Emil M. Cioran con “Finestra sul nulla” pubblicato da Adelphi. Preziosi frammenti di vita, morte e solitudine.
Un giorno di primavera del 1990 E.M. Cioran, già diventato “il vate del vuoto interiore” (come lui stesso ebbe a definirsi) uscì dalla sede parigina di Gallimard. Dal 1949 in poi l’editore francese aveva pubblicato un suo libro più o meno ogni quattro anni, i primi solo a bassa tiratura. All’epoca, invece, si era trasformato in un bestsellerista, da fare impallidire -quanto a nichilismo- Nietzsche e Leopardi.
Il 20 giugno 1995 moriva Emil Cioran, filosofo, non molto distante dai Giardini del Lussemburgo dove amava tanto passeggiare, forse troppo lontano da quel paradiso terrestre che era stata in gioventù la Romania, “isolata da tutto e circondata da schiavi”; scrittore e soprattutto uomo profondamente controverso, la sua voce ha attraversato il Novecento parlando direttamente al cuore e alla mente dei suoi lettori. Amava definirsi “fratello” di Leopardi, profondamente convinto dell’inconvenienza dell’essere nato.
Nel corso di una lunga crisi interiore, Emil M. Cioran vaga nell’anonimato dei boulevard di Parigi e in piccole provvisorie camere d’albergo, abbozzando quattro opere senza pubblicarne nemmeno una. Quel manoscritto esce ora da Adelphi col titolo di “Finestra sul nulla” (Emil M. Cioran, Finestra sul nulla, Saggi, Adelphi, pp. 227, Euro 14,00). Ogni definizione che vi è raccolta racconta di una depressione evidente: “Ho preso sul serio la morte. L’ho preceduta”, la felicità è un “pane volgare”, “Mossa a pietà dalle Tenebre, la Luce vi è discesa per salvarle ma ha finito per esserne sconfitta”, “Gli uomini si assomigliano gli uni agli altri peggio delle croci di un cimitero militare”, “una purezza ostile alla collettività […] alla massa e alla melma stupida”, “hai vissuto troppo in mezzo ai tuoi simili perché il loro fiato impuro non ti insudiciasse”. Una raccolta di aforismi ci conferma Cioran quale filosofo dell’assurdo. Ci restituisce il suo irriducibile approccio depressivo, il senso dell’inanità del tutto, al quale nemmeno la scienza o la medicina possono opporsi. Al pensatore rumeno è negato anche il sollievo del riposo.
All’autore è negato anche il sollievo del riposo: “La natura ci ha donato il sonno, incoscienza reversibile, per guarirci dal male che lo stato di veglia infligge”, poichè soffre di insonnia. Resta, per fortuna, la musica, “solo lei […] mi consola di essere mai stato”.
Finestra sul nulla (Adelphi 2022) di Emil Cioran raccoglie una serie di appunti e aforismi del filosofo franco-romeno scritti tra il 1943 e il 1945, ritrovati presso la Bibliothèque littéraire Jacques Doucet di Parigi; furono composti durante i primi anni dell’esperienza francese di Cioran, spaesato e desideroso di scrivere infinitamente nel suo esilio volontario. L’opera presenta diversi frammenti composti in un periodo intenso per la vita dell’autore. Cioran amava definirsi “fratello d’elezione” di Giacomo Leopardi, e sopra ogni cosa risolutamente “anti-Sartre”, quello che sembrerebbe solo un esistenzialismo intriso di cupo e nero pessimismo è infatti in realtà un pensiero molto più arduo, una filosofia fuor dal comune, quasi stoica. Ironia e paradosso accompagnano le pagine di opere come “Confessioni e anatemi” o “La tentazione di esistere”, in cui la vita è appunto talvolta una tentazione altre una condanna: “Mi piacerebbe essere libero, perdutamente libero. Libero come un nato morto”.
Cioran analizza e scrive dei temi cruciali della vita, vale a dire dell’amore, della paura, della rabbia, del timore. Pessimista conscio, pensante, ossessivo, Emil Cioran analizza pulsioni e drammi dell’uomo; l’uomo soffre e il dolore è il primo dei sei macro-temi della raccolta. “La gelosia è il desiderio di soffrire ad ogni costo”. “Tutto è reversibile, tranne il dolore”. “Chi non prova un’immensa pietà di sè stesso non può odiare gli uomini”. “Quanto alla sofferenza: si è obbligati a riflettervi sinché non è finita”. “La felicità conduce alla noia; l’infelicità mai. Non c’è alcuna sazietà nel dolore; quanto al piacere, si svuota”. “I piaceri esauriscono i nostri sensi; i dolori il nostro essere”. L’essere comporta la vita, da mettere in contrasto con la morte. “La paura del ridicolo interrompe l’inno alla vita”.
E ancora: “Gli altri hanno sacrificato la loro vita per niente; l’Importante nessuno l’ha scoperto, nessuno vi si è dedicato. Intorno a me osservo destini sostituibili; niente di decisivo né di irrevocabile”, “Quando stringo la mano a qualcun altro rinuncio all’Assoluto”, “A furia di volerci sempre superare finiamo fatalmente per raggiungere i limiti della nostra resistenza. La volontà polverizza la vita; la pigrizia la conserva”, “Noi viviamo solo grazie e ciò che ignoriamo”, “Preferisco un’anima vuota ma piena di dubbi a una grande anima che non si basi su una mente divorata da interrogativi”, “Ogni individuo ha per tomba il senso che egli ha dato alla vita”. “Ogni desiderio eccede la vita: ecco l’inconveniente dell’essere umano”, “Con la prima goccia che è stillata nel cuore, vi si è insediata anche la morte”, “Nelle nostre ossa il futuro ha preparato la sua tomba”. La morte è un pensiero dominante per Cioran.
Durante il vivere, ovvero tra vita e morte, c’è solitudine, “Avere una vocazione significa poter restare soli con se stessi”, “Chi ha letto nello sguardo e nei gesti degli uomini non ha da trarne che una lezione: l’impietrimento del cuore; e un solo ideale da proporre: la solitudine”; “La solitudine è all’origine di tutti gli eventi”, “È il circo della solitudine di cui ha bisogno la purificazione interiore”. La solitudine è l’assurdo, l’incomprensibile, il non vivere, il dolore, quella morte che Cesare Pavese motivava con “la morte si sconta vivendo”. Da filosofo errante scrive frammenti senza senso, assurdi, “Le idee, le cose o le persone mi attraggono solo per il loro grado di impossibilità”, “Gli unici momenti propizi sono quelli che ci rigettano fuori dal tempo”, “Il formicaio umano va rimpinzato e lasciato gemere di sazietà in un impero dell’ingozzamento”, “Coloro che non avvertono il bisogno di tormento non scopriranno mai il vizio”.
Per Cioran l’assurdo scaturisce dal vivere, la tematica dell’esistenzialismo è l’ultimo elemento del libro. “Dopo ogni incontro con qualcuno altro, uomo o donna, saggio o cretino, le domande sono sempre le stesse: perché non si uccide? Come fa a non contemplare il suicidio? Com’è possibile che ignori a che punto egli sia inutile?”, “Così spesso mi sono immaginato di non esistere, che è sorprendete che io esista ancora”, “Tutto ciò che smussa le spine dello spirito ci aiuta a vivere”, “L’immaginazione ha generato gli angeli; la realtà, i carnefici”, “Chi ignora la decadenza non fa parte integrante dell’umanità. Il fallimento attesta la veridicità della nostra appartenenza alla sorte e alle faccende umane”. “Vi sono sguardi che, intravedendo le cose, ci riconducono all’origine di tutti gli atti”, “Noi siamo malati, e alla ricerca di un possente rimedio; ci struggiamo intorno a una promessa impossibile”.
La lettura di questo libro mi ha fatto scoprire un Cioran ateo credente dell’essere che è il nulla. La lettura di questo libro mi ha dato maggiore consapevolezza dell’essere uomo. Dentro questi aforismi, nascosto, ma c’è, un inno alla vita che passa attraverso la morte. E infine, la preziosità e la bellezza di queste pagine filtra nella forza ancestrale delle parole non di un filosofo, ma di un uomo; che ha trovato nella scrittura e nella filosofia una terapia del dolore alle sue notti insonni che lo hanno anche visto tentare il suicidio, immobile nel suo tempo infinito, pieno di attese inutili, rese ancor più agghiaccianti dal ticchettio dell’orologio.
Carlo Franza