Il “Limbo” di Gohar Dashti. La fotografa iraniana, in mostra a Milano, con scatti memorabili di paesaggi e costumi della sua terra.
Alle Officine dell’Immagine di Milano fino al al 16 aprile 2016 è possibile vedere la seconda personale dedicata a Gohar Dashti (Ahvaz, Iran – 1980), la fotografa iraniana già ospitata nello spazio milanese nel 2013, in esclusiva italiana.
Curata da Silvia Cirelli, la mostra propone i recenti lavori di questa giovane e talentuosa interprete, un’artista che negli ultimi anni si è chiaramente distinta per una sempre maggiore attenzione internazionale. Protagonista in prestigiosi Musei come il Victoria and Albert Museum di Londra, il Mori Art Museum di Tokyo, il Museum of Fine Arts di Boston o la National Gallery of Arts di Washington, Gohar Dashti è diventata uno dei punti di riferimento del panorama artistico del Medio Oriente. In occasione della mostra milanese, il Florida Museum of Photographic Arts le dedica poi un’importante personale, nella quale saranno presentati proprio i suoi ultimi progetti.
Da sempre testimone del complesso tessuto sociale e culturale iraniano, Dashti si contraddistingue per una cifra stilistica di rara suggestione, capace di proiettare nella dimensione metaforica dell’arte la collisione di tratti distintivi apparentemente opposti: ironia e amarezza, incanto e sofferenza, severità ed evasione. La raffinatezza del suo linguaggio visivo, strettamente connesso a un’implicita connotazione autobiografica, si traduce in una simmetria creativa audace e incisiva, dove l’estetica dell’allegoria si scopre come costante elemento focale.
Il titolo dell’esposizione, “LIMBO”, prende spunto dall’ultimo progetto dell’artista, l’emblematica serie Stateless (2014-2015), presentata a Milano come nucleo centrale della mostra.
Realizzata in un remoto paesaggio desertico nell’isola di Qeshm, territorio iraniano che si affaccia sul Golfo Persico, la serie regala panorami incontaminati, dove una natura quasi prepotente incornicia scenari dal malinconico richiamo. Nonostante l’innegabile sublimazione del paesaggio circostante, i protagonisti degli scatti sembrano chiaramente abitare un luogo che non appartiene loro. Si riscoprono vulnerabili, davanti ad una strada che non riconoscono. E’ questo silenzioso senso di abbandono,la dolorosa separazione dalla propria terra, la propria storia e quindi la propria cultura, che hanno ispirato Gohar Dashti nella realizzazione di una delle sue serie più poetiche, di un capitolo senza precedenti, di scatti memorabili, di una storia del proprio paese carico di una cultura millenaria, un progetto che assorbe la sofferenza della difficile condizione di profugo ed esiliato, restituendo l’identità di una memoria a chi purtroppo – a causa di guerre, malattie o soprusi – è stato costretto ad abbandonarla.
L’evocazione di un paesaggio surreale in perfetto equilibrio – o volontario squilibrio – con la componente umana, è riconoscibile anche nella serie Iran, Untitled (2013) in cui l’artista si concentra sulla morfologia emozionale dell’individuo. Come gli evocativi haiku giapponesi, noti per la capacità di catturare un sentimento con l’utilizzo di un linguaggio sensoriale, così Gohar Dashti, con la potenza delle proprie fotografie, riesce a denudare la vulnerabilità umana, traducendo l’autentica essenzialità emotiva.
Di simile lirismo sono anche i trittici del progetto “Me, she and the others” (2009), nei quali, seppur si abbandoni il dialogo con la natura, rimane comunque il magnetismo di una confessione tanto privata quanto collettiva. Questa volta domina la questione femminile e il conseguente ruolo della donna nella cultura iraniana in tre differenti contesti sociali: al lavoro, nella propria casa e nella sfera pubblica.
Gohar Dashti è nata ad Ahvaz (Iran) nel 1980, attualmente vive e lavora fra Tehran (Iran) e Boston (USA). Laureata nel 2003 alla Fine Art University di Tehran, nel 2005 si è poi specializzata con un Master in Fotografia. Ha partecipato a numerose residenze d’artista e scholarship come DAAD award (2009-2011), Visiting Arts (1mile2 project), Bradford/London, UK (2009), International Arts & Artists (Art Bridge), Washington DC, USA (2008).
Al suo attivo ha numerose mostre sia in importanti Musei stranieri, come il Victoria and Albert Museum di Londra (2015), il Mart di Rovereto (2015), l’Australian Center for Photography di Sydney (2015), the Institut des Cultures d’Islam di Parigi (2015), il Sharjah Art Museum (2014), l’Hong Kong Art Center (2014), il Mori Art Museum di Tokyo (2013), il Fine Art Museum di Boston (2013), il National Taiwan Museum of Fine Art, o il Grimmuseum di Berlino; che partecipazioni a Festival e Biennali, come la recente Beijing Photo Biennial, Foto Istanbul (2014), l’Asian Art Biennial (2013), il Fotofestival di Oslo (2013), Le Printemps de Septembre Festival di Tolosa (2012) e il Photoquai di Parigi (2009).
Le sue opere fanno parte d’importanti collezioni pubbliche, come quelle del Victoria and Albert Museum, London; il Mori Art Museum, Tokyo; il Museum of Fine Art di Boston; la National Gallery of Art, Washington; il Getty Research Center, Los Angeles; l’Abu Dhabi Tourism & Culture Authority di Dubai e la Devi Art Foundation, Gurgaon (India).
Carlo Franza