Nel centenario della nascita, Siena tributa un omaggio a Italo Calvino attraverso una mostra dello scultore Fausto Melotti, proprio in quei luoghi in cui nel settembre 1985 scomparve il famoso scrittore: l’allora Ospedale Santa Maria della Scala, oggi complesso museale nel cuore della città del Palio.

L’esposizione, visitabile fino al 7 aprile 2024 curata da Michela Eremita e voluta dalla Fondazione Antico Ospedale Santa Maria della Scala con il supporto della Fondazione Fausto Melotti di Milano, ha l’obiettivo di valorizzare l’affinità culturale ed estetica dei due amici, entrambi noti per gli equilibri, all’apparenza impossibili, in bilico tra il visibile e l’invisibile e per essere indiscussi protagonisti della scena artistica e culturale nazionale ed internazionale.

Il rapporto tra Fausto Melotti (Rovereto 1901- Milano 1986) e Italo Calvino (Santiago de Las Vegas de La Habana,1923 – Siena, 1985) è stato intenso e ricco di scambi reciproci, sia intellettuali che umani, accennati da Italo Calvino nelle pagine de Le Città Invisibili: “C’è stato un momento in cui dopo aver conosciuto lo scultore Fausto Melotti, uno dei primi astrattisti italiani, (…) mi veniva da scrivere città sottili come le sue sculture: città sui trampoli, città a ragnatela”.

La mostra in particolare fa riferimento alle opere diventate immagine dei libri di Calvino per la riedizione dei suoi scritti nella collana Oscar Mondadori, avvenuta negli anni 2000.
Il percorso espositivo si snoda tra 22 sculture di varie dimensioni e molti disegni, abbracciando un periodo che va dal 1935 al 1985. Le sculture come Costante uomo del 1936, Il viaggio (1961) e Contrappunto libero (1972) paleseranno plasticamente le parole di Italo Calvino, ma nel contempo renderanno omaggio a Fausto Melotti, uno degli artisti più importanti del Novecento, connotato dalla imponderabile leggerezza, base della sua ricerca artistica.

La prima sala dà visione al rapporto tra lo scrittore e lo scultore, proponendo una panoramica dei libri di Calvino con le opere di Melotti in copertina e la presentazione di due opere, Le scale del 1975 e Gli Effimeri del 1981, che plasticamente palesano le parole scritte da Calvino per lui.  La seconda sala, con I Dioscuri del 1969, introduce il mito, una tematica molto cara a Fausto Melotti e conduce verso la terza sezione dove sono esposte le opere realizzate dal 1935 al 1985, permettendo così una visione completa del suo lavoro. Nella terza sala il percorso dell’artista attraverso venti sculture, alcune opere su carta e disegni. Uno specifico approfondimento è dedicato agli alfabeti, elementi fondanti della scrittura, di nuovo esposti dopo molti anni. Con efficacia riportano sulla carta i tratti distintivi dell’artista permettendo allo sguardo del visitatore di osservare esiti formali più analitici o, al contrario, più sintetici. Il segno tracciato nello spazio del foglio è identico al segno dell’opera scultorea che nell’aria trova la propria dimensione. Per ogni formula espressiva la regola compositiva è data dall’armonia creata dal ritmo impresso tra il pieno e il vuoto. E così ritornano le parole di Italo Calvino che scrive: “L’importante è non aspettarsi di raggiungere un al di là ma un al di qua” (I segni alti); uno spazio in cui le prospettive si azzerano per far convivere gioiosamente le assenze con le presenze. Si aggiungono al percorso cinque opere su carta dedicate a Lucio Fontana che costituiscono una parentesi importante perché Melotti stabilì con l’artista un rapporto di amicizia e stima che durò per quanto la vita lo consentì. La mostra si conclude sui linguaggi che Fausto Melotti coltivò al pari della scultura, vale a dire  la musica e la scrittura. Della sua esperienza in conservatorio restano degli spartiti. Il rapporto tra musica e scultura è intimo. Espressivi in tal senso sono certamente alcuni disegni che traccia sul pentagramma da cui poi si eleveranno le sculture. Oltre la musica, la scrittura (poesia, aforismi e saggistica) costituì un esercizio di pensiero, per questo sono esposti i quaderni Linee (I, II) dei suoi aforismi. Chiude in finale un’altra opera che unisce Calvino e Melotti, l’acquaforte realizzata per La canzone del polistirene, che accompagnava la traduzione in lingua italiana fatta da Calvino nel 1985 de Le Chant du styrène di Raymond Queneau (Le Havre 1903 – Parigi 1976).


Fausto Melotti
 nasce a Rovereto (Trento) l’8 giugno 1901. Nel 1918 si iscrive alla facoltà di Fisica e Matematica dell’Università di Pisa, corso di studi che proseguirà al Politecnico di Milano, dove nel 1924 si laurea in ingegneria elettrotecnica. In questi anni consegue il diploma di pianoforte e intraprende lo studio della scultura a Torino, presso lo scultore Pietro Canonica. Nel 1928 si iscrive all’Accademia di Brera di Milano, dove è allievo di Adolfo Wildt, insieme a Lucio Fontana, con il quale stringe un lungo sodalizio. Nel 1935 viene pubblicato “Kn” di Carlo Belli, cugino di Fausto Melotti. Nello stesso anno insieme al gruppo degli astrattisti milanesi partecipa alla prima mostra collettiva di arte astratta nello studio di Casorati e Paolucci a Torino ed espone a Milano alla galleria del Milione sculture di ispirazione rigorosamente contrappuntistica. La sua prima esposizione non ha riscontro in Italia, ma riceve attenzione in Francia. Dal 1941 al 1943 vive a Roma. Nel dopoguerra si dedica alla ceramica e raggiunge, attraverso una tecnica raffinatissima, un’altissima qualità riconosciuta dai numerosi premi ricevuti. Si approfondisce in questo periodo un profondo legame professionale e umano con Gio Ponti. Nel 1967 espone alla Galleria Toninelli di Milano numerose sculture di nuova ispirazione. Da qui ha inizio una serie di mostre in Italia e all’estero che lo porterà rapidamente al successo e permetterà al pubblico di conoscere la sua attività poliedrica. Nel 1975 Adelphi pubblica una raccolta di scritti e poesie intitolata “Linee” che vince il Premio Diano Marina nel 1975. Firenze, Roma, Venezia ma anche New York, Londra, Zurigo, Francoforte e Parigi gli dedicano ampie mostre personali e collettive. Melotti muore a Milano il 22 giugno 1986 e nello stesso mese la 42° Biennale di Arti Visive di Venezia gli conferisce il Leone d’oro alla memoria.

Carlo Franza

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