In questo 2024 devo aver letto oltre duecento libri, sono un divoratore di testi, tra romanzi e saggistica, mi offrono uno sguardo diverso e ampio della vita. Tra quelli di quest’anno pongo su un altare “Frammenti di Bruxelles” di Elena Basile.  E’ il libro dell’anno, senza se e senza ma.  Ancora un libro, ma non il solito romanzo, pur se quelli scritti da Elena Basile sono di un elevato traguardo letterario. Ora è la volta di “Frammenti di Bruxelles” (Sandro Teti Editore, 2024, pagg. 201), una raccolta di dieci racconti (che la scrittrice ha chiamato “frammenti”) dell’Ambasciatore d’Italia Elena Basile, che ormai ci delizia quale scrittrice di narrativa, ma anche preziosa esperta di geopolitica internazionale. L’Autrice conosce perfettamente la capitale del Belgio, Bruxelles, sede anche del Parlamento europeo, avendo guidato dal 2017 al 2021 la sede diplomatica, come prima donna a farlo. Qui anche adesso, pur non ricoprendo più l’incarico, avendo abbandonato la carriera diplomatica con qualche anno di anticipo, si reca spesso in diversi periodi dell’anno. Il libro vive di una serie di dieci racconti a sé stanti, ma ha come filo conduttore una Bruxelles moderna e cosmopolita, approdo e sogno di molte persone che intendono fare un salto di qualità nella loro vita. Scrive Elena Basile: “Per chi ama Bruxelles. Per chi vuole vedere istantanee del Parlamento Europeo, del socialismo, della borghesia liberale ed orgogliosa, dei suoi dogmi. Ironia, leggerezza, ma spero di aver ritratto storie piene di umanità con personaggi teneri a volte amari.” Un’opera piacevole con spunti che spingono ad un’attenta riflessione, capaci di incorniciarsi in un quadro di rinnovato “verismo”, con un linguaggio che sa del grande Verga. Scritti civili che caratterizzano le realtà politiche in quel di Bruxelles  considerata la capitale de facto dell’Unione europea in quanto sede di varie istituzioni, tra cui la Commissione europea, il Consiglio europeo, il Consiglio dell’Unione europea;  i testi evidenziano anche  toni ironici e leggeri, dipingendo tipi umani, un pò particolari e quasi usciti dalla penna di Emile Zola, ed anche  arcigni o  comici,  frutto di mondi chiusi, presi da leggi e leggine, verniciati di squallido conformismo sociale.  E da analista qual’è, anche il Parlamento Europeo non ne esce indenne dalla sua penna acuta, come quando accende luci e riflettori su una certa borghesia liberale, non più nobile, ma spesso invasata come per miracolo, che crede in una favola avulsa dalla realtà, eppure pienamente convinta di rendere un buon servizio all’Europa e al mondo. I racconti sono calati un una storia che dipana passato e presente, punta il dito su ideologie, i fallimenti del socialismo e le società ormai trasformate e seppellite dalla partitocrazia. Sembrerebbe che Bruxelles raccolga tutti i mali dell’Occidente e dell’Europa, che si avvale persino del “Politico” la “bibbia brussellese”. Non di meno per istituzioni come Ambasciate e Istituti di cultura (vedi il racconto “Don Abbondio”), divenuti circoli per pensionati, luoghi futili e d’altri tempi; comprese le consorterie del mondo universitario. Il libro è proprio una miniera di storia e di storie, scritto non solo da una scrittrice con i fiocchi ma da una politologa superlativa.  Bruxelles in controluce, con le sue atmosfere e le sue stagioni, la pioggia e il grigiore, una città che raccoglie sogni evaporati, delusioni, ma anche paure e rancori di una umanità tradita. Anche in questo libro di racconti il femminile è esplorato -basti pensare a Klara- balzando fra mille sfumature nascoste, e mostrando poeticamente anche la solitudine che accompagna la relazione tra i due sessi.

Il primo dei racconti è “il Dottore”, un personaggio “eletto al Parlamento europeo a furor di popolo per i tanti servizi resi esercitando la sua professione di medico in circostanze particolari, quando la sua bella isola era stata il rifugio di tanti derelitti”. Il racconto si snocciola tra l’edifico del Parlamento lussemburghese, le commissioni parlamentari e le chocolaterie, e il paese di un’isola persa nel Mediterraneo -si pensa la Sicilia- dalla quale proviene il protagonista; un andirivieni tra il paese delle origini e il ritorno in Belgio, tanto che dopo aver fatto “provviste di umanità, provviste di sofferenza, poteva ritornare ricaricato fra gli automi di Bruxelles.” E’ forte il contrasto tra la vita e la natura dell’isola e l’ambiente formale del Parlamento europeo, ciò si mostra chiaramente nelle difficoltà dell’europarlamentare italiano ad ambientarsi ed accettare le dinamiche di un politichese distante dagli interessi dei cittadini; questa frase è indicativa: “E’ il mio terzo mandato e non si muove foglia gli sussurrò Letizia che gli si era seduta accanto. “Se mi fossi assentata a tutte le riunioni precedenti e tornassi oggi per la prima volta, riprenderei il filo del discorso esattamente dove l’ho lasciato anni addietro”. Un giudizio amaro ma che tocca da vicino quanto si fa -poco e male- al Parlamento europeo.  Fin dal primo racconto e poi via via negli altri, intensa e poetica la descrizione del clima e del paesaggio atmosferico lussemburghese, con pagine di raffinata scrittura. Ecco: “Aveva imparato che a Bruxelles vi erano quattro stagioni in una giornata e le nuvole del mattino potevano trasformarsi in un cielo terso per poche ore per poi ritornare più convinte e sciogliersi in una pioggia a dirotto”. E ancora: “Le nuvole nere erano mosse dal vento e all’improvviso la luna pallida e tenebrosa fece capolino rischiarando per qualche breve istante la rue Royale. Carmelita si interruppe. Indicò alla compagna il cielo che sembrava un dipinto pregiato. “Mi ricorda John Constable ma le tinte sono più fosche”mormorò”.                                                

Nel racconto “Fiori nel letame” si narra dell’amore tra uno stagista europeo e una sedicenne ungherese ingenua e innocente che fugge dalla prostituzione, visto che i marciapiedi di Bruxelles sono invasi di ragazze dell’Est che si vendono alle uscite di ristoranti e negozi lussuosi; “Maurizio non seppe più nulla di Klara anche se a volte gli sembrò di scorgere la sua silhouette e l’ovale del viso di cera tra la folla del centro storico, da lontano, come un miraggio nascosto dietro una Madonna o una maschera di Pulcinella. Non la dimenticò neanche quando conobbe nuovi amori. Klara restò il volto dell’altro, di “quell’altro” che i tanti non sospettavano neanche …..”. In “Ordinaria tristezza borghese” Elena Basile  ci porge  il quadro di una relazione sentimentale e dell’ ambiente aristocratico brussellese; tutto si sviluppa nell’incontro-scontro tra la sensibilità ingenua della protagonista che dichiara “me ne ero innamorata a prima  vista” e Jean Jacques che viveva di un mondo pregno di ipocrisie e convenzioni, frutto  di una classe in declino, trasvolando  sull’autenticità dei sentimenti; “Extra Ecclesiam nulla salus. La frase mi risuonava nelle orecchie mentre restavo dietro i vetri dello studio a contemplare con Minou il giardino spoglio e mal curato nella primavera appena accennata. Non c’è salvezza fuori dalla chiesa. Mi sembrava di ricordare confusamente che i comunisti negli anni Settanta avevano pronunciato parole simili contro chi voleva rinnovare il partito, sostenendo i diritti dell’individuo contro la ragion di stato. Aristocratici, clericali, comunisti, non c’era scampo! Ogni microcosmo si difendeva come un organismo dotato di un programma interno che attivava per la propria sopravvivenza.” Non può non risaltare il racconto titolato “Camminando a tentoni”, ove si narra di un leader socialista immaginario che è stato il protagonista focale della fine delle speranze di una delle tradizioni politiche europee più prestigiose;  il politico è raccontato nei suoi umori,  nei suoi stati d’animo, nelle relazioni torbide con i compagni del partito e con una giovane marocchina di cui è l’amante (“Il fiammingo restava in piedi alla finestra. Man mano si calmava. Il respiro decelerava. Avvertì un piccolo dolore al petto e pensò che sarebbe finito in questo modo, un infarto nella camera dell’amante. Che fine da babbuino! Intuiva la resa di Aisha e sapeva che a breve sarebbe stata sua. Si ricordò di una sera in cui Van Bever, l’unica persona che avesse rispettato nella sua lunga vita, gli aveva raccontato come le leonesse, un momento dopo che il leone aveva sconfitto il capo branco e ucciso i loro figli, andassero in calore e fossero pronte al coito col vincitore assassino. «Queste sono le femmine, lo sai?». Si era voltato a guardarlo con occhi buoni e chiari. Aveva aggiunto: «Le femmine, non le donne”). Certo appare chiaro come il partito sia cambiato, e gli spazi politici si siano ristretti, domina il politichese, e pur senza rinunciare alle trame per mantenere il potere, riesce ad esprimere il rimpianto dei tempi andati.   Il racconto di “Said”  chiude la raccolta,  ma credo  inserito solo perché -rifacendosi a un nuovo verismo- mette in luce il quartiere dell’immigrazione marocchina a Bruxelles, la comunità più numerosa e integrata; sono protagonisti due fratelli, il loro estraniamento nella famiglia patriarcale, la lenta e dolorosa scoperta di una città che li attrae e li respinge fino all’abbraccio della libertà e della rivolta contro la tristezza dei genitori, i dogmi e i tabù lasciati alle spalle.

Leggo in quarta di copertina: “[…] Nelle sue molteplici sfaccettature la città belga fa da teatro a dieci storie, dieci frammenti, in cui ciascuno dei protagonisti, vittima o carnefice di un sistema sociale distante dalla realtà, tenta di ritagliarsi il proprio spazio in un mondo governato dall’interesse individuale…”. Elena Basile, ancora una volta, ha avuto il coraggio di descrivere il profondo, descrivere il vero, dire la verità, e la verità, se non ossequiente a canoni o poteri, fa male e spessissimo chi la dice viene offeso. Molto bello è anche il vivere in tutti i racconti il trapasso delle stagioni, unitamente alle età della vita qui vissute in Belgio assecondando stati d’animo particolari; “aveva ormai imparato che a Bruxelles vi erano quattro stagioni in una giornata”.

Carlo Franza

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