Shunga è l’immagine della primavera vestita di sesso. Shunga, l’arte erotica giapponese, è fiorito tra il 1600 e il 1900. E’ un termine giapponese che letteralmente significa “immagini della primavera”, dove la primavera è un eufemismo per indicare il sesso, e sono dipinti erotici, stampe e libri che sono stati utilizzati per stimolare le persone e per l’educazione dei giovani amanti. Shunga è una celebrazione del piacere che nulla ha a che vedere con ciò che la nostra cultura ha impresso nel nostro immaginario erotico; dipinti dove l’evidenza dell’atto demistifica la malizia che le sovrastrutture occidentali ci suggeriscono. La naturalezza che il piacere ha nella cultura giapponese minimizza le reticenze pudiche e si autocelebra nelle immagini dettagliate e serene degli Shunga. Linee morbide e colori brillanti, bellezza e sensualità, umorismo e umanità, caratterizzano una produzione che continua a ispirare le forme dell’arte giapponese moderna, dai tatuaggi alle anime(ovvero i cartoni amimati). Affascinanti e divertenti, gli Shunga sono stati spesso creati dai grandi maestri del “floating world”, come Utamaro e Hokusai. Realizzati generalmente in serie di dodici, come i mesi dell’anno, gli Shunga, tramite le immagini, promuovevano una visione positiva del piacere sessuale. Erano usati per abbellire le pareti di casa o per illustrare libri di contenuto erotico, tascabili e non. Shunga è il nome della mostra che il British Museum dedica a trecento anni di arte erotica giapponese: oltre 140 lavori tra dipinti, stampe, libri prodotti tra il 1600 e il 1900 dagli artisti della scuola Ukiyo-e, il “mondo fluttuante”, culminanti con alcune opere dei celebri Utamaro e Hokusai. Conosciuto col nome di “dipinti primaverili”, questo genere ha affascinato e ispirato artisti quali Toulouse-Lautrec e Picasso, oltre ad attirare spettatori in patria senza distinzioni di classe e genere, esattamente fino al bando imposto nel Ventesimo secolo dall’apertura culturale verso l’Occidente. L’esposizione si snocciola su otto sale, otto parti distinte introdotte da un breve testo che ripercorre la storia degli Shunga: dalla definizione, alla legalità di queste stampe (prima del 1722 erano prodotte liberamente, poi dichiarate illegali, ma raramente del tutto soppresse), a informazioni su chi le usava e come (per esempio, come guida per fare l’amore o per l’auto-stimolazione), fino all’ultima sala dove troviamo a confronto le pitture erotiche giapponesi e le immagini degli artisti moderni e contemporanei sui quali hanno avuto una particolare influenza. La mostra getta nuova luce su questa forma d’arte tabù all’interno della storia sociale e culturale giapponese. Gli Shunga non vivono di inibizioni né da atteggiamenti sessuofobici del cristianesimo o dell’islam, si presentano come un mondo fantastico di gioia sessuale goduto da entrambi i sessi, nè il peccato vi trova collocazione. Viceversa subentrano il piacere femminile, la tenerezza e la bellezza. Il genere erotico è continuato a fiorire in Giappone anche quando è stato ufficialmente vietato, molte opere sono state prodotte da alcuni degli artisti più illustri del paese. Il declino di Shunga alla fine del 19° secolo è attribuito all’arrivo di cultura e tecnologie occidentali, specie l’importazione di tecniche di fotoriproduzione. E d’altronde gli Shunga come avrebbero potuto competere con la fotografia erotica? L’influenza di Shunga in Giappone, invece, è ancora visibile nel manga, nelle anime, nell’arte del tatuaggio e altre forme culturali popolari. Dalla fine del XIX secolo, quando il Giappone ha aperto le sue porte al mondo esterno, gli artisti europei hanno scoperto una inedita, ricca e completa cultura delle arti visive. Le stampe traevano ispirazioni da temi vari come il paesaggio, la natura e le belle donne. Ma a queste si accompagna anche un genere diverso, lo shunga, espressione dei maestri dell’ukiyo-e, fonte di grande entusiasmo per artisti come Toulouse Lautrec, Beardsley e Picasso, il cui lavoro è stato spesso concentrato sull’intimità e la descrizione del piacere. I dipinti in mostra lasciano vedere accoppiamenti e orge, disvelamenti omosex, una scuola di sesso con mille posizioni, senza veli, in quanto la nudità rientrava nella normalità nella società giapponese, data l’assidua frequentazione di bagni comuni e terme. L’allestimento dell’esposizione è raffinatissimo con 140 opere raccolte attraverso quattro anni di ricerche, esibite in teche ai bordi e al centro delle stanze. Oltre alle stampe, si possono ammirare kimoni e abiti sontuosi, nonché un curioso set di sex toys dell’epoca.

Carlo Franza

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