“Eia, alalà. Viva l’amore” è un poemetto conviviale, dalla struttura metrica a rime baciate e intrecciate, composto da Gabriele d’Annunzio (1863-1938) probabilmente negli anni Novanta dell’Ottocento, forse primissimi del Novecento (la data è incerta, e il titolo è redazionale), durante una delle numerose occasioni in cui il Poeta si trovava in Abruzzo, tra Pescara o Francavilla. Il componimento rievoca una festosa cena (dopo aver mangiato anche il “Parrozzo” dolce abruzzese) a cui il giovane d’Annunzio avrebbe partecipato con amici e parenti. Il manoscritto del componimento comparve sul mercato un catalogo d’asta di Bloomsbury del 2009, poi acquistato e depositato negli Archivi del Vittoriale degli italiani di Gardone Riviera. Il testo completo fino a oggi è apparso pubblicato soltanto sulla rivista interna del Vittoriale.

Il volumetto edito da De Piante, illustre e preziosa casa editrice lombarda, porta alla ribalta un manoscritto autografo  di D’Annunzio in 28 fogli (nella misura 41,5×15,5 cm.), fogli di carta ingiallita, scritti con inchiostro scuro e numerose correzioni.
Il manoscritto ora pubblicato, non aveva titolo, ed è certamente un “poemetto giovanile”, perché così fu  presentato nel catalogo della casa d’aste Bloomsbury; potrebbe essere  “giovanile”  ma non proprio dello stesso periodo di “Primo vere”, composto e pubblicato dal liceale Gabriele nel 1879, a 16 anni,  e già  allora di squisita fattura letteraria  tant’è che impose il giovane D’Annunzio. Il componimento “Eja,alalà. Viva l’amore” oggi pubblicato, è databile fra il 1893 e il 1897, quando d’Annunzio ha per l’appunto 30-34 anni;  non aveva ancora scritto i suoi capolavori poetici, né  era un ragazzino, certo un giovane autore  ormai alla ribalta. “Il testo è di un interesse assoluto, perché contiene in nuce stilemi poetici, temi e topoi del d’Annunzio più maturo”, come ha scritto Annamaria Andreoli per il catalogo d’asta Bloomsbury. Il luogo dove questo «scherzo poetico» venne composto si pensa sia Francavilla in Abruzzo, e probabilmente venne declamato nel palazzo del barone Francesco Bonanni d’Ocre, a Fossa, in provincia dell’Aquila: un gioiello di bellezze artistiche e architettoniche purtroppo devastato dal terremoto del 2009. Fossa è relativamente lontana sia dalla circoscrizione di Ortona sia da Francavilla. Ma il palazzo del barone Bonanni era prediletto per gli incontri di artisti abruzzesi, fra cui il pittore Francesco Paolo Michetti, intimo di d’Annunzio. Ecco l’incipit: «A Francavilla / siamo venuti / per darvi un saggio / in tre minuti / (ci vuol coraggio) / della favilla / inestinguibile / immarcescibile / che in core ci arde». Il componimento è  stato chiaramente  scritto per un’occasione conviviale, piena di amici e parenti: citati,  ad  esempio, la sorella Anna con il marito Filippo, insieme a una sfilza di altri nomi abruzzesi e  certo testimoni dei legami del poeta con la sua terra d’origine.

Ha scritto Giordano Bruno Guerri: “ Agli appassionati di storia interesserà che compaia per la prima volta l’ “eja alalà”, grido di guerra e di esultanza degli antichi soldati greci che d’Annunzio trovò più consono all’anima latina del barbaro “hip hip hurrah!”. Nel poemetto viene usato in un modo giocoso: In alto i cuori! / Eja, alalà; / Passa – o Signori! – / la Nobiltà. Poi ne farà un uso molto più impegnativo. D’Annunzio lo aveva scoperto in Eschilo e in Pindaro, e finora si riteneva lo avesse usato per la prima volta nella tragedia La Nave (1907) e nella Fedra (1908). Lo usò ancora, urlandolo, nell’agosto del 1917, quando guidò tre raid notturni sulle basi austriache di Pola, e lo riscrisse nella Canzone del Quarnaro, del 1918. Poi il grido sarebbe stato adottato –come altre invenzioni di d’Annunzio, che se ne sdegnava– dagli squadristi fascisti: i quali ne fecero il grido della «violenza inutile» e del “castigo ingiusto”, come dichiarò il poeta nel 1921. Del resto né i fascisti, né tanto meno Mussolini, avrebbero mai usato la formula scelta da Gabriele per un suo discorso dal balcone, durante l’impresa di Fiume: “Viva l’Amore! Alalà!”. Esclamazione che diventa il titolo di un volumetto oggi uscito da De Piante.

Gabriele D’Annunzio (Pescara, 1863 – Gardone Riviera, 1938) è stato lo scrittore – e poeta, drammaturgo, militare, politico, giornalista e patriota italiano, eroe della Prima guerra mondiale – più celebre del suo tempo. La sua arte e la sua personalità furono così determinanti per la cultura di massa, che influenzarono usi e costumi nell’Italia dell’epoca: un periodo che più tardi sarebbe stato definito, appunto, annunzianesimo. Al termine della gloriosa impresa di Fiume, nel 1921 si ritirò in una villa a Gardone Riviera, sul lago di Garda (poi ribattezzata il Vittoriale degli Italiani), che ampliò e arredò come un mausoleo di ricordi della sua vita inimitabile e dove lavorò e visse fino alla morte.

Carlo Franza

 

 

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