Storia e memoria sono diventate bagaglio quotidiano  dell’attività artistica di Gaetano Grillo. Non si dimentichi che nella testimonianza  di ‘piacere’ espressa in forma di ‘Manifesto’ “Sono felice quando dipingo” già nel 1976  Grillo  indicava non la procedura di virtuosa sudditanza e routinaria propria di un’esperienza antica, ovvero il lavoro pittorico e  artigianale  fine a se stesso, ma il valore indicativo e perniante di una scelta  intrapresa, chiara, storica e metaforica, che rinnova la sua funzione d’uso proprio attraverso l’esperienza del dipingere, così da far  rimanere  alto il credo per la pittura. Quella testimonianza  anticipata con la Mostra ‘Lectio Historiae’ nel 1972, vissuta poi con profonde e attive riflessioni  motivazionali unite a spiccate esperienze di lavoro artistico hanno fatto  del suo bagaglio teorico  il  valore esperienziale che ancor oggi ne lascia individuare l’universo composito.  Gaetano Grillo (Molfetta 1952) è stato titolare di una cattedra di Pittura dal 2006 al 2018 all’Accademia di  Belle Arti di Brera  e la sua ricerca pittorica -già allievo di Alik Cavaliere e Mino Ceretti-,  si è avviata  nel fruttuoso e vitale clima di rinnovamento culturale che è stato proprio dei primi anni Settanta, senza lasciarsi coinvolgere in quel credo conformistico e ideologico che spinse in tal senso molti  artisti dell’epoca. La sua pittura è diventata così nel tempo un grande vocabolario di nessi e di immagini, di alfabeti e di parole, di lacerti figurali e immaginari, di richiami ancestrali, archeologici e generazionali, fino a catturare i tracciati  e le simbolicità della civiltà  contemporanea. E non c’è solo il racconto colto della storia, del  vissuto e del presente, Gaetano Grillo  scandisce il suo lavoro iconografico con una manualità organizzativa, scenografica  e di precisa fisicità che oscilla tra pittura e scultura e  si fa lettura ambientale  istituita con variazioni di incidenza luminosa e coloristica.  La struttura compositiva  connaturata alla storia  e alle sue epoche, ai suoi linguaggi ideografici  e letterali, movimenta la disposizione narrativa  con una meditazione concettuale che evolve sempre verso una sintesi delle cose, degli oggetti e del corpo scrittorio.  Nobile arte, nobile pittura, nuova rimaterializzazione del visivo, dove ogni immagine, ogni alfabeto, sono  divenuti suono nella mente, nuovo sudario multimediale,  ed anche  soprattutto etichettatura di poesia e pittura.

A Gaetano Grillo, artista di chiara fama,  abbiamo rivolto  una serie di domande, ricavandone un’intervista densa di cultura, di storie e di memorabili umori.

 

D. Da pochi giorni l’Ambasciata d’Italia a Podgorizza ha organizzato la prima del film RAINBOW, del regista montenegrino Alexandar Vujovic, ispirato ad un episodio fondamentale e poetico della tua vita, un film che sta riscuotendo premi in tutto il mondo, ce ne parli?

R. Si tratta di un episodio che avevo pubblicato sul mio libro “dipingo dunque esisto” edito alla casa editrice L’Immagine nel 2015. Racconta di un’apparizione magica che ebbi quando avevo solo cinque anni e che segnò il mio destino, ovvero il mio incontro con la Pittura. E’ un film cortometraggio di diciotto minuti, una coproduzione Italia, Montenegro, Albania e diretto dal giovane e bravissimo regista montenegrino Alexandar Vujovic; un film che sta vincendo un sacco di premi a livello internazionale, una vera rivelazione che da settembre in poi sarà proiettato in varie città

D. Di recente è anche uscito l’ultimo libro del grande storico dell’arte Flavio Caroli, “I SETTE PILASTRI DELL’ARTE DI OGGI” edito da Mondadori e Caroli ti ha ampiamente citato come uno degli artisti che hanno avuto negli anni ’80 delle intuizioni che stanno segnando l’arte di oggi. Si direbbe che stai entrando nella storia dell’arte italiana.

R. Si è un libro molto bello che consiglio di leggere perchè finalmente un grande storico dell’arte come Flavio Caroli, che negli anni ’80 è stato un protagonista indiscusso di quella stagione, riesce a sintetizzare e a fare chiarezza sull’arte mondiale degli ultimi ottant’anni, ma con estrema capacità di sintesi e con l’inconfondibile suo stile affabulatorio e avvincente. Un libro che non parla il “critichese criptico” e si rivolge con estrema chiarezza a tutti coloro che vogliono capire la successione degli avvenimenti artistici di quasi un secolo.

D. Cosa hai fatto come artista nei mitici anni Ottanta?

R. Nel 1970 e 1971 avevo solo diciotto, diciannove anni e facevo interventi nell’ambiente utilizzando delle lunghe corde con le quali mi legavo a vari luoghi della mia terra di Puglia per enfatizzare il timore della perdita d’identità e dunque il bisogno di legare indissolubilmente il mio corpo al mio territorio originario. Erano performances ma già nel 1972 teorizzai il ritorno alla pittura e la mia mostra personale a Milano nel 1976 volli fortemente intitolarla “Sono felice quando dipingo”. Fui uno dei primi artisti italiani ad invertire la rotta del concettualismo affermando un recupero della specificità dei linguaggi dell’arte. Per tutti gli anni ottanta ho fortemente dipinto ed esposto in Italia e in molte capitali europee. La morte prematura di mio padre mi costrinse però ad assentarmi dalla scena ed altri miei colleghi ebbero in quegli anni molto più successo di me ma le opere e i documenti restano e sono come pietre miliari dalle quali la storia non può prescindere ed ora forse il tempo sta riconoscendo i miei meriti.

D. Da oltre vent’anni stai usando un tuo alfabeto “Alfabeto Grillico”, un vero e proprio alfabeto composto da circa millequattrocento simboli con i quali scrivi e dipingi le tue opere, ce ne parli?

R. Si tratta della naturale conseguenza della tematica che caratterizza tutta la mia ricerca artistica sin dai miei esordi, ovvero “l’identità”. Il processo di globalizzazione ha portato con sé la contaminazione dei linguaggi, l’ibridazione delle identità, la stratificazione e l’appiattimento della storia, per questo motivo io ho coniato un alfabeto che contiene tutti gli alfabeti, dai più remoti sino ai loghi e ai simboli dei nostri giorni. Mi considero un “PITTOSCULTOSCRITTORE” un artista eclettico

D. In quale corrente si inserisce il tuo lavoro d’artista?

R. E’ un caso che dieci anni fa il poeta Guido Oldani, oggi candidato al Premio Nobel per il 2021, fondò il movimento del “Realismo Terminale” un movimento che parte dagli stessi presupposti del mio pensiero e per una felice coincidenza ho aderito al suo movimento ma si tratta di un’adesione ai principi teorici e intellettuali, non certo ad uno stile. Il mio linguaggio artistico resta unico e inconfondibile. Fra me e Oldani c’è amicizia e una grande stima, spero proprio che vinca il Nobel.

D. Tu sei arrivato a Milano per studiare all’Accademia di Brera dove poi sei stato titolare di Pittura e direttore della Scuola di Pittura, che importanza ha avuto quella esperienza nella tua vita?

R. Aver studiato a Brera nella prima metà degli anni Settanta è stata un’esperienza fondamentale per l’apertura mentale che mi ha catapultato verso una ricerca artistica tutt’altro che scontata. Da artista maturo e per amore per la pittura ho insegnato proferendo grandi energie e slanci anche verso le problematiche dell’alta formazione artistica con coinvolgimento a livello nazionale e visitando molte realtà internazionali. Oggi bisognerebbe fare una rivoluzione e rinnovare tutto il sistema AFAM.

D. Com’era Milano negli anni settanta e ottanta a differenza di oggi?

R. Sono state stagioni davvero entusiasmanti e il sistema dell’arte era mosso da interessi autentici e grandi passioni; ora purtroppo è dominato da interessi di mercato, da scelte opportunistiche e quello che più fa male è l’inquinamento dei valori che ne consegue particolarmente nella mentalità dei giovani.

D. Che consigli daresti ai giovani che intendono intraprendere un’attività artistica professionale?

R. Il grande critico e amico Luigi Carluccio mi raccontava che fu inviato dalla Gazzetta del Popolo di Torino all’ospedale di Nizza per intervistare Henry Matisse morente e Carluccio rivolse a Matisse la domanda che tu stai rivolgendo a me.

D. Cosa rispose Matisse?

R. Rispose che se si vuol far del bene ad un giovane bisogna fortemente scoraggiarlo a fare l’artista ma se proprio insiste non si può prenderlo in minima considerazione se non dopo aver dipinto almeno cento quadri belli e coerenti. Io credo che oggi abbiamo nuovamente bisogno di maestri severi per arginare le mollezze di questo tempo; recentemente l’ha detto anche il grande Riccardo Muti, nato come me a Molfetta.

D. Che rapporto hai con la tua città natale, Molfetta?

R. Molfetta per me è tutto, passato, presente e futuro. Luogo mitico, ogni filamento più sottile delle mie radici si trova in quel luogo. Naturalmente per poter crescere come artista non vi ho potuto risiedere quanto avrei desiderato ma sono sempre indissolubilmente legato a lei; pensarla mi genera sempre emozioni forti e tanta nostalgia; vorrei fare di più quanto generalmente mi sforzo di fare.

D. Un’ultima domanda, ci parli del tuo progetto sul Borgo d’Arte di Arena Po?

R. Ad Arena Po, in provincia di Pavia, sulla riva del grande fiume, ho comprato un antico casolare, l’ho restaurato ed ho fondato l’Associazione Culturale CASADARTISTA. Grazie ad un’intesa con il Comune sto invitando vari colleghi artisti importanti a concederci delle loro grandi sculture in sintonia con l’ambiente, opere che stanno formando fra le vie del centro storico un vero e proprio museo all’aperto che stiamo chiamando per l’appunto MAPO, Museo Arte Ambiente Arena Po. Il progetto sta riscuotendo grande successo e quel borgo che sembrava destinato a spopolarsi oggi sta diventando progressivamente un borgo dalla vocazione turistica colta e di qualità

D. Abiti più a Milano o ad Arena Po?

R. Mi divido fra i due centri anche perchè mi sposto facilmente; fra Milano e Arena Po ci sono solo 46 chilometri. Milano mi da stimoli culturali ed Arena Po mi sta facendo riconciliare con la natura e con l’ambiente, temi che per l’umanità sono argomenti forti di questo momento e lo saranno ancora di più nei prossimi anni. Per questo motivo già dal 2018 sto lavorando al nuovo ciclo di opere dal titolo “CULTURA TORNA NATURA”.

Carlo Franza

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