La peste del Coronavirus stringe nella morsa l’Italia, l’Europa e il mondo intero. E’ una lotta  ìmpari. Gli Stati tutti in corsa a procacciarsi i vaccini, e taluni come l’Astrazeneca ci lasciano sgomenti e impauriti per ciò che producono. In questi ultimi giorni la somministrazione del vaccino Astrazeneca  ha provocato delle morti da nord a sud Italia, l’ultimo è di ieri sabato 13 marzo, un docente in provincia di Biella in Piemonte, Regione che ha così bloccato la somministrazione. Non si sa a che santo rivolgersi, ma vi assicuro che in parte la scienza ha fallito, visto gli svarioni dei virologi soprattutto italiani. Mi sono andato a riprendere dagli scaffali della mia libreria il romanzo “La peste” di Albert Camus, filosofo e giornalista francese, premio Nobel per la letteratura nel 1957.  Mi son detto, devo rileggerlo,  anche se avverto che  è  più una forma di autodifesa psicologica, considerato il periodo che da un anno a questa parte stiamo vivendo.  In questi giorni  vi è stata la  riedizione de “La Peste”(da Bompiani)  dello scrittore  francese  Albert Camus,  uno dei capolavori di uno dei maggiori esponenti della cultura del Novecento, e recensito in modo esemplare da Dario Roverato su “Strumenti Politici”.   Il romanzo descrive oggettivamente e quindi fa cronaca  vera, per il tramite del dottor Rieux, che, con disillusione dovuta ad una sorta di deformazione professionale, combatte con tenacia contro la peste che ha colpito Orano, una cittadina commerciale della costa algerina in cui “ci si annoia e ci si applica a contrarre delle abitudini” fino al giorno in cui le strade e le case vengono invase dai topi che portano la malattia. L’io narrante cede il passo ad un racconto in terza persona, tanto che solo alla fine si scoprirà che la voce narrante è il protagonista del racconto.  Provate a leggere  o  rileggere  -come sto facendo io- il romanzo, vi troverete calati in un mondo similare a quello che ormai stiamo vivendo da  dodici mesi  per via della Pamdemia Covid 19  che ha ammorbato l’intero mondo. Dal momento che il flagello non è a misura d’uomo – scrive Camus – pensiamo che sia irreale, soltanto un brutto sogno che passerà. Invece non sempre il flagello passa e, di brutto sogno in brutto sogno, sono gli uomini a passare”. Avvertirete gli stessi pensieri e gli stessi sentimenti che abbiamo vissuto nei primi mesi dello scorso anno, facendoci coraggio l’un l’altro, pensando che presto sarebbe passato tutto, tanto che il “rinascerai- rinascerò” di Roby Facchinetti,  da Bergamo inondava gli animi  e  ci faceva ben sperare, nonostante quella sorta di bombardamento di informazioni cui eravamo sottoposti, e l’incredulità di un virus mortale. Sentite cosa troviamo nel romanzo di Camus: Sembrava che i nostri concittadini avessero difficoltà a capire ciò che stava accadendo loro. Quasi tutti erano in primo luogo sensibili a ciò che interferiva con le loro abitudini o toccava i loro interessi. Nel complesso non erano spaventati, si scambiavano più battute che lamentele”. Nel romanzo di Camus  si legge che anche ad Orano le autorità si trovarono  completamente impreparate  a fronteggiare quell’onda lunga che stava per travolgere la città, tanto da assumere con ritardo ogni iniziativa di contenimento,  un po’ come avvenne da noi, in Italia. Proprio così. Ne provavano fastidio o irritazione, e non sono questi i sentimenti che è possibile contrapporre alla peste”, prosegue Camus. Anche ad Orano arrivarono i “bollettini dei morti”,  dati che hanno tristemente scandito il rintocco delle ore 18 per mesi anche da noi, soprattutto durante il primo lock-down.

Tutto avvenne senza consapevolezza e avvedutezza, tanto che non ci furono  più “destini individuali, ma una storia comune costituita dalla peste e sentimenti condivisi da tutti. La malattia, che in apparenza aveva costretto gli abitanti a una solidarietà da assediati, spezzava i legami comunitari tradizionali e abbandonava gli individui alla loro solitudine”. Anche noi ci siamo rinchiusi in casa  -anzi ci hanno rinchiuso  sia nel 2020 che ora nel 2021- , impauriti, infastiditi, non proprio consapevoli di cosa ci stesse   accadendo. Poi  la situazione è esplosa in tutta la sua gravità, con il dramma che ancora oggi entra nelle nostre case, e tabelle giornaliere  di numeri di ricoveri, terapie intensive e  morti. Esattamente come ad Orano, dove “i malati morivano lontano dalla famiglia e le veglie erano vietate”. Anche ad Orano “le bare cominciarono a scarseggiare, mancavano la tela per i sudari e lo spazio al cimitero. Ci si dovette ingegnare”. Ditemi voi se quanto scriveva Camus nel suo romanzo non è attualissimo. Più che attuale. E’ la nostra storia che si ripete come allora.  Prosegue Camus “Fu deciso di seppellirli di notte, il che dispensava da certi riguardi. Si poterono ammassare molti più corpi nelle ambulanze. Accadeva talora di imbattersi in lunghe ambulanze bianche che sfrecciavano. Il ricordo  ed delle fila di camion dei nostri militari carichi di bare chiuse in fretta e furia e portate nei forni crematori che erano ancora nelle condizioni di lavorare, è ancora nei nostri occhi. Il romanzo di Camus è forte, drammatico, vibrante, ossessivo, pur nel suo linguaggio semplice e avvincente.  Non è la prima volta che la peste si cala nel mondo, i secoli ce l’hanno indicata più volte,   presso i greci ad Atene (lo storico Tucidide dedica una sezione importante del II libro delle sue Storie all’irrompere della peste in Attica, nell’estate del secondo anno di guerra (430 a.C.) ,  fino a quella descritta da Boccaccio, e poi quella descritta da Manzoni nei “Promessi Sposi”, per citare alcuni eventi.    La peste rappresenta una metafora morale,  indica il male, dormiente, sempre in agguato, che risulta essere estremamente insidioso quando si esprime a livello di massa. La peste segna una tappa fondamentale in un percorso di maturazione del pensiero di Camus, riconducibile all’idea dell’assurdità dell’esistenza e del mondo, di fronte alle quali le consolazioni filosofiche e religiose risultano palliativi e mistificazioni; tesi in cui hanno dibattuto  altri grandi del pensiero occidentale, da Schopenhauer a Nietzsche fino a Bertand Russel, pur con diverse sfumature.

Proprio con “La peste”, Camus propone delle indicazioni, delle possibilità cui aggrapparsi, nel senso che l’uomo può superare la disperazione e la solitudine della propria condizione attraverso la rivolta lucida e cosciente contro l’assurdo, ovvero attraverso l’impegno e la solidarietà. E se   il protagonista, il dottor Rieux,  consciente  della gravità della situazione, resta al suo posto,  altre figure del romanzo decidono di impegnarsi e rischiare la propria vita nelle attività di soccorso ai malati; e Rambert, il giornalista rimasto bloccato ad Orano quando la città è stata posta in quarantena, escogita uno “stratagemma oneroso” per attraversare i posti di blocco,  e decide di restare e fornire il suo aiuto, perché ne ha “abbastanza della gente che muore per un’idea. Non credo nell’eroismo, so che è fin troppo facile e ho scoperto che uccide. A me interessa che gli uomini vivano e muoiano per ciò che amano”. Non mi pare sia poco.

Carlo Franza

 

 

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