La galleria Matteo Lampertico a Milano  dà con la mostra dell’artista milanese Vincenzo Agnetti (1926-1981) ampia luce a una delle figure capitali dell’arte italiana e internazionale. Realizzata in collaborazione con l’Archivio Agnetti  presenta un importante nucleo di opere, di qualità museale, provenienti da collezioni
private italiane mai state sul mercato, ma incluse nelle principali personali dell’artista, non ultima la recente retrospettiva al Mart di Rovereto
(2008). Le opere esposte documentano lo straordinario percorso artistico del maggior esponente italiano dell’arte concettuale.
Dopo il breve esordio nei primi anni cinquanta come pittore informale, Agnetti
sospende la pratica pittorica e inizia un’intensa attività di scrittore e teorico dell’arte: è il periodo dell’arte-no, in cui le sue intuizioni rimangono semplicemente abbozzate in scritti e quaderni che egli stesso intitola “Assenza”. Scritti che spesso accompagnano le mostre di Piero Manzoni, di Enrico Castellani e degli altri artisti che fanno capo alla rivista Azimuth e all’omonima galleria, attiva a Milano tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta. A questo movimento artistico è dedicata la mostra attualmente in corso alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia. Dopo un lungo soggiorno in Argentina (1962-1967), Agnetti ritorna a Milano e riprende sia la riflessione teorica sull’arte, con scritti dedicati all’opera di Melotti, Calderara, Arakawa e altri, sia la pratica artistica, esplorando le corrispondenze tra linguaggio verbale e linguaggio visivo e adottando la parola come elemento fondamentale della sua opera.

La sua intensa ma breve produzione artistica conosce da subito un riconoscimento internazionale con la presenza a esposizioni, da Documenta (Kassel 1972) a diverse edizioni della Biennale di Venezia, a fianco di altri artisti impegnati nella dematerializzazione dell’arte, come John Baldessari e Joseph Kosuth negli Stati Uniti, o Daniel Buren e Victor Burgin in Europa. La peculiarità della sua ricerca concettuale consiste in una vena lucida, provocatoria e spesso ironica che lo avvicina a Piero Manzoni. I lavori esposti sono chiarificatori del forte impegno intellettuale di Agnetti: emblematici della sua ricerca sono “Assioma” (1970) e “Sei villaggi differenti “(1974) che appartengono alla serie delle “Bacheliti”, in cui si leggono numeri, linee, frasi perentorie, tautologie, contraddizioni o paradossi, incisi su lastre nerissime, quasi lavagne.

Lo stesso procedimento, seppur con materiali diversi, si ritrova nei “Feltri”, dei quali sarà esposto uno degli esemplari più conosciuti, il celebre “Ritratto di attore” (1973) dedicato a Vittorio Gassman e originariamente nella sua collezione privata. Tra le opere più note di Agnetti presenti in mostra si segnala “Autotelefonata (yes)” del 1972, in cui in una sequenza fotografica l’artista porge le orecchie contemporaneamente a due cornette, che nell’ultima immagine comunicano direttamente tra loro, quasi a richiamare l’inutilità dell’individuo nel sistema di potere cui è asservito. Sono presenti in mostra anche altri capisaldi dell’opera di Agnetti, sicuramente meno conosciuti, ma non meno importanti, come “Tutta la storia dell’arte è in questi tre lavori” (1973), una riflessione sull’evoluzione dell’arte, e “Tavola di diario” (1973), legato al tema della memoria.

Infine non mancano alcune opere che appartengono all’ultimo periodo di attività
di Agnetti, le Photo-Graffie (1980), che testimoniano un recupero della manualità mediante l’incisione di segni astratti o floreali sulla superficie di pellicole fotografiche rese nere dall’esposizione alla luce.

Carlo Franza

Tag: , , , , , , ,