Piero Guccione e il paesaggio di luce e mistero, in mostra al Padiglione Arte Contemporanea di Ferrara.
“Un quadro di Guccione dà il senso dell’amore, della poesia: l’occhio vi si posa e vi indugia come su qualcosa di raro, di ricreante, che ancora ci fa sentire valida, autentica, l’equazione bellezza-verità” (Leonardo Sciascia, 1985).
A poco più di cinquant’anni dall’ultima mostra ferrarese dedicata a Piero Guccione, organizzata nel 1971 da Franco Farina al Centro Attività Visive di Palazzo dei Diamanti, Ferrara torna ad omaggiare questo grande maestro del Novecento che, come ha scritto il collega Vittorio Sgarbi, “dopo la morte di Fontana, Gnoli e Burri ha rappresentato la sintesi suprema di pittura figurativa e astratta” in Italia.
L’esposizione, organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dal Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara in collaborazione con Il Cigno Arte e l’Archivio Piero Guccione, ripercorre cronologicamente l’intera produzione dell’artista presentando al pubblico oltre settanta opere tra dipinti e pastelli suddivisi in due capitoli: gli anni a Roma (1957-1972) e il ritorno in Sicilia (1970-2014).
Il percorso espositivo, allestito al Padiglione d’Arte Contemporanea, mette a fuoco i temi prediletti dal pittore: dal rapporto fra il paesaggio urbano e la natura, alle poetiche e delicate variazioni sul tema del mare e del cielo, passando per gli omaggi ai grandi maestri del passato.
Piero Guccione nasce il 5 maggio 1935 a Scicli in provincia di Ragusa. Dopo il diploma all’Istituto d’arte di Catania, nel 1954 si trasferisce a Roma, dove frequenta i pittori neorealisti, guardando sia a Renzo Vespignani, con il quale condivide la militanza nel gruppo Il Pro e il Contro – insieme ad Attardi, Calabria, Guerreschi, Gianquinto, Farulli, Ferroni, i critici Micacchi, Del Guercio, Morosini – sia a Renato Guttuso, di cui è assistente all’Accademia, ma del quale non condivide le inclinazioni espressioniste. Nel fermento dell’ambiente romano prende avvio la sua ricerca artistica e formale e nascono i paesaggi urbani, quali i Balconi, i Giardini e Interni-esterni: opere caratterizzate da un taglio innovativo e tratte da una quotidianità comune e intima in cui riecheggiano rimandi a Cézanne, Bonnard, Morandi, solo per citarne alcuni.
Alla fine degli anni Sessanta, con il ciclo delle Attese, lo spazio si fa più metafisico e hopperiano e a partire dal decennio successivo, con il rientro definitivo in Sicilia, comincia a dipingere il mare cercando di coglierne le infinite vibrazioni e variazioni. In queste opere porta la propria ricerca ai limiti dell’astrazione restando, tuttavia, ben ancorato alla realtà. «Mi attira la sua assoluta immobilità, che però è costantemente in movimento», amava ripetere l’artista che ammirava quotidianamente quel paesaggio mediterraneo fino alla linea dell’orizzonte.
Parallelamente, lavora anche ai cicli dedicati all’albero di carrubo e ai monti Iblei, realizzati con la tecnica del pastello mentre, con la serie dei d’après, si confronta con alcuni celebri capolavori di, fra gli altri, Masaccio, Signorelli, Michelangelo, Giorgione, Caravaggio, Vermeer, Chardin, Friedrich, Bacon. Un personale omaggio ai grandi campioni della pittura di tutti tempi, novero nel quale, a buon diritto, può essere inserito anche Piero Guccione che si spegne il 6 ottobre del 2018 nell’amata casa-studio di Quartarella nella campagna modicana.
Questa mostra è un’occasione imperdibile per contemplare da vicino la delicatezza, il silenzioso lirismo, l’intensità e la bellezza dei dipinti dell’artista siciliano. Per dirla con le parole di Guccione: «I tempi attuali certo non inducono alla bellezza. E ciò vale pure per l’arte. Oggi si privilegiano la bruttezza, l’arroganza, l’orrore persino. Io invece cerco di dipingere la bellezza: e non mi importa nulla di essere moderno o no. Essere giudicato non in linea con la modernità mi è del tutto indifferente».
Carlo Franza