Le lettere di Biagio Marin a Pier Paolo Pasolini. “I chiaroscuri di un affetto vero” è il libro prezioso di Pericle Camuffo.
Le lettere di Pier Paolo Pasolini a Biagio Marin erano state pubblicate da tempo, viceversa, del carteggio erano rimaste inedite quelle del poeta gradese, erano ben 97 e si possono ora leggere nel volume Biagio Marin, “I chiaroscuri di un affetto vero”, un prezioso volume uscito sul fine del 2022. Lettere a Pier Paolo Pasolini 1952-1969 (Edizioni Marco Petrini pp. 194, euro 20), con la cura e l’attenta Introduzione di Pericle Camuffo, mostrano un rapporto iniziato nel 1951, quando il poeta sessantenne Biagio Marin poteva vedere finalmente stampati dall’editore Del Bianco di Udine i suoi “Canti de l’Isola”. Non ci fu nell’Italia del tempo grande attenzione all’uscita di questo libretto se non l’attestazione inaspettata del giovane Pier Paolo Pasolini in un articolo uscito a sua firma sul “Popolo di Roma” che coglieva la sua poesia e la sua anima “immerse nel non tempo del mare” e l’immagine del suo mondo poetico quale “isola”. Non era poco. Nel tempo s’è visto come siano state molte le diversità, visibili anche dalla corrispondenza, perché la vivacità interiore e intellettuale di Pasolini è stata sempre distante dal mondo veneziano e lagunare di Marin, fermo in un quadro di mare pur con sfumature di colori, profumi e suoni; ma in sottofondo si respira una sintonia di appartenenza al mondo della poesia, e un vestito di umanità: “Siamo tanto diversi, – scrive Marin a Pasolini il 24 maggio 1963 – eppure abbiamo in comune delle note, degli accordi fondamentali. Tu sei stato il primo a capirmi, e io ho capito te con tutta la mia anima”. Nonostante questa intermittenza di coni d’ombra e di disagio, Biagio Marin è convinto che il tempo ci renderà Pasolini “libero della sua morte”, e come per purificazione egli verrà restituito al mondo nella sua intera bellezza ormai priva di “scandalo”. “Verrà il tempo” – annota sul diario il 17 gennaio 1977 – in cui le sue analisi “sulla nostra attuale realtà, verranno giudicate esemplari ed espressione di una grande anima, di un grande spirito”. E ciò è ancor più vero oggi con questa distanza storica. Pasolini, con le sue poesie in dialetto friulano a Casarsa aveva percepito la vitalità del dialetto, e quindi per Marin era diventato punto di riferimento, anche per i numerosi contatti procuratigli con intellettuali, scrittori ed editori italiani, tra cui Vanni Scheiwiller; fu questi a pubblicargli nel 1961 l’antologia Solitàe, curata dal poeta friulano. Le lettere di Marin, spesso lunghe, cui seguivano e le sintetiche risposte di Pasolini evidenziano dimostrano la familiarità tra i due e l’affetto che li legava; anche se i due avevano poetiche ben diverse, un respiro singolare solo a loro, equidistante.
Per Pasolini il linguaggio poetico di Marin, aveva un “sapore di provincia un po’ chiusa” pur tra colori e parole, svelando via via una sorta di canzoniere minimo, ristretto, talvolta monotono, ripetitivo, e puntava il dito sulla “strettezza di prospettive”, tanto che l’isola mostrava un naufrago un po’ sperduto, tranne che nella raccolta Minudagia. Ecco Pasolini in una lettera del 1 dicembre 1952: “Caro Marin, (scusi il pezzo di carta su cui le scrivo, ma mi sono trovato improvvisamente sprovvisto di carta ad hoc, e non mi va di scendere dal tabaccaio). La sua lettera mi è riuscita assai cara, e mi ha commosso. Per quanto sta in me, la incito a non disperare: i critici verranno, e intanto stia certo che la sua è una delle più delicate poesie del Novecento dialettale. Lei lavori sulla linea di “Minudagia”, che dovrà essere la sezione centrale della sua ideale antologia di poesia, contrapposta alla non-poesia che è coloristico-ambientale. Spero molto che la mia Antologia (che dovrebbe uscire entro Natale) le sia di conforto e di sprone. Quanto a “Il Belli” (così si chiamerà la nostra rivistina) è bimensile: come vede, quindi, il sacrificio finanziario non è poi gravissimo. Inoltre lei, lì a Grado o a Trieste, può procurarsi qualche abbonamento (e tenere per sé – senza magari bisogno di dirlo agli abbonati – i soldi: così faremo anche noi, avendo ciascuno diritto a una ventina di copie. Quanto alla distribuzione gratuita di copie a intenditori, specialisti, critici e in genere letterati – un trecento, circa – ci penseremo Dell’Arco e io). Intanto risponda subito (il più brevemente possibile) alle domande di questa inchiestina che le accludo: e mi mandi qualche “minudagia”. Tanti cordiali saluti dal suo Pier Paolo Pasolini”. In talune lettere emerge la diversità della vita e della violenza nel suo significato, percepita da Marin in quella scelta di trovarsi sul fronte italiano per la prima guerra mondiale, a motivo dell’infanzia trascorsa “nei vasti orizzonti di mare e di cielo” e per Pasolini vissuta invece nel suo corpo e nella sua carne, a motivo di un erotismo sussultante di cui è intrisa la sua poesia. Le lettere mostrano ancora il tamburellare di Marin che, incerto del valore della sua poesia, scriveva a Pasolini chiedendogli giudizi schietti, insicuro sul valore della propria poesia, porgendogli quel bisogno di avere riconoscimenti critici e non solo, lamentando anche l’esclusione dalla partecipazione a importanti premi letterari. Vita e politica e politica e vita si percepiscono in un andirivieni tra i due poeti, a motivo di una formazione diversa; alla fine del primo conflitto Biagio Marin completò gli studi di filosofia all’Università La Sapienza di Roma dove si laureò con Varisco, e non con Gentile, pur assorbendone l’idealismo crociano, a differenza di Pasolini che invece misurò la sua vita intera tra marxismo e omosessualità, tra l’essere figlio fedele del comunismo e una “sregolata vita sessuale” come la definì l’amico Marin.
Il libro di Pericle Camuffo, studioso insigne, non è solo prezioso e preziosissimo, perché documento valoriale che serve a meglio studiare il rapporto intenso che negli anni si stabilì fra i due poeti, ma oltre a raccogliere queste lettere, aggiunge in appendice al volume documenti e carte private, insieme agli scritti di Pasolini su Marin e ai giudizi di Marin su Pasolini in un’intervista “ufficiale” curata da Renzo Sanson. Nelle lettere non troviamo i giudizi di sospensione di Marin per le scelte di un Pasolini attratto da altri orizzonti, politici, cinematografici, giornalistici, specie negli anni Sessanta/Settanta ecc.; giudizi che appaiono invece nei diari.
Sorprende tutti che nell’ultima lettera, datata 16 settembre 1969, Biagio Marin è manifestatamente felice di sapere che la sua prossima silloge “La vita xe fiama” in uscita da Einaudi(1972), ha la prefazione di Pasolini; e il Pasolini critico gli riconoscerà ancora una volta il valore sostanziale dei suoi versi che pur memori dei temi dell’isola, sono divenuti certo simboli forti, in “uno stupendo materiale eterno, una pietra, l’oro” come scrisse nell’introduzione. Un giudizio alto, magistrale, una lezione di poesia i cui versi erano ormai divenuti patrimonio del mondo. E quando il suo amico Pasolini morì scrisse di getto “El critoleo del corpo fracasao dedicato a Pasolini (1976), un poema di tredici densi, luminosi componimenti in quartine rimate, la memoria del poeta assassinato che viene restituita al dolce paesaggio della terra friulana. E’ stato così che con la morte di Pasolini i fraterni amici si sono ritrovati, Pasolini e Marin hanno sempre avuto in comune le loro due “isole”, i loro dialetti, di Casarsa e Grado, la poesia è stato per loro un amalgama insostituibile, sacro ed anche eterno.
Carlo Franza