Un pubblico colto, curioso e selezionato, ha invaso i grandi e aperti spazi del Circolo degli Esteri a Roma. Erano lì per “MONDI” un progetto appositamente ideato per il Circolo Esteri del Ministero Affari Esteri di Roma nel ventennale della Collezione Farnesina di Arte Contemporanea, per una mostra -l’ottava del progetto- dell’artista Marisa Zattini. Nella bellissima sala della prestigiosa sede romana, a tagliare il nastro inaugurale, oltre al sottoscritto  curatore della mostra dal titolo “Alberi-La prosa del mondo- a dare il benvenuto  anche la Ministra Plenipotenziaria del Ministero degli Esteri e Vicepresidente  del Circolo Esteri Laura Carpini che si è complimentata per l’alto profilo delle mostre messe in atto fino ad oggi e maggiormente per quella che si accingeva ad inaugurare, e a seguire gli interventi sia dell’ illustrissimo Ambasciatore Gaetano Cortese già conosciuto per la bellissima Collana di Libri dell’Editore Colombo di Roma sulle Ambasciate Italiane nel mondo, che dell’Ambasciatore Umberto Vattani, intellettuale politico come pochi per essere stato non solo per ben due mandati Segretario Generale della Farnesina, ma ideatore e propositore della Collezione Farnesina,   che ha tenuto una vera e propria lectio magistralis sull’albero nella storia del mondo.  Il mio intervento fortemente specialistico ha toccato l’innesto di questo capitolo della Marisa Zattini con la storia dell’arte del Secondo Novecento, e soprattutto l’arte povera, l’arte concettuale e la land art.  Con “MONDI” (2020-2021-2022-2023) infatti si porgono dodici mostre personali di dodici artisti contemporanei, molti  di chiara fama. Questa mostra dal titolo “La prosa del mondo” è la ottava del percorso, ed è già una novità in quanto si veicolano a Roma nomi dell’arte contemporanea di significativo rilievo, che evidenziano e mettono in luce gli svolgimenti più intriganti del fare arte nel terzo millennio. L’esposizione  da me curata come Storico dell’Arte Moderna e Contemporanea,   che  ho firmato  anche il testo in catalogo dal titolo “La prosa del mondo”, riunisce una serie di opere dell’artista Marisa Zattini, già apparsa agli occhi della critica italiana e internazionale come una figura delle più interessanti e propositive dell’arte contemporanea, e ricordata come chiara e significante interprete. Alla mostra inaugurale erano presenti notabili illustri della Capitale, Architetti, Giornalisti, Economisti, Industriali,  Ambasciatori, Diplomatici come Enrico Vattani figlio dell’Ambasciatore Umberto Vattani, le Ambasciatrici Isabella Vattani e Sidsel Hover, le Artiste Professoresse Marisa Settembrini ed Eugenia Serafini, l’Archeologo Nicolò Brancato,  il dottor Sandro Sbarro dell’Ufficio Legale della Sede Centrale dell’Ufficio delle Entrate, l’ingegnere Dino Sbarro delle Ferrovie dello Stato e tantissime altre personalità. Dopo gli interventi delle personalità che hanno aperto la mostra, a seguire un concerto tenuto dalla pianista Gaia Vazzoler.   E veniamo alla mostra: Pietre, rocce, sassi, alberi, sono gli infiniti purissimi frammenti del bello. Dall’antichità ai nostri giorni, filosofi, storici dell’arte, poeti, pittori, scultori, artisti, hanno raccontato il proprio stupore, l’incantamento di fronte all’universo della bellezza naturale. Marguerite Yourcenar rinviene una parva poetica degli elementi, tesa a decifrare i segni misteriosi nascosti nell’aria, nell’acqua, nella luce, nei colori, negli alberi; e se il colore è l’espressione di una virtù nascosta, un triangolo nudo che punta  verso l’alto  è il segno ermetico dell’aria;  così infatti osserva la scrittrice: “nei giorni di quiete, la piramide dell’albero si sostiene  nell’aria in perfetto equilibrio. Nei giorni di vento i rami agitati accentuano l’inizio di un volo”. E tra suggestioni cosmologiche  e arcaiche presenze naturalistiche, Marisa Zattini muove tra “arte povera” e “arte concettuale” e anche “land art”,   installazioni  cariche di fenomenologia dei segni, mirabili artifici della natura rerum, una filosofia della natura  tesa a indagare  e a decifrare l’enigma delle geometrie, dei disegni, dei giochi luminosi; persino il taglio dell’albero, del tronco, nella sua ostensione lamellare  su cui è poi incisa a fuoco la lettera dell’alfabeto ebraico, si  mostra  come mondo delle cose sensibili, oggetto di straordinaria bellezza e rara intensità poetica. Nel cammino della conoscenza intersoggettiva e concettuale, ed anche generale e astratta, si avvia quella che hegelianamente parlando chiamiamo “la prosa del mondo”. L’uso della parola e la sua composizione alfabetica, muovono invocazione e preghiera, attraverso formule rimico-musicali, ove la natura del ritmo è sia memoriale che magica, ed anche l’alfabeto ebraico partecipa di quest’aura che investe la parola, in quanto la scrittura alfabetica ha favorito la nascita della filosofia e della scienza. La nostra epoca è decisamente postmoderna, anzi epoca di postmodernità avanzata, visto che molti filosofi ed esteti già parlano di nuovi orizzonti che purtroppo sono ancora non vivibili. Molti sono gli artisti in ogni ambito linguistico a trasferire la propria ansietas al riparo sotto l’ombrello protettivo della memoria. E allora “creazione” o “ricreazione”? Il concetto di ricreazione è decisamente rapportabile al livello di creazione possibile in un’epoca come la nostra, segnata in primis dal primato della finanza e dall’influenza globalizzante di ogni fenomeno sociale, economico, politico e religioso. La “ricreazione” diventa il parametro di una creatività consapevole della impossibile frontalità col mondo attuale, nel senso che l’artista non descrive più la sua epoca, la storia del suo tempo, ma volge stoicamente il pensiero e la creatività protesa verso una “ricreazione” come necessaria funzione di testimonianza e perenne domanda. Dico questo perché da ciò si può partire per leggere l’arte contemporanea del terzo millennio. Tornando al nostro tema e per significare il titolo della mostra di  Marisa Zattini voglio citare una frase di Rabindranath Tagore: “gli alberi sono lo sforzo infinito della terra per parlare al cielo in ascolto”. L’albero, il mondo naturale, il “de rerum natura” di Lucrezio si definiscono in un mondo ricreato attraverso la pittura, la scultura e ogni altra forma, utilizzando quel linguaggio universale, presente nel cuore e nella mente. L’albero è fonte di vita, simbolo della natura in movimento, sale al cielo, e nella forma verticale accende l’idea di cosmo vivente, mette in relazione i tre livelli naturalistici, ossia le radici, il tronco e i rami con le foglie che fanno la chioma. Le radici affondano nel sottosuolo, sono nascita e sostegno vitale, il tronco esprime fermezza e robustezza, i rami con le ramificazioni geometriche muovono essenza e potenza. I quattro elementi del mondo vivono nell’albero, l’acqua che fluisce con la linfa, la terra che trattiene le radici, l’aria che nutre e alimenta le foglie, il fuoco che si sprigiona dalla materia lignea. Testi sacri e mitologie ci parlano di alberi, dall’albero dell’Eden all’albero della vita, dall’albero genealogico all’albero degli ulivi che attorniavano Cristo nell’orto del Getsemani, dall’Albero della Croce agli alberi cedri del Libano, dall’Albero dell’Arca di Noè all’Albero del sapere, dall’Albero del bene e del male all’Albero dei simboli, dall’albero dei pomi d’oro nel giardino delle Esperidi all’albero sefirotico della Cabala, senza dimenticare che Platone osservava che l’uomo stesso è “arbor inversa” e cioè le radici sono i capelli, i rami le braccia, poiché è piantato nei cieli. L’albero nasce cresce e muore. Nell’arte moderna l’albero è fonte iconografica dalle forme plurime, dall’albero di Van Gogh all’albero della vita di Klimt, dalle stilizzazioni di Klee a Mondrian con l’albero rosso; certo numerosi sono stati gli artisti del contemporaneo a rappresentare l’albero. Oggi è la volta di Marisa Zattini dopo l’affondo nello spirito dell’arte povera degli anni Settanta, nella cerchia che coinvolse Boetti, Fabro, Kounellis, Paolini e Pascali, Prini, Ceroli e Merz, Piacentino, Pistoletto e Zorio.   Il lavoro intenso della Zattini è qualcosa che scalda il cuore e la mente; ci sono momenti in cui si avrà l’impressione di contemplare la vera Bellezza, quella con l’iniziale maiuscola, e addirittura si sentirà il bisogno di fermarsi nell’osservare, per non sciupare quel momento, per non sovraccaricarlo di nuove emozioni. Marisa Zattini va oltre il manufatto, si porta al di là delle apparenze, mostra nel linguaggio alfabetico il dicibile e l’indicibile, il mistero del linguaggio e dei mondi, i labirinti in cui il linguaggio si nasconde. L’albero diventa corpo-cosa, corpo vivente, l’alfabeto porta la parola a rigermoglio, nel silenzio che l’avvolge, pur con le sue possibili oscillazioni semantiche, dall’angoscia alla tristezza, dalle ceneri della disperazione alle braci della speranza, dalla sofferenza alla contemplazione mistica. Un travaglio “concettuale” non comune, assoluto, dove la natura stessa -misterioso processo di osmosi- trasferisce in noi l’immagine aurorale del suo gioco creativo. Per questo ella è artifex, perchè prende insieme il simbolo che unisce gli opposti, la materia alla quale si parla, in quanto -a detta di Bachelard- “per le cose, come per le anime, il mistero è all’interno. Una reverie di intimità si apre per chi entra nei misteri della materia”. “Vidi nell’Aleph la terra e nella terra di nuovo l’Aleph e nell’Aleph la terra, vidi il mio volto e le mie viscere, vidi il tuo volto, e provai vertigine e piansi, perché i miei occhi avevano visto l’oggetto segreto e supposto, il cui nome usurpano gli uomini, ma che nessun uomo ha mai contemplato: l’inconcepibile universo”, parole di Borges. Aleph è una summa perfetta di quello che è Borges. Eppure non è un punto di arrivo, bensì di partenza. D’altra parte lo suggerisce l’autore stesso: aleph è la prima lettera dell’alfabeto ebraico, quella che simboleggia Dio e la complessità dell’universo. Impossibile comprenderli nella loro interezza, come sempre inafferrabile rimarrà l’opera di Borges. Ma per chi vuole tentare l’impresa impossibile il punto di partenza è questo: aleph. Possiamo aggiungere che ogni linguaggio è un alfabeto di simboli il cui uso presuppone un passato su come trasmettere agli altri l’infinito Aleph. Borges vede anche oltre la sua stessa cecità in questa prima lettera dell’alfabeto fenicio come anche nella prima lettera dell’alfabeto ebraico e che corrisponde al greco alfa e all’arabo alif e che sono all’origine della A latina, vede l’inconcepibile universo, dove tempi e spazi, segni e codici, lingue e parole, si confondono e si distinguono in una fantastica visione labirinticamente infinita. Alberi, alfabeti, configurazioni, altari del mondo, l’idea del frammento legata a spazio e tempo, la bellezza velata, svelamento della luce e delle ombre, profondità di simboli e parole, luoghi e naufragi, ascesa e declino, linguaggi radicali sospesi fra musica e silenzi, poesia e verità, tutto irrompe in questo suo percorso che da anni la motiva; Marisa Zattini sembra condurci verso una “terra promessa”.

Carlo Franza

 

 

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