Marisa Settembrini fra dècollages e poesia visuale in mostra a Milano nell’Ex-Studio di Piero Manzoni in Brera.
Preziosa, bella, colta, la mostra che Marisa Settembrini (classe 1955), artista italiana di rilievo internazionale, ha messo in piedi a Milano nell’Ex-Studio di Piero Manzoni in zona Brera, aperta fino al 15 marzo 2018. Nello storico studio dell’artista concettuale che innovò tutta l’arte contemporanea unitamente a Lucio Fontana, sulla storica “Parete Manzoni”, bianca, si legge tutta l’installazione di Marisa Settembrini, professoressa di Brera, che argomenta, come recita il titolo dell’esposizione “la partizione delle voce”, tutta una serie di opere, ben quarantotto, capaci di offrire fra dècollages e poesia visuale citazioni sulla storia, sulla vita, sull’esistere, sul corpo umano e soprattutto sul volto e la bellezza.
L’arte di Marisa Settembrini persegue la ricerca di un ideale millenario che la nostra civiltà ha sempre considerato una delle sue espressioni più alte, la bellezza tradotta da una certa concezione del corpo umano. Da Fidia e Prassitele a Rodin, passando da Michelangelo e Canova, eppoi verso taluni contemporanei come Mimmo Rotella e Jacques Villeglè, la sua pittura esprime, tramite la perfezione dell’architettura umana, la presenza del mistero. Le sue opere si snodano attorno alla riconquista di una forma di bellezza considerata desueta da taluni modernisti. Fin dai suoi esordi, negli anni Settanta, il lavoro della Settembrini si è mosso ai margini di correnti dominanti quale l’arte concettuale, l’arte minimalista o i diversi approcci dell’arte astratta. Ella può essere associata da una parte ai Nouveaux realistes per una affinità stilistica o generazionale per via degli strappi cartacei, i decollages, dall’altra alla Poesia Visiva o meglio alla Poesia Visuale. Poi quando negli anni Ottanta abbiamo assistito a un ritorno alla figurazione, alla rivalorizzazione del passato e della mitologia, scopriamo che la sua opera sfugge a precise tendenze e, per contrasto, rivela tutta la sua specificità. A prima vista l’opera sorprende per il suo sviluppo organico, per la sua apparente immobilità, per la sua costante epurazione, seminando nuove basi, aprendo nuove piste. Ecco spingere l’arbitrarietà del segno al punto di dissoluzione segnalato da Jameson, e cioè al punto in cui i significanti, lettere, numeri e così via, sono diventati letterali “liberati dal fardello dei loro significati”. La Settembrini attinge dal mondo classico e dal mondo contemporaneo i valori che insuffla nelle sue creazioni. La figura umana, o meglio quelle parti di volto e di sguardo, strappate, ritagliate, vere finestre visive, ne escono altamente valorizzate poiché portano in sé l’impronta dello sforzo per superarsi. Il suo sguardo, rispetto al passato, non è nostalgico bensì basato sulla scommessa di insufflare l’ideale di bellezza nell’ambiente quotidiano. La sua ricerca interroga l’atteggiamento modernista, il nostro rapporto con le fonti della nostra civiltà, il ponte che ci ricollega con il fondo comune dell’identità occidentale. La Settembrini pone in scena una teoria estetica ed etica del volto, ben ricordando le riflessioni di Emmanuel Lévinas. Di fronte al volto altrui l’io comprende l’alterità e la trascendenza dell’altra persona, in quanto dietro a quel volto si nasconde la vita intera di un essere umano che ha provato sensazioni, emozioni, che possiede ricordi e aspettative e sogni verso il futuro. E’ acclarato che il volto dimostra la sua grande evocatività filosofica e vedremo anche artistico-letteraria soprattutto perché si tratta della parte del nostro corpo più personale e più differente da individuo ad individuo. Esso viene scelto quale mediatore tra l’anima e il corpo. Nel volto non vi sono tracce del nostro vissuto, ma idealmente il volto è colui che ci fa comprendere i valori del rispetto di un’individualità differente dalla nostra. Tutto appartiene a una partizione delle voci “volto” e “sguardo”, voci, termini, che rimandano a quanto diceva G.A. Becquer: “L’anima può parlare con gli occhi e baciare con lo sguardo”. Il ruolo esistenziale del volto, la magia di esso, assume del tutto una dimensione che coinvolge il valore del ricordo che è stato caro a Marcel Proust come al poeta italiano Eugenio Montale del “Non recidere forbice quel volto”; il volto della donna amata, Clizia, una sorta di donna angelo venuta in terra per fornire un segno di una possibile donazione di senso al mondo. Così avvicinarsi al passato non può essere che un atto mutilato e frammentario. Queste piccole “finestre” che ricreano la superficie dell’opera sono decorazioni o forse i frammenti di un’altra opera? Ogni frammento rimanda a un’opera che ci sfugge nella sua totalità ma la cui probabile esistenza ci viene indicata dall’immaginario. In questo modo ogni frammento evoca altro e così via, all’infinito. L’uso della frammentazione e del collage è una pratica moderna, porta verosimilmente ad assemblaggi insoliti. Il gusto di fabbricare storie ci ricorda i romantici e la loro passione per le rovine, per le tracce delle intemperie e i segni del tempo trascorso. Ancora una volta ciò che è in ballo è il nostro rapporto sempre mutilato con il passato e la sua abilità di artefice. Il frammento rivela la mano e l’abilità dell’artista, non il talento aleatorio del tempo. “Con modernità intendo l’effimero, il fugace e il contingente” scriveva Charles Baudelaire nel 1863, “la metà dell’arte di cui l’altra metà è l’eterno e l’immutabile”.
Marisa Settembrini è nata a Gagliano del Capo (Lecce) nel 1955. Dopo aver frequentato l’Accademia di Brera e la Kunst Akademie di Monaco di Baviera, oggi è titolare della cattedra di Discipline Pittoriche al Liceo Artistico Statale di Brera a Milano, città dove vive e che alterna con i riposi nella cittadina salentina di Alessano nel capo di Leuca. La sua attività parte dal 1976 con l’invito alla mostra “La nuova figurazione italiana” al Palazzo dei Congressi di Roma, per conto della Quadriennale Romana. Numerose le mostre personali in Italia (Roma, Firenze, Alcamo, Lecce, Todi, Milano, Erice, San Vito Lo Capo, Pavia, Brescia, Sondrio, Loreto, Teglio, Mantova, ecc. ) e all’estero (New York, Monaco di Baviera, Berlino, Dusseldorf), e le partecipazioni a importanti rassegne. Ha vinto il Premio Lyceum per la grafica nel 1984. Negli ultimi anni Ottanta è stata presente a Milano, al Palazzo Sormani con una mostra di incisioni e nel 1991 il Comune le dedica una importante mostra nel Museo di Milano. Invitata alla VI e alla VII Triennale dell’incisione italiana e alla XXXII Biennale d’Arte di Milano con sei dipinti nella sezione del ritratto. Nel 1995, diciotto dipinti sul tema del Paradiso dantesco sono esposti all’Oratorio della Passione della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano e nello stesso anno, quarantasei opere sono esposte all’Università Bocconi. Vince, per la pittura, nel 1994 il Premio Cortina, nel 1995 il Premio Saint Vincent, nel 1996 il Premio Bormio e il Premio Milano, il Premio Turris Magna- Città di Tricase, il Premio delle Arti- Premio della Cultura, il Premium International Florence Seven Stars nel 2017, il Premio Artecom per la Cultura nel 2018 a Roma. Invitata nel dicembre 1997 alla V Biennale d’Arte di Cremona con tre grandi opere nella sezione del racconto, insieme a Tadini e Adami. Nel 1998 partecipa, su invito, alla mostra “Il giardino della ceramica” a Pietrasanta e alla mostra “Vergine, Madre, Regina” presso la Fondazione Mons. Bello. Sempre nel 1998 è invitata alla mostra “La soglia del silenzio” e nel 1999 alla mostra “Le stagioni della luce” nella galleria Lazzaro by Corsi di Milano, ambedue a cura del critico Carlo Franza. Presente in vari Musei stranieri (Berlino, Montreal, New York, Vaticano, Lugano, Bruxelles,ecc.) e italiani. Per questi ultimi vale ricordare le recenti acquisizioni al Civico Museo del Disegno di Iseo (BS), 1993; al M.I.M.A.C. (Museo Internazionale Mariano di Arte Contemporanea) presso la Fondazione Mons. A. Bello di Alessano (LE), 1998, alla Civica Raccolta di Arte Contemporanea di Ruffano (LE), 1998, e al Civico Museo all’Aperto della Scultura di Martano (Le) nel 2004 con la “Porta della Luna”. Negli ultimi anni che chiudono il Millennio si dedica ad un racconto ove la scrittura transita nella pittura, in un trittico di mostre milanesi (Blanchaert Antiquariato, Chiesa Antiquariato) che culminano nella Rotonda di San Carlo al Corso. Nel 2003 espone a Sondrio in Palazzo Martinengo, poi ad Alcamo dai Maestri Evola e a Roma al Centrale Ristotheatre; per poi essere nel 2004 a New York, ancora a Milano con una mostra promossa dalla Provincia nello Spazio Guicciardini e a Roma in Vaticano, chiamata da Giovanni Paolo II per l’esecuzione dell’opera mariana nella Cappella privata del Papa. Esegue per Giovanni Paolo II un grande ritratto, andato, dopo la sua morte, nella cattedrale della città natale del Pontefice in Polonia. Nel 2003 viene collocata una sua grande Croce nel Santuario di San Vito a San Vito Lo Capo in Sicilia. Nel 2011 viene invitata da Vittorio Sgarbi a partecipare alla 54ma Edizione della Biennale di Venezia. Nel 2017 una importante mostra personale si tiene a Berlino nella Sala Hoffmann del Plus Berlin, dal titolo”il giardino innevato”. Nel 2018 tiene una importante mostra personale a Milano nell’Ex-Studio di Piero Manzoni in Brera. Ha elaborato in coedizione con alcuni scrittori varie cartelle di grafica.E’ stata segnalata da Jean Pierre Jouvet nel Catalogo Comanducci n. 14 e da Domenico Montalto nel n. 27. Della sua arte hanno scritto critici e scrittori italiani e stranieri, da Argan a Carluccio, da A. Del Guercio a Fabiani, da Ferguson a Carlo Franza, da Guzzi a Montalto, dalla Muritti a Ponente, da Russoli a Sanesi, da Walter Schonenberg a Marco Valsecchi,e ancora Fulvio Papi.
Carlo Franza