Il 6 luglio 2022, a Roma, l’opera di Carlo Cecchi dal titolo “Rigenerazione” è stata presentata a un pubblico attento e qualificato nella Sala Italia dell’Unione delle Associazioni regionali (UnAR) in Roma, ad iniziativa dell’Associazione culturale Il Cenacolo di Tommaso Moro. Si tratta di una composizione di tre dipinti allineati su un asse verticale, che evoca e trasfigura i drammi della guerra e della pestilenza che affliggono il tempo presente. Alla base sta il dipinto “Sentinella cobalto” (70×100, 2019), una nave militare su sfondo nero, la cui missione foriera di morte appare stemperata da un suo ricordo d’infanzia che assume la forma di una colonna di bollicine, quelle della prima bibita gassata a lui offerta proprio da un marinaio americano. Nel mezzo il dipinto “Soffio deserto alto” (100×140,2021), la raffigurazione di un deserto nel quale sembrano sbocciare soffioni vitali, e una testa di giraffa fuoriesce da un campo grigio forse esplorando possibilità di sopravvivenza. Alla sommità, il quadro “Ogni volta” (18×24, 2021) che ripropone trasfigurata, con citazioni giottesche, la rinascita della luce dopo ogni tragedia umana. Dal nero fondale marino alla irradiazione di luce, Cecchi ripropone il processo eterno di rigenerazione, in un linguaggio privo di enfasi e lontano da ogni conformismo, ma proprio per questo carico di autentica speranza.

Della composizione di Cecchi dei suoi significati hanno discusso, in dialogo con l’Artista, Michele Ainis, costituzionalista e scrittore, attualmente componente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato; Antonio Casu, già Bibliotecario della Camera dei deputati e Presidente del Cenacolo; e Paola Pallotta, critica dell’arte.

A suo tempo del lavoro di Carlo Cecchi avevamo scritto: “Il lavoro di Carlo Cecchi condivide l’avventura dell’arte moderna che tende a “inventare” laddove nel passato tendeva a “riconoscere”.  Lampi tra biografia e pittura, tra realtà e immaginazione. Possono sembrare immagini indistinte, invece sono immagini cariche di allusioni, di sottili colorazioni; perché Cecchi ha tratto lo spostamento   radicale dei termini della propria riflessione da un rapporto tutto sommato ancora di interpretazione e di analisi, quantunque deformata dall’emozione, dal dato visibile all’introspezione e conseguente proiezione del proprio inconscio. La continuità di queste immagini figurali emergono distintamente, pur con estrema e rattenuta cautela linguistica che nel ripercorrere le linee di forza di impressioni, visionarie ma delicatissime, non precludono l’approccio lirico al motivo. Avevo già scritto che Carlo Cecchi “ricostruisce il racconto della sua vita a un livello inconscio materializzando l’atto della memoria in termini estetici” e ciò  è la cifra di una mimesi e di un rapporto con la natura, inconoscibile immanenza del mistero dell’esistente, attraverso il filtro della memoria, condizione ultima concessa alla contemporaneità per un aggancio sulle cose, per il formarsi di un’immagine che sia vera.”

Carlo Franza

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