tra il contesto nuovo ed il riferimento di provenienza. E’ da ciò che nasce l’ intertesto basato sul riuso del linguaggio, un insieme formato da un “testo citato” e da un “testo citante”, che determina i suoi significati proprio sul tipo di rapporto che si instaura tra le parti che lo compongono. L’arte si è sempre servita di modelli forniti dalla storia che l’ha preceduta e vastissimo è il numero degli studiosi che se ne sono occupati, secondo diverse angolazioni, da Michael Baxandall che ha riflettuto sul concetto di “influenza”, a Ernst Gombrich che ha definito “schemacorrezione”, il modello in base al quale ogni artista interviene sui linguaggi già codificati, solo per citarne alcuni. Anche gli artisti del Novecento, ovviamente, hanno dimostrato questa consapevolezza, come le parole di Robert Motherwell ci ricordano: “every intelligent painter carries the whole culture of modern painting in his head. It is his real subject, of which everything he paints is both an homage and a critique”. Lo storico e critico d’arte americano Leo Steinberg ha notato come in moltissimi capolavori di età moderna sia possibile rintracciare pose, personaggi, ambientazioni, riprese da altri artisti.Si trattava di cogliere un fenomeno naturale e inevitabile, un ritmo dialettico o bipolare che vuole che quando ci si è spinti troppo in una direzione, scatti una manovra al rientro, e da uno sguardo proteso verso il futuro, si ritorni a saccheggiare il passato. Era l’operazione magistrale svolta da De Chirico nell’intero corso della sua carriera, che proprio in quei giorni e in quegli anni Settanta stava recuperando in toto. La mostra aveva l’ambizione di rintracciare i segni manifesti di questo ritorno al passato entro i vari livelli in cui esso poteva essere svolto. E dunque, un livello legato alle immagini, dove quelle di una urlante attualità, rubate ai media “popolari”, non mancavano di associarsi a reperti del passato, o comunque rivedevano i miti pop con mano leggera e dissacrante (Enrico Baj, Valerio Adami, Emilio Tadini, Richard Hamilton, ovvero la squadra sostenuta con tenace amore proprio da Giorgio Marconi). Gli si potevano accostare l’estroso e divertito spagnolo Eduardo Arroyo e l’arguto e provocante Ugo Nespolo, ma anche lo spirito del ’68, con la sua dichiarazione della “morte dell’arte” voluta da Giulio Carlo Argan, spirito insediato soprattutto nell’ambito dell’Arte povera, che non era riuscito a chiudere le porte a questi sussulti di retrospezione, come dimostravano eloquentemente Giulio Paolini, Luciano Fabro, Jannis Kounellis. E nel medesimo spirito l’indagine poteva estendersi pure al tedesco Gerhard Richter, allo statunitense John Baldessari, a Bruno Di Bello, ai coniugi Anne e Patrick Poirier. Tutto ciò, se si vuole, nel rispetto del dogma sessantottino dell’abolizione del colore. Ma i più giovani della compagnia, quali Salvo e Luigi Ontani, osavano già reintrodurre una splendente policromia, aprendo le porte ai fenomeni collaterali allora solo in germe, Transavanguardia, Nuovi-nuovi, Anacronisti. Allora a spalleggiarli c’erano solo i lussuosi ritratti di immaginari personaggi redatti da Giancarlo Croce, o le epidermidi tatuate di Plinio Martelli, o infine la pioggia di rose che Urs Lüthi contrapponeva alle volgarità della vita quotidiana. Con la riproposizione dell’evento storico e artistico è stato pubblicato il Quaderno della Fondazione n. 14, con un testo di Renato Barilli, illustrato dalle opere degli artisti in mostra, e la riproduzione fotostatica della prima pubblicazione del 1974 dedicata dallo Studio Marconi a “La Ripetizione differente”. L’esposizione raccoglie i lavori di artisti diversi, tutti accomunati -secondo Barilli- dalla stessa impostazione concettuale: la consapevolezza di essere nella “situazione di fine corsa di chi è giunto al termine di un percorso oltre il quale non si può proseguire, almeno in senso lineare e mantenendo la stessa logica di viaggio”. Una situazione generata essenzialmente da due motivi: da un lato, dal fatto che “le riserve del nuovo vanno via via assottigliandosi”, mentre dall’altro, riprendendo le teorie di Marshall McLuhan, dalla presenza dei “mass media che hanno abbattuto le barriere dello spazio e della geografia, hanno contribuito in misura maggiore alla caduta di quelle del tempo e della storia rendendoci compresenti tutte le epoche e le maniere e le forme d’arte del passato”. La conclusione di Barilli è “la possibilità di volgersi indietro” e “ricominciare il viaggio, compiere un altro giro riattraversando le tappe più conosciute”, presupponendo in questo modo “la fine di una storia lineare e l’avvento di schemi di sviluppo ciclici”. Alla fine del decennio Anni Settanta, le esposizioni e le riflessioni critiche si fanno più numerose e diffuse: nel 1978, ad esempio, viene organizzata “Arte/ Storia dell’Arte”alla galleria Peccolo di Livorno, curata da Massimo Carboni, che poi, dedicherà al tema due dossier pubblicati sulla rivista G7 Studio, mentre a livello internazionale si evidenzia soprattutto con Art about art, svoltasi nello stesso anno al Whitney Museum di New York. Sebbene lungo tutto il corso del XX secolo si siano avvicendate molte correnti e personalità artistiche che, a vario titolo e con finalità diverse, hanno citato altre opere, è nel corso degli anni Sessanta e Settanta che si nota una particolare attenzione verso questo procedimento. Nel corso degli anni Settanta vari interventi critici, mostre nazionali e internazionali documentano puntualmente il fenomeno della citazione, rendendolo un tema dotato di autonomia. In Italia le manifestazioni più importanti, che testimoniano l’avvenuta storicizzazione, si articolano lungo tutto il decennio: se “Appunti per una tesi sul concetto di citazione sovrapposizione” organizzata da Tullio Catalano a Roma,allo studio Gap nel dicembre 1971 si segnala per la precocità, è soprattutto “La ripetizione differente curata da Renato Barilli nel 1974 a fornire una prima elaborazione critica più compiuta; e si svolse allo Studio Marconi di Milano. Oggi questa mostra degnissima di rilievo storico-critico, rifatta, inscenata alla Fondazione Marconi, fa il punto di cosa fosse Milano in quelli anni; motore, stella, traguardo, ricerca, bussola e molto altro.

 Carlo Franza

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